Marx, gli operai e la Patria. “Gli operai non hanno patria. Non - TopicsExpress



          

Marx, gli operai e la Patria. “Gli operai non hanno patria. Non si può toglier loro ciò che non hanno.”. (Karl Marx). Ma è davvero così ? Tutti i giorni, di fronte allo sperpero indecente del denaro pubblico e delle risorse appartenenti alla nazione intera (sessanta milioni di donne, uomini, bambini e anziani), di fronte allo spettacolo della giustizia che arranca tra mille difficoltà e altrettante inefficienze, di fronte all’inadeguatezza dell’istruzione pubblica che stenta a formare cittadini pronti al lavoro e vocati alla civile convivenza, è davvero così ? E quando il ragazzo albanese, con moglie e due bambine che lo attendono in Albania (che tu consideri, per storia e cultura, la ventunesima regione italiana), ti dice che, a febbraio prossimo, non potrà più tornare a Bari, per continuare a fare il bagnino, perché lo stabilimento balneare gli ha comunicato la risoluzione del rapporto stagionale, e senti un groppo che ti chiude la gola settantatreenne, è davvero così ? E quando, di prima mattina, il sito di Facebook ti fa vedere l’immagine terribile di alcuni dei tredici eritrei annegati a pochi metri dalla spiaggia di Scicli, in provincia di Ragusa , e tu pensi al “battaglione eritreo” comandato da Montanelli nel 1936, ed alla storia parallela di Italia ed Eritrea, allo stesso pane duro mangiato dai soldati e dai contadini di entrambi i paesi (con i problemi eterni di convivenza, di subalternità, e talvolta di sopraffazione, che sono connaturati al vivere insieme), ti chiedi se la storia degli uomini e dei popoli percorre, sempre e comunque, l’itinerario ipotizzato dal grande storico dell’economia nato a Treviri; è davvero così ? So bene che il cuore non è il miglior consigliere per studiare le relazioni internazionali e i problemi di geopolitica; e so pure che un ragazzo croato, licenziato, o dei senegalesi morti annegati sulle spiagge siciliane, dovrebbero procurarmi identica sofferenza e altrettanta mestizia. E, in linea di principio, questo è vero e sacrosanto: sono tutti miei fratelli, perché tutti, come me, figli dell’unico Padre che è nei cieli (ma anche nella mia stanza assurdamente illuminata in piena notte, e anche sulle spiagge sospirate dai migranti e purtroppo ridotte ad obitori a cielo aperto). Ma è la storia comune, anche per pochi decenni, o per qualche secolo, o lungo l’arco di millenni, che ti lega di più al fratello sventurato, e sapere che i tuoi antenati han mangiato le stesse gallette con gli antenati dei morti annegati o con quelli di Kristian licenziato, ti restituisce l’idea autentica, manzoniana, anti-retorica di Patria, E l’Albania e l’Eritrea sono l’occasione della riflessione storica, che è sempre, ma soprattutto nelle ore gravi della Nazione, riflessione mesta. E maledici i dialetti, i cincischiamenti di bassa sociologia, le complicità con i poteri locali, sempre invocati a giustificazione di ruberie inescusabili, le diatribe volte a sublimare le condotte indifendibili, gli scontri artificiosi, le pagine di giornale gonfie di invettive, gli shows televisivi architettati per le prove generali di guerra civile: il nulla etico e razionale. In ore tragiche, come quella che da tanto stiamo vivendo, il legame della Patria è lo strumento salvifico del bene comune, quello che restituisce, alle comunità umane dignità, consapevolezza del passato, speranza di avvenire. E allora scopri che non è vero che i proletari non hanno patria; ne hanno bisogno soprattutto loro, verosimilmente destinati a stare qui, a lavorare qui dov’è Italia, a sognare e pretendere una Patria italiana madre e non matrigna, che garantisca, a tutti, scuola e lavoro, giustizia senza ritardi e dignità priva di sudiciume. “Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor”. Per tutti, soprattutto per quelli ancora stupidamente privi del biglietto aereo per Antigua.
Posted on: Tue, 01 Oct 2013 11:19:45 +0000

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