NOTE DI UN NATURALISTA DILETTANTE I. IL MAIALE E IL CINGHIALE Fra - TopicsExpress



          

NOTE DI UN NATURALISTA DILETTANTE I. IL MAIALE E IL CINGHIALE Fra il maiale e il cinghiale vi è evidentemente la differenza che c’è fra lo stato domestico e lo stato selvaggio. Il maiale è un prodotto di allevamento mentre il cinghiale cresce in assoluta solitudine. Il maiale non si allontana affatto dalla sua mangiatoia, dove è sicuro di trovare bucce assai buone, il cinghiale cerca attraverso i grandi boschi illuminati dai colori autunnali, poiché egli è poeta, le ghiande saporite, le fresche radici e le amanite sanguigne che sono, come indica il loro nome, dei funghi riservati ad uso specifico del cinghiale. Il maiale ha del grasso, il cinghiale del muscolo. La pelle del maiale è spessa ma sensibile; quella del cinghiale irta di crine polverosa, certo, ma nobilissima, resistente a delle botte estremamente dure, oserei dire taglienti come l’acciaio. Naturalmente il maiale conduce una vita più tranquilla, dorme sotto un tetto che rifugge il meno possibile – poiché è un animale che si vende tranquillamente, una delle esigenze del commercio è quella di presentare un prodotto di qualità costante, quasi omogeneo – talvolta si lava – è meno sporco di quel che si dice – e, quando è divenuto veramente un ben grande maiale, è protagonista in certe cerimonie pagane denominate concorsi agricoli a conclusione delle quali, dopo averlo abbracciato, coccolato, decorato con la Legion d’onore e proclamato campione di grandezza e di grossezza, lo si immola con un perfido coltello trincialardo e ve lo propinano nel corso della giornata. Il cinghiale finisce talvolta altrettanto miseramente su un banco da macellaio; ma fino alla sua ultima ora egli resiste; ed ha spesso la gioia postuma di vedersi esposto intatto, con tutti i suoi peli, da Chatriot o in qualche altro posto di lusso, poiché il cinghiale non esce affatto dall’empireo. Fino al suo giorno finale, gli rimane la possibilità di suicidarsi lanciandosi contro un’automobile su qualche autostrada e, se il cuore glielo suggerisce, egli può anche scegliere come luogo di questa esperienza un ponte che darà maggior forza alla sua azione sublime con un bell’annegamento. Infine il cinghiale ha una buona reputazione da orso, può sembrar strano ma è così, e ha il gran vantaggio di apparire nello stemma di illustri famiglie, mentre il maiale, dal riflesso rosa, non ha che il piacere di decorare con la sua effigie la vetrina di macellaio grosso tanto quanto lui. II. DI CERTI GRUPPI NON BEN CONOSCIUTI Esistono attualmente in Francia certi organismi dalla struttura molto particolare, i cui rappresentanti si riuniscono solennemente, allo scopo di dichiarare commestibile la carne e il sangue, amalgamati con alcuni grammi d’inchiostro e di carta, di certi altri rappresentanti domestici della popolazione scribacchiante. Questi ultimi, esteriormente, non si riconoscono l’uno dall’altro da alcunché di distintivo; tutti hanno delle belle e grandi orecchie, una grassezza da lattaio (precisiamo che questa grassezza è talvolta mentale e sfugge alla vista, ma non all’analisi), un gusto pronunciato per la mangiatoia e le acque reflue, e un grugno affilato che facilita loro l’accesso nei salotti affollati ove si costruiscono le reputazzerie. Giammai essi si allontanano dall’areopago di loro scelta, come i “con/giurati” non si distaccano mai gli uni dagli altri. Un semplice cambiamento di spalla del fucile all’ultimo minuto, permette loro di salvare a destra quello che si sta perdendo a sinistra; caso unico in zoologia ove si vede il fucile tramutarsi in arma di saluto, ma andiamo avanti. La “giuria” d’un premio letterario, cosa strana, è, al contrario, un amalgama di persone spesso stimabili, e il billicocco o il dorgello militofilo, due microbi visibili ad occhio nudo che hanno contaminato uno dei più noti, finiranno certamente per crepare di morte naturale, intossicati fino al midollo dalle loro secrezioni tanto poco maligne per quanto ci è dato di poter immaginare (tutta questa fauna è ancora sconosciuta e forse l’esistenza di questi due batteri non è altro che un caso di volgare parassitismo). La funzione della giuria è di riunirsi e deliberare. Come si suol dire, la giuria si consulta, e decide di attribuire il suo satisfecit ad uno dei concorrenti; talvolta, non è il più grasso, talvolta non è neppure uno dei concorrenti; per cui ce n’è di sorprese. Inoltre, una particolarità della giuria considerata nel suo insieme è che i rispettivi caratteri di ciascuno dei suoi elementi si annullano nella quasi totalità a contatto gli uni con gli altri, cosa che permette di considerare che un premio conferito da una giuria si può sempre attribuire praticamente ad un concorrente standard, cioè a dire totalmente spoglio di note salienti, docile, addomesticato in precedenza e che offre la testa alla corona senza il minimo dubbio che essa potrà domani rinserrarlo a tal punto da impastargli e rammollirgli il muscolo pensante. Dal momento in cui viene premiato dalla giuria, il concorrente è rallegrato, fotografato, pesato e misurato. Gli si chiede di esprimere ciò che egli prova dal canale d’organi specializzati di gran formato che possiede, ed egli generalmente precisa ciò che intende fare coi soldi che gli si danno per il suo salvadanaio: comprare una tana più grande, una vettura che gli eviti di spostare da solo il suo considerevole peso, degli orpelli corporali di colore diverso, ecc. Non sospetta neppure, il poveretto, che nel momento dell’incoronazione, il presidente della giuria, tramite un organo analogo al pungiglione della vespa Polybia Brasiliensis, gli ha iniettato nel palmo della mano, nel momento in cui gliela stringeva, un liquido paralizzante a più o meno lunga scadenza che assicura la sua impotenza futura. Non v’è alcun esempio in effetti di un concorrente premiato da una giuria che sia riuscito in seguito in una qualsiasi altra cosa: al massimo gli potrà capitare un giorno di sedere egli pure nella stessa giuria, e si ammetterà che questo non conferma nulla. In tal modo assopito, il concorrente è ormai offerto al consumo corrente e ci si aspetta soltanto di trarre da lui, giorno per giorno, ciò che è necessario per soddisfare la domanda. Questa, esaurita generalmente in men che non si dica, al concorrente, felice più di certi animali domestici, resta il piacere di medicare le sue ferite e tentare di rimettersi. Ci sono delle giurie più mortali di altre: ve n’è una in particolare di cui non si pronuncia il nome senza tremare (nome che fa di “concorso” sinonimo di rimbambimento) e dalla quale, a nostra conoscenza, non è scaturito mai nulla. La vittima eventuale di questa giuria è completamente sfruttata tanto da non lasciare più niente; tutto, perfino le frattaglie, fino a restarne secchi. Il fascino della vita domestica è comunque così grande, che ogni anno al concorso si presenta un gran numero di postulanti. Ognuno di essi, vestito tutto in ghingheri, si munisce della propria secrezione, impastata così come si diceva, e la fa passare sotto il naso dei membri della giuria. Costoro prelevano una piccola parte del mirabile succo e lo assaggiano con diffidenza, quindi si comunicano le proprie impressioni. Talvolta c’è della frode: un anno, per esempio, dei giurati furono tratti in inganno da un lato dall’odore di muschio di una elitra di Morinus Curatus con cui un concorrente aveva innaffiato la vacuità della sua prosa – e si conosce la propensione che hanno i corpi cavi a trattenere gli odori – dall’altro lato dal profumo di latteria emanato da un altro corpo cavo. Ma una particolarità veramente ammirevole della giuria è che le importa poco della scelta: il fatto è che la giuria non ignora niente dei funesti effetti da noi citati, e con una mansuetudine che ci piace qui riconoscere, non fa che dare il colpo di grazia a dei morenti, evitando di contaminare alcuni elementi rimasti sani e che neppure si rendono conto di esserlo. Che il concorrente sia indispensabile alla vita della giuria considerata come gruppo, è qualcosa che ci spinge a mettere in evidenza alcune personali osservazioni; d’altra parte, che la giuria sia impegnata nella morte e nell’annientamento almeno parziale del concorrente, non è cosa meno evidente. Ma a dispetto di tutte le luci che abbiamo gettato su un punto di storia naturale particolarmente torbido, siamo costretti a riconoscere un fatto: se abbiamo ricordato di passaggio l’appartenenza di un concorrente ad una classe più generale, quella degli scribacchianti, niente fino a questo momento è riuscito a farci comprendere il motivo per cui certi scribacchianti scelgono di interpretare il ruolo di concorrenti. Qualcuno assicura che potrebbero esserci utili le indicazioni che provengono dalla biologia comparata, e cioè la messa in evidenza di criteri del tipo di quelli che fanno distinguere un maiale da un cinghiale. Ci manca il tempo per uno studio facile da fare, del resto, e, in ogni caso, si vorrebbe proprio non stabilire il minimo rapporto tra la prima parte di queste note e la seconda, che sono riunite qui per il più puro dei casi e in un modo del tutto indipendente dalla nostra volontà. Da La vita è come un dente, Stampa Alternativa, Viterbo 1999. ripreso in Il Foglio Clandestino, n. 56, 2005.
Posted on: Fri, 12 Jul 2013 20:20:10 +0000

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