Nino Brescia: una vita da artista. Il Maestro Brescia intinge i - TopicsExpress



          

Nino Brescia: una vita da artista. Il Maestro Brescia intinge i pennelli nei ricordi di una vita alla ricerca di se stesso. Un inconfondibile tratto da impressionista, con sperimentazioni talvolta nell’espressionismo, talaltra nella metafisica. Non avendo frequentato corsi accademici o scuola d’arte, il suo esordio artistico, per la semplicità delle raffigurazioni e per l’uso non affinato dei colori, è stato ricondotto, per convenzione, allo stile naif. Oggi, invece, al raggiungimento della piena maturità artistica, è metodico l’uso dei colori che Nino mescola con abile sapienza, fino a ricavarne le giuste tonalità per esprimere il proprio stato d’animo: felicità, nostalgia, gioia, tristezza, malinconia, serenità, beatitudine, angoscia, smarrimento. La ricerca dei colori è il frutto di un’analisi spontanea che affonda le radici nei ricordi della propria fanciullezza e poi della giovinezza: il periodo bellico, la miseria, la speranza, fino alla rinascita economica degli anni 60. Nino indaga sugli aspetti segreti e drammatici del mondo, ritenendo che il valore lirico ed intrinseco, ad esempio di una natura morta, abbia la precedenza sulla qualità pittorica o costruttiva, contrapponendosi, in tal modo, alla cosiddetta pittura accademica. Infatti, nei suoi quadri il maestro infonde con immediatezza istintiva la felicità inventiva e l’intensità lirica (e drammatica) del proprio animo. Per Brescia la pittura è terapia e liturgia, gaudio e tormento. Un tormento interiore, struggente, che si trasforma in luce e poesia. Seppur credente, il maestro attinge con estremo pudore dalla propria fede cattolica. Una sorta di fluido divino guida la sua mano per definire i tratti del volto di un Cristo o di una Madonna. Come la sua pittura, anche la dimora del maestro – rimasta immutata nel tempo, com’era negli anni 60 - è intrisa di emozioni vissute, di ricordi. Brescia ama molto improvvisare e fantasticare con gli oggetti che scorge negli angoli della sua casa-bottega donandogli, attraverso la trasfigurazione artistica, una sorta di vitalità astratta che varca i confini della tela. Un’antica sedia impagliata, un cesto di frutti, una tazzina da caffé, un portafiori, delle fotografie ingiallite, un cappello d’altri tempi, la cartolina di un vecchio amico, un manichino, un’antica cornice, una bomboniera, un ventaglio: vecchi oggetti, ritrovati nella cassapanca dei ricordi, sono sparsi sulla scena, come per definire lo spazio metafisico all’interno della sua bottega. Una pittura spontanea, traboccante di poesia, apparentemente senza studio o particolari tecniche, nella quale, tuttavia, nulla è lasciato al caso. Nella sua pittura ritroviamo di frequente figure femminili: donne eleganti, dai tratti garbati, donne degli anni ’40 o ’50, quasi fossero generate dalla mano di Modigliani. Osservando le opere di Nino nell’ombra notturna, al riflesso della luce lunare, possiamo intravedere scene oniriche, come quelle di Chagall, oppure i personaggi o le nature morte di Cézanne. Seguitando ad osservare, possiamo anche scorgere la suggestione visiva e trasognante della pittura metafisica di De Chirico, di Carrà o Morandi. Nella semplificazione delle forme e nella bidimensionalità degli spazi in cui si muove Brescia, si coglie tutta l’eredità di Matisse. La sua pittura induce a rievocare il particolare stile del maestro ferrarese Filippo De Pisis. In definitiva, Nino è figlio della pittura del 900, ma con un personale ed affermato stile pittorico. I fiori sono carezze cercate, voglia di amare, gioia di vivere. I suoi quadri riflettono una raggiunta pacatezza interiore, l’estrema sensibilità al mondo che lo circonda. Un ambiente nel quale non ha trovato facile condivisione, ma che tuttavia non è riuscito a corrompergli l’anima. Nel corso degli anni è rimasta, infatti, immutata quella sincera genuinità, che traspare, peraltro, anche dai volti che dipinge. Nella dolcezza espressiva di quei volti misteriosi (soprattutto delle figure femminili), negli sguardi profondi ed enigmatici, ritroviamo spesso il carattere melanconico ed introverso che ha caratterizzato l’età giovanile del maestro. Nino, spesso, si riconosce in alcuni volti che nascono dal suo pennello. La pacatezza delle composizioni, la delicatezza nell’uso del pennello, la sensibilità del colore, inondato da luce poetica, sono espressioni emotive della sua anima. Nel tempo, il maestro Brescia ha consolidato un modo del tutto personale di interpretare la vita quotidiana, ammantandola dapprima con un velo di leggerezza, per poi riporla in una dimensione che sfiora, con delicatezza, il metafisico. I suoi quadri riproducono l’elaborazione della realtà, delle tragedie umane. La pittura di oggi è la somma di esperienze, di emozioni vissute, di sensazioni e sentimenti sedimentati ed elaborati nell’intimo, che esplodono all’improvviso lasciandone traccia nei suoi quadri. La sua è una pittura senza età che giunge in pochi attimi al cuore. I quadri appoggiati sui mobili della sua casa-bottega sono i suoi figli, che accolgono con ossequio amici e conoscenti, accarezzandogli l’anima, nella trepida attesa di un’inevitabile adozione. Nei momenti di tristezza, di malinconia, nell’intimo silenzio della sua casa-bottega, Nino si abbandona ai ricordi, alle emozioni vissute. Ed ecco spuntare dai cassetti di un antico comò o dalle ante di un vecchio armadio le figure dei compagni di gioco della fanciullezza o di amici e conoscenti dei tempi giovanili: immagini che animano vivacemente la quiete del “salotto”. Proiettati in un’epoca passata, anche gli amici recenti prendono parte a questo rituale festino nella bottega di Nino. Immagini che si materializzano, prendendo forma nel freddo della stanza della sua casa adibita ad officina dell’arte. In quest’atmosfera surreale, di sogno, di magia, le emozioni si impadroniscono della sua mente, del suo corpo, sgorgando a fiotti incessanti dal suo cuore come un vulcano in eruzione: lo rapiscono e lo catapultano in uno stato di estasi, di trance medianica, obbligandolo a cercare con ansia una tela, un pezzo di lenzuolo, un cartoncino, un qualunque supporto sul quale far vivere per sempre una nuova emozione. Note biografiche. Figlio di Antonio, di professione infermiere, e di Annetta, donna di animo sensibile e generoso, Nino nasce in una speciale famiglia di ben 11 fratelli. Bambino timido ed introverso, dall’aspetto triste ma raffinato, Nino cresce nei vicoli del borgo vecchio dei pescatori di Monopoli, dove si confronta con la miseria e le fatiche quotidiane di questo antico mestiere. Nei momenti di solitudine e di sofferenza interiore, il piccolo Nino matura il desiderio di affermarsi nel mondo dell’arte. Spiando di nascosto la vita di un circo di passaggio, rimane affascinato dai costumi e dalla leggiadria dei trapezisti, funamboli e ballerine. Nasce così il sogno più grande della sua vita: diventare un ballerino di danza classica. Abbandonati presto gli studi, negli anni 50 Nino, ancora adolescente, si trasferisce a Roma, dove conduce per circa 20 anni una vita da vero bohèmienne, accettando qualsiasi lavoro pur di sbarcare il lunario. Ma la danza classica rimane il sogno nel cassetto. Infatti, dopo aver preso una serie di lezioni, riesce ad introdursi nel mondo del cinema a Cinecittà, partecipando a vari provini, che gli hanno consentito di prendere parte nel cast di alcuni film nel ruolo di figurativo. Durante il lungo percorso romano, Brescia approfondisce la conoscenza della pittura, visitando chiese e musei e, contemporaneamente, viene a contatto con persone affermate nel mondo dell’arte e della cultura: registi, attori, stilisti, musicisti, antiquari, scrittori, intellettuali, nobili e pittori, fino all’incontro con Giuseppe Bertolini (grande pittore ed intellettuale di origine siciliana, divenuto suo più caro amico, purtroppo scomparso prematuramente nel 1977), il quale, accortosi della sua profondità d’animo e della speciale sensibilità, lo spinge, sotto la sua attenta guida, a comunicare le proprie emozioni attraverso l’utilizzo di pennelli e colori. Ritornato nella terra natìa, con un bagaglio ricco di esperienze di vita, Nino apre una bottega di antiquariato, unitamente al fratello Franco. Ed è proprio in quella bottega che Nino, incoraggiato da altri artisti ed appassionati d’arte, che avevano intravisto in lui una grande potenzialità comunicativa, intraprende timidamente l’attività di pittore. Autodidatta, Nino si è sempre fidato del proprio istinto, della sua speciale sensibilità a percepire le sfumature, anche le più insignificanti, nelle vicende quotidiane della gente comune, nelle quali si immedesima partecipando emotivamente con intima sofferenza. Vincitore di concorsi a livello nazionale, nel corso della sua vita gli sono stati conferiti numerosi premi ed il suo talento è stato riconosciuto ed apprezzato da molti critici, appassionati e collezionisti d’arte, nonchè intellettuali di fama nazionale ed internazionale. Tuttavia, non ha mai amato affidarsi a galleristi o a critici per fini speculativi. Nel museo nazionale di arte Naifs di Luzzara (RE) sono attualmente esposte alcune sue importanti opere. Pur confrontandosi quotidianamente con la realtà di una città in continua evoluzione, è un uomo legato alle antiche tradizioni. Prigioniero di se stesso, dei suoi ricordi, vive una vita sobria, appartata, quasi monastica, recluso, per scelta, nella sua officina d’arte per scacciare i demoni di una vita “diversa”, che talvolta lo ha visto ripudiato anche dai suoi familiari. Grande ammiratore dei maestri del rinascimento italiano, da Caravaggio ad Antonello da Messina, da Gentileschi a Michelangelo; disponibile senza alcuna riserva a donare la sua arte, la sua poesia: qualità che lo hanno reso un raro “gentiluomo” nonchè instancabile “poeta” e “narratore” della pittura romantica. I sogni di quel fanciullo che giocava nelle viuzze del borgo antico di Monopoli, dopo un lungo e tormentato percorso, si sono avverati attraverso l’arte figurativa della pittura. Un piccolo aneddoto della vita artistica di Brescia. Alcuni anni fa una persona di Monopoli chiese al Maestro di realizzargli un quadro “a cemb d’ jaddin”, che in dialetto locale significa “ a zampe di gallina”. Il Maestro, non avendo ben capito, chiese all’interlocutore di essere più chiaro e questi rispose dicendogli: “un quadro di quelli che da vicino non si capisce niente ma da lontano si vede tutto”. Nino, avendo finalmente compreso, gli disse: “ho capito, tu vuoi un dipinto impressionista”. Ottavio M.
Posted on: Fri, 23 Aug 2013 11:43:27 +0000

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