Nascita della Repubblica Italiana Da Wikipedia, lenciclopedia - TopicsExpress



          

Nascita della Repubblica Italiana Da Wikipedia, lenciclopedia libera. 1leftarrow.pngVoce principale: Italia repubblicana. Prima che la Corte di Cassazione si fosse pronunciata, il Corriere della Sera dell11 giugno 1946 dichiarava, in prima pagina, la vittoria della Repubblica a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 e 3 giugno. La Repubblica Italiana nacque nel 1946, a seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno, indetto per determinare la forma di stato dopo il termine della seconda guerra mondiale. La notte fra il 12 e 13 giugno 1946 il Consiglio dei ministri conferì al presidente Alcide De Gasperi le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano. Umberto II lasciò il paese il 13 giugno 1946. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, lAssemblea Costituente elesse a Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con lentrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, De Nicola assunse per primo le funzioni di Presidente della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948. Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Secondo dopoguerra italiano. Indice [nascondi] 1 Preludio alla nascita della Repubblica 1.1 Lidea repubblicana nellItalia contemporanea 1.2 Lo Statuto albertino e lItalia liberale 1.3 Il fascismo 1.4 I partiti antifascisti allestero e in Italia 1.5 La crisi istituzionale (1943 - 1944) 1.6 La tregua istituzionale: dalla svolta di Salerno al referendum 1.7 Il suffragio universale 2 Convocazione e risultati del referendum istituzionale 2.1 Convocazione 2.2 Abdicazione ed esilio di Vittorio Emanuele III 2.3 Il referendum 2.4 La conta dei voti 2.5 Risultati del referendum 2.5.1 Province che non votarono 2.6 I risultati per lAssemblea costituente 3 Analisi dei risultati 3.1 Sociologia del voto 3.2 Il sospetto di brogli elettorali 4 Conseguenze del referendum 4.1 La lettura dei risultati e i fatti di Napoli 4.2 De Gasperi nominato Capo provvisorio dello Stato repubblicano 4.3 Proclama e partenza di Umberto II 4.4 Proclamazione della Repubblica Italiana 4.5 Enrico De Nicola eletto Capo provvisorio dello Stato dallAssemblea Costituente 4.6 Conseguenze del referendum per i membri di Casa Savoia 5 Cronologia del referendum (1946) 6 Note 7 Voci correlate 8 Bibliografia 9 Collegamenti esterni Preludio alla nascita della Repubblica[modifica | modifica sorgente] Lidea repubblicana nellItalia contemporanea[modifica | modifica sorgente] Giuseppe Mazzini Nel luglio 1831, esule a Marsiglia, Giuseppe Mazzini, fondò la Giovine Italia, il movimento politico che, per primo, si pose come obiettivo quello di trasformare lItalia in una repubblica democratica unitaria, secondo i principi di libertà, indipendenza e unità, destituendo le monarchie degli stati preunitari, Regno di Sardegna compreso. La Giovine Italia costituì uno dei momenti fondamentali nellambito del Risorgimento italiano e il suo programma repubblicano precedette nel tempo sia l’ideologia neoguelfa di Vincenzo Gioberti (unificazione d’Italia sotto il Papato), che quella filo piemontese di Cesare Balbo. Successivamente, il milanese Carlo Cattaneo si fece promotore di unItalia laica come intesa dal Mazzini ma organizzata in Repubblica federale. Il progetto politico mazziniano e quello di Cattaneo furono vanificati dall’azione del primo ministro piemontese Camillo Benso di Cavour e di Giuseppe Garibaldi; quest’ultimo, pur provenendo dalle file della Giovine Italia mazziniana accantonò il problema istituzionale ai fini del’Unificazione nazionale italiana. Dopo aver proceduto alla conquista di quasi tutta l’Italia meridionale (Regno delle Due Sicilie), con l’impresa della Spedizione dei Mille, Garibaldi consegnò i territori conquistati al Re di Sardegna Vittorio Emanuele II, ricevendo pesanti critiche da alcuni repubblicani stessi che lo accusarono di tradimento, anche se Garibaldi continuò ad agire di propria volontà e in continuo contrasto con il governo monarchico italiano. Il 17 marzo 1861 il parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II non re degli italiani ma «re dItalia, per grazia di Dio e volontà della nazione». Non primo, come re dItalia, ma secondo come segno distintivo della continuità della dinastia di casa Savoia[1]. Dal 1861 al 1946 lItalia fu una monarchia costituzionale basata sullo Statuto albertino, concesso nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia ai suoi sudditi del Regno di Sardegna, prima di abdicare, l’anno successivo. Al vertice dello Stato vi era il Re, il quale riassumeva in se i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario seppur esercitati non in maniera assoluta[2]. Per la successione era applicata la legge salica[3]. Tale forma di governo fu avversata dalle frange repubblicane (oltreché internazionaliste e anarchiche) e si concretizzò, soprattutto, in due note vicende: la fucilazione di Pietro Barsanti (considerato il primo martire della Repubblica Italiana)[4] e lattentato di Giovanni Passannante, entrambi di fede mazziniana. Solo nel 1946 lItalia divenne una repubblica e fu, nello stesso anno, dotata di unAssemblea Costituente al fine di munirla di una costituzione avente valore di legge suprema dello Stato repubblicano, onde sostituire lo Statuto albertino sino ad allora vigente. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dellItalia contemporanea dopo il ventennio fascista ed il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale. La transizione si svolse in un clima di esasperata tensione e rappresenta un controverso momento della storia nazionale assai ricco di eventi, cause, effetti e conseguenze, che è stato anche considerato una rivoluzione pacifica dalla quale si produsse una forma di stato poco differente dallattuale. La nascita della repubblica fu accompagnata da polemiche circa la regolarità del referendum che la sancì. I presunti brogli elettorali ed altre supposte azioni di disturbo della consultazione popolare, tuttavia, non sono stati mai accertati dagli storici, pur avendo costituito un tema di rivendicazione da parte dei sostenitori della causa monarchica[5]. Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) elessero anche i componenti dellAssemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale.[6] risultarono votanti: 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini Lo Statuto albertino e lItalia liberale[modifica | modifica sorgente] Carlo Alberto di Savoia. La costituzione dItalia prima del 1946 era lo Statuto del Regno, promulgato nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna. A suo tempo la concessione dello Statuto aveva rappresentato un notevole avvicinamento della (allora) piccola monarchia sabauda verso le istanze pre-risorgimentali, e costituiva un passaggio reputato necessario, sebbene poi svolto in forme ben valide, prima di volgersi alla costruzione dello Stato nazionale[7]. Nel 1861, quando, in seguito al processo di unificazione, al Regno di Sardegna successe il Regno dItalia, lo statuto non fu modificato (non era prevista una revisione costituzionale) e restò dunque il cardine giuridico al quale si sottometteva anche il nuovo stato nazionale. Prevedeva un sistema bicamerale, con il parlamento suddiviso nella Camera dei deputati, elettiva (ma solo nel 1911 si sarebbe giunti, con Giolitti, al suffragio universale maschile), e nel Senato, di sola nomina regia. Fattore fondamentalmente innovativo di questa Carta era la rigida definizione di alcune delle facoltà e di alcuni degli obblighi delle istituzioni (re compreso), riducendo la discrezionalità delle scelte operate dalle alte cariche dello Stato ed introducendo un abbozzo di principio di responsabilità istituzionale. Lequilibrio di potere fra Camera e Senato era inizialmente sbilanciato a favore del Senato, che raccoglieva la buona nobiltà e qualche grande industriale di buone frequentazioni (lo Statuto prevedeva delle categorie fisse fra le quali il re poteva nominare i senatori). Via via la Camera assunse maggiore importanza, in funzione sia dello sviluppo della classe borghese e del consenso che questa doveva sempre più necessariamente porgere alla classe politica, sia della necessità di produrre copiosa normativa di dettaglio, cui meglio poteva contribuire un ceto politico proveniente dalle classi a contatto con lapplicazione quotidiana di quelle norme. Gli esponenti repubblicani – che, nel 1853, avevano costituito il Partito d’Azione – parteciparono anch’essi alle elezioni del Parlamento italiano; gli stessi Mazzini e Garibaldi risultarono eletti in talune occasioni. Nel 1877, repubblicani e democratici costituirono il gruppo parlamentare dell’estrema sinistra. Il problema del giuramento di fedeltà alla monarchia, richiesto agli eletti, fu polemicamente risolto dal maggior esponente dell’estrema, Felice Cavallotti il quale, prima di recitare la formula dovuta, ribadì le sue convinzioni repubblicane, precisando di non attribuire alcun valore etico o morale alla formalità cui si stava sottoponendo[8]. Nel 1895 anche i repubblicani più intransigenti cominciarono a partecipare alla vita politica del Regno, costituendo il Partito Repubblicano Italiano. Due anni dopo, l’estrema sinistra conseguì il massimo storico degli eletti al Parlamento con 81 deputati, nelle tre componenti radical-democratica, socialista e repubblicana. Con la morte di Cavallotti e l’ingresso nel XX secolo, la componente radicale rinunciò per prima alla riproposizione del problema istituzionale. Nel 1901, il suo leader Ettore Sacchi affermò che ogni “pregiudiziale” nei confronti della monarchia doveva essere abbandonata, ritenendo tutte le riforme propugnate dai radicali compatibili con l’istituto monarchico[9]. Nel 1913, tuttavia, i socialisti ufficiali, i sindacalisti e i repubblicani conseguirono un lusinghiero risultato, riuscendo a far eleggere ben 77 deputati[10], senza contare i socialisti riformisti, filo-monarchici. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, lItalia poteva essere annoverata fra le democrazie liberali, benché le tensioni interne, dovute alle rivendicazioni delle classi popolari, insieme alla non risolta questione del rapporto con la Chiesa cattolica per i fatti del 1870 (presa di Porta Pia e occupazione di Roma), lasciassero ampie zone dombra. Il fascismo[modifica | modifica sorgente] Il primo dopoguerra vide il mondo attraversato da forti tensioni interne ai paesi, causate dalla modernizzazione della società e dalla necessità di un coinvolgimento delle masse popolari nelle istituzioni politiche. Tali cambiamenti provocarono conflitti sia fra nazioni e potenze imperiali (del resto, ragione profonda della prima guerra mondiale), sia allinterno delle stesse con linsorgere di conflitti fra le diverse classi sociali. Tale situazione portò ad esiti contrastanti: in alcuni paesi si allargò il bacino della partecipazione democratica dei cittadini alla vita politica nazionale; in Russia si instaurò un regime socialista, e, in altri paesi ancora, vi furono rivoluzioni nazionalistiche che rafforzando il senso di identità e di appartenenza dei cittadini alla propria nazione, imponendo un controllo autoritario e poliziesco della vita quotidiana, sfociato poi in regimi di tipo fascista. LItalia conobbe, nellarco di pochi anni, laffacciarsi e lo scontrarsi di queste tre vie, le quali erano, fra loro, inconciliabili. I socialisti riformisti ed i cattolici popolari, desiderosi di rinnovare democraticamente il Paese, non vedevano di buon occhio rivolgimenti sociali ed economici cari, invece, ai socialisti massimalisti, entusiasmati dallavvento al potere dei bolscevichi. Entrambe le parti, però, rifuggivano lideologia nazionalista e la necessità di sentirsi parte di una comunità nazionale, aspetti esasperati dal primo conflitto mondiale. Alle elezioni del 1919, i partiti di ideologia repubblicana (i Socialisti massimalisti e il Partito Repubblicano) conseguirono alla Camera dei Deputati 165 seggi su 508[11]; nel 1921, dopo la fondazione del Partito Comunista dItalia, i tre partiti elessero complessivamente 145 deputati su 535[12]. Sostanzialmente, allinizio del primo dopoguerra, circa il 30% degli eletti alla Camera era favorevole ad una Repubblica democratica o socialista. In questo contesto si inserì Mussolini fondando i Fasci italiani di combattimento, che, in breve, utilizzando le tematiche care ai nazionalisti italiani e sfruttando la delusione per la vittoria mutilata, si sarebbe presentato come baluardo del sistema politico liberale italiano filo monarchico contro la sinistra marxista e rivoluzionaria di ideologia repubblicana. Non indifferente fu lappoggio al giovane movimento dellalta borghesia, sia terriera che industriale, dellaristocrazia (la stessa regina madre, Margherita di Savoia, fu sostenitrice del fascismo), dellalto clero e degli ufficiali, naturalmente dato dopo aver espunto quei caratteri socialisteggianti tipici del sansepolcrismo. In realtà il sistema politico liberale elesse il fascismo a suo baluardo ma ne fu a sua volta vittima, poiché venne sostituito da un regime autoritario, totalitario, militarista e nazionalista. La nomina, da parte di Vittorio Emanuele III, di Benito Mussolini come primo ministro, nellottobre 1922, seppur non contraria allo Statuto, che attribuiva al re ampio potere di designare il governo, era contraria alla prassi che si era instaurata nei decenni precedenti. Lo stesso Statuto albertino ne uscì svuotato nei contenuti dopo linstaurazione effettiva della dittatura fascista nel 1925. Le libertà che esso garantiva furono sospese ed il Parlamento fu addomesticato al volere del nuovo governo. Infatti, la posizione del cittadino al cospetto delle istituzioni vide, durante il fascismo, una duplicazione della sottomissione prima dovuta al re, ed ora anche al duce (Benito Mussolini), e si fece più labile la condizione di pariteticità fra i cittadini (e fra questi e le istituzioni), allontanandosi dai principi democratici già raggiunti. La rappresentanza fu fortemente (se non assolutamente) condizionata, vietando tutti i partiti e le associazioni che non fossero controllate dal regime (eccezion fatta per quelle controllate dalla Chiesa cattolica, comunque soggette a forti condizionamenti, e della Confindustria), giungendo a trasformare la Camera dei deputati in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in violazione allo Statuto. In tutti questi anni, da parte del potere regale, non vi fu alcun esplicito tentativo di opporsi alla politica del governo fascista[13]. I partiti antifascisti allestero e in Italia[modifica | modifica sorgente] Con lapprovazione delle leggi eccezionali del fascismo (regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848), furono disciolti tutti i partiti politici operanti nel territorio italiano, con eccezione del Partito nazionale fascista. Alcuni di essi, peraltro, si trasferirono o si ricostituirono allestero, principalmente in Francia. Il 28 marzo 1927, a Parigi, tra il PRI, il PSI, il PSULI (nome assunto dai socialisti riformisti di Turati), la Lega italiana dei diritti delluomo e lufficio estero della CGIL di Bruno Buozzi si costituì la Concentrazione Antifascista. Ne rimasero fuori il Partito Comunista dItalia e gli aderenti ai partiti non ricostituitisi in esilio (liberali, popolari, ecc.). Nel maggio del 1928, il Comitato centrale della Concentrazione antifascista, indicò nellinstaurazione della repubblica democratica dei lavoratori, lobiettivo finale della battaglia antifascista[14]. Dopo la confluenza del PSULI di Turati, Treves e Saragat nel Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni (luglio 1931), anche il movimento liberal socialista di Carlo Rosselli, Giustizia e Libertà entrò nella Concentrazione Antifascista (ottobre 1931). Nel maggio del 1934, la Concentrazione Antifascista si sciolse, a causa dellorientamento del Partito Socialista verso un patto dunità dazione con il Partito Comunista, ma senza mettere in discussione la scelta antifascista e repubblicana dei suoi partiti[15]. Il patto dunità dazione tra socialisti e comunisti fu stipulato nellagosto del 1934 e rimase in vigore sino al 1956. Nel frattempo, in Italia, si formarono clandestinamente altri nuclei antifascisti legati a Giustizia e Libertà, soprattutto a Milano, con Ferruccio Parri e Riccardo Bauer e a Firenze, con Ernesto Rossi. Su impulso di tali componenti, il 4 giugno 1942, fu costituito, con la pregiudiziale repubblicana, il Partito d’Azione, riprendendo il nome dell’omonimo partito mazziniano del 1853[16] e che rappresenterà, nel 1944/45, per rilevanza desumibile dal collegamento con le unità partigiane, la seconda forza del CLN (il partito politico collegato al maggior numero di formazioni partigiane sarà il Partito Comunista Italiano). La crisi istituzionale (1943 - 1944)[modifica | modifica sorgente] Niente fonti! Questa voce o sezione sullargomento storia non cita alcuna fonte o le fonti presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sulluso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Vittorio Emanuele III a Brindisi. Il 25 luglio 1943, quando la guerra a fianco della Germania ormai volgeva al peggio, Vittorio Emanuele III, in accordo con parte dei gerarchi fascisti, revocò il mandato a Mussolini e lo fece arrestare, affidando il governo al maresciallo Pietro Badoglio. Il nuovo governo iniziò i contatti con gli Alleati per giungere ad un armistizio. Allannuncio dellarmistizio di Cassibile, l8 settembre 1943, lItalia precipitò nel caos. Lesercito nel suo complesso, privo di ordini, sbandò e venne rapidamente disarmato dalle truppe tedesche; Vittorio Emanuele III, la corte ed il governo Badoglio fuggirono da Roma per trasferirsi al sud (crisi istituzionale). Il governo Badoglio, pressoché in toto un governo del re, traghettò lItalia verso una resa incondizionata agli Alleati, e le modifiche costituzionali che operò (quantunque non difficili da prevedere) furono principalmente quelle pretese dai precedenti avversari, ad iniziare dallo smantellamento delle strutture istituzionali del regime fascista, come previsto dallarticolo 30 delle disposizioni di resa firmate il 23 settembre 1943. Le istanze democratiche non furono infatti oggetto di immediata grande attenzione, oltre alle richieste, talvolta propagandistiche, degli Alleati. La guerra, del resto, non solo continuava, ma si era trasformata anche in guerra civile, con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana e la divisione della penisola in due territori antagonisti, uno occupato dalle forze alleate, laltro da quelle tedesche, con coinvolgimento degli uomini armati delluno e dellaltro fronte. Nella drammatica contingenza, in realtà, la gestione civile fu segnata da una pesante impronta militare in entrambi i territori, ed in tutta la Penisola si riscontrò lapplicazione di metodi da stato di polizia, reprimendo, sia al Nord sia al Sud, molto duramente le manifestazioni di protesta. Da un punto di vista giuridico, che però non rivestiva carattere di impellenza in contesti armati, va notato che entrambi i sistemi, in qualche modo operanti sui rispettivi settori della nazione, si trovavano in condizione di sospensione del regime costituzionale: al sud la defascistizzazione della pubblica amministrazione e la ricostituzione del sistema liberale prefascista dovette tener conto delle immediate necessità belliche; al nord non entrò mai in vigore un eventuale sistema costituzionale, anche per la natura dittatoriale del governo imposto dai tedeschi. In entrambe le parti dItalia non vi era nemmeno rappresentanza (non solo parlamentare), né tantomeno si poteva prendere in considerazione la mera ipotesi di indire elezioni. Ciò malgrado, al sud la caduta del fascismo aprì la strada alla possibilità di formazione, o di ricostituzione, di partiti liberi, abbattuto il divieto dittatoriale (quasi non interrottosi al nord, nella subito costituita RSI). Si riaddensarono, intorno ad alcune figure storiche o carismatiche, nuclei politici che avrebbero dato nuova vita a partiti prefascisti e movimenti nuovi (compresi quelli che si erano formati o che avevano avuto sviluppo in clandestinità), pian piano riorganizzandosi in entità politiche idonee ad assumere la funzione loro propria di indirizzo della vita pubblica, ma non mancarono le difficoltà e vi furono problemi insuperabili come la rappresentatività, e soprattutto la rispettiva proporzione di rilevanza fra le forze. Le nuove formazioni (comprese quelle esistenti prima del fascismo), per quanto velocemente riorganizzate con strutture adeguate, non potevano presentarsi al confronto delle idee con il sostegno di un qualsiasi segno di delega politica, non avevano cioè nessuna prova documentata di rappresentare alcuno: non essendosi tenute elezioni, non si sapeva quale fra i partiti potesse disporre del seguito più importante presso la cittadinanza. Ciò costituiva evidentemente un limite estremamente grave alla vita politica italiana, che non offriva maggiori contributi di un mero dibattito ideologico-teorico. Questo però fu valutato comunque positivamente rispetto alla precedente assenza assoluta di dibattito: il fermento era qualcosa di più del nulla, sebbene la vita nazionale fosse tuttora decisa dagli ambienti militari. I partiti che poi avrebbero dato vita alla repubblica, va notato, unanimemente prospettavano il completamento delleradicazione del fascismo, la lotta alla Germania nazista e la riacquisizione dei territori del nord, (soggetti alla RSI), alla giurisdizione nazionale del cosiddetto Regno del Sud. Il comune progetto riguardava una penisola antifascista sotto un sistema politico almeno non contrastante con gli schemi imposti dalle forze alleate. Non vi erano, al sud, sostenitori dellidea fascista organizzati in partiti (o almeno non ebbero, o non intesero avere, alcuna visibilità), restando loro solo la strada dellarruolamento volontario nelle forze della RSI o filo-fasciste, fra le quali un certo seguito ebbe la Xª Flottiglia MAS della Repubblica Sociale, che pure, almeno in quella fase, cercò di tenersi discosta dalle ideologie, richiamandosi piuttosto a tematiche di onore nazionale e rifuggendo dal voltafaccia in cui sintetizzavano la non limpida condotta badogliana. FIAV normal.pngFIAV historical.pngFIAV 011011.svg Bandiera del Comitato di Liberazione Nazionale (1943 – 1945) Al nord, invece, gli oppositori erano coloro che desideravano sopprimere lidea fascista e che non potendosi, analogamente, aggregare in formazioni politiche, ebbero la sola scelta di collaborare con la nascente lotta partigiana. Ed uno degli ambiti in cui il problema della rappresentatività dei partiti italiani fu più stringente fu proprio quello della lotta partigiana, nella quale concorrevano a comporre le forze coordinate dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN); era questo, effettivamente, lunico ambito nel quale lo spontaneismo, che i partiti andavano per necessità coltivando, poteva esprimersi con evidenze fattuali, poiché nella lotta popolare in armi contro il nazifascismo si situava lobiettivo concreto del momento, lintento più concretamente attuabile, usando i vasti spazi lasciati liberi dallesigua azione governativa, ormai sottoposta a sommessa gerarchia alleata dallarmistizio e privata della forza militare dallo sbando delle truppe. Nel CLN, che si organizzava come forza armata spontanea, si ebbero naturalmente diversità di vedute e di interpretazioni circa le azioni da compiere ed il modo di realizzarle. Non solo a livello di tattica, ma anche, e più profondamente, a livello di strategia. Ciò anche perché, intravistane lutilità potenziale, le nazioni dellalleanza (che amavano chiamarsi Nazioni Unite) separatamente fra loro cercarono di influenzare landamento di tutta questa potenza militare, ciascuno secondo le proprie prospettive almeno di medio termine. La maggior parte delle componenti partigiane fu infiltrata da agenti stranieri, e le fratture fra le varie componenti (vi fu una resistenza bianca, di tendenza cattolica e meglio vista dagli americani, e ve ne fu una rossa, di tendenza comunista e meglio vista dai sovietici, tutte equanimemente infiltrate di agenti inglesi) furono sempre ricucite con la forza dei nervi in sede di dirigenza del CLN. Anche il Comitato, però, ebbe momenti di scarsa serenità con il CLNAI, la sua divisione per lAlta Italia. Una sorta di pseudo-legittimazione pareva perciò venire dalleventuale supporto ricevuto, per minimo o simbolico o anche casuale che fosse, dalle potenze straniere, il cui riconoscimento veniva enfatizzato, spesso come presunta prova a sé bastante. Ma la sostanza non cambiava, non vi erano ragioni per poter considerare un partito più importante di altri e ciascuna idea valeva le altre. Quando perciò prese corpo lidea avanzata dal Partito Repubblicano di discutere la forma dello Stato (ovviamente per modificarla nel senso che dava nome al movimento) come condizione preliminare per la collaborazione in seno al CLN, pur non prevedendosi una grande rappresentatività futura del partito (mentre ne era inalterato, e forse accresciuto, il prestigio storico), si aprì comunque una questione che rischiò di frastornare una già labile alleanza fra compagini di molto diverse... La tregua istituzionale: dalla svolta di Salerno al referendum[modifica | modifica sorgente] Questa voce non è neutrale! Questa voce o sezione sullargomento politica è ritenuta non neutrale. Motivo: cito: Qualcuno[chi?], più lungimirante, scorse anche la nitidezza del rischio, fascino personale etc. Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Palmiro Togliatti La maggior parte dei partiti attribuiva alla monarchia in generale, ed a Vittorio Emanuele III nello specifico, la responsabilità di aver appoggiato il fascismo e quindi la responsabilità di aver coinvolto lItalia in una guerra disastrosa. Ciò malgrado, alcuni, allepoca, non reputavano utile né sostenibile, con le forze del momento, aggiungere altri obiettivi quando la lotta in corso era già tanto difficoltosa. Qualcuno, più lungimirante, scorse anche la nitidezza del rischio che labbattimento della monarchia, simbolo almeno formalmente di unità nazionale, avrebbe lasciato il Paese privo di un fattore legante, smembrato, possibile ed appetibile oggetto di spartizioni regionali da parte delle forze alla fine vittoriose. La situazione venne ad una svolta nel 1944 quando Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, propose, in un discorso passato alla storia come svolta di Salerno, di accantonare la questione istituzionale fino alla fine della guerra (tregua istituzionale). A questa soluzione convennero tutti i partiti, corroborati da una coerente sollecitazione delle (concordi) potenze alleate ed ovviamente, per quel che ancora poteva valere dinfluenza, della Corona. Il PRI, obtorto collo, si adeguò, se non alla maggioranza, alla preponderanza. La post-posizione fu barattata con la richiesta di estromissione di Vittorio Emanuele III dalla politica diretta e fu istituita la luogotenenza, con la quale un soggetto non compromesso con il recente passato avrebbe rappresentato la Corona: fu scelto il principe di Piemonte Umberto di Savoia, erede al trono, di immediato e generale gradimento. Con questo nuovo istituto i poteri regali sarebbero stati gestiti da Umberto con il titolo di Luogotenente generale del Regno. Laccordo prevedeva anche che Vittorio Emanuele III non avrebbe abdicato (ma un simile atto era, in verità, richiesto da più parti e valutato positivamente anche dai monarchici) fino alla definizione della questione istituzionale. Laccoglimento della proposta togliattiana permise di formare un governo in parte idealmente rappresentativo del CLN, che quindi fu presentato come munito, in qualche modo, di un abbozzo di legittimazione democratica. Anche se temporaneamente accantonata, la questione su quale forma avrebbe dovuto assumere lo Stato italiano dopo la fine della guerra rimase uno dei maggiori problemi politici aperti. La maggior parte delle forze che sostenevano il CLN erano apertamente repubblicane, sia per impostazione politica di fondo, sia perché imputavano alla monarchia, ed in modo particolare a Vittorio Emanuele III, la responsabilità di aver permesso al fascismo di affermarsi, di governare lItalia per ventanni e di averla coinvolta in una disastrosa guerra di aggressione. Laccordo conclusivo fu di indire, al termine della guerra e non appena le condizioni generali lo avessero reso possibile, un referendum sulla forma dello Stato. Insieme a questo referendum sarebbe anche stata indetta una votazione per eleggere unassemblea che avrebbe avuto il compito di redigere una nuova carta costituzionale. Una parte dei sostenitori della monarchia premeva affinché Vittorio Emanuele III abdicasse, in modo da poter giungere al referendum con a capo del paese una figura non compromessa con il precedente regime. Il figlio di Vittorio Emanuele III, Umberto, oltre che a godere di una certa popolarità anche consolidata dal fascino personale, si era tenuto abbastanza defilato durante la guerra, e questo faceva sperare che potesse recuperare alla causa monarchica parte del consenso perduto.
Posted on: Fri, 01 Nov 2013 18:34:47 +0000

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