Non si può tollerare che la magistratura si comporti come i - TopicsExpress



          

Non si può tollerare che la magistratura si comporti come i Mandarini della tarda Cina Imperiale........ Da Gli Altri Possiamo finalmente discutere dello strapotere dei giudici? Di Piero Sansonetti Quellimmagine di Berlusconi, seduto al suo banco in Senato, che si spinge le dita sugli occhi chiusi per dominare la commo­zione - e forse la paura - ed evi­tare le lacrime, diventerà lim­magine simbolo della fine di questa seconda Repubblica. Magari Berlusconi resterà ancora qualche anno sulla scena politica, ma non più con il ruolo del dominatore incon­trastato, Politicamente Berlu­sconi è stato sempre il suo potere, la sua capacità di domi­nio sui suoi e sugli avversari. Finito il dominio è finito anche lui. Ci sarebbe da ragionare un po - ma lo faremo unaltra volta - su questa vittoria che gli avver­sari politici di Berlusconi, e cioè il centrosinistra, hanno ottenuto senza muovere un dito. Sul piano politico il cen­trosinistra è sempre stato subalterno a Berlusconi, sia nelle forme (la spettacolarizza­zione) sia nella sostanza (le scelte economiche, sociali e anche di cultura e di compor­tamento). E ora ha vinto senza però uscire da questa subalter­nità. Non ha vinto in virtù di una propria battaglia ma per­ché forze esterne sono venute in suo soccorso. Quali forze? Lo sapete: la magi­stratura. Quel quasi-pianto in pubblico di Berlusconi testi­monia il fatto che la lotta ven­tennale tra il Cavaliere e la magistratura è stata vinta dalla magistratura. In modo clamo­roso, spettacolare, definitivo. Benissimo, partiamo da qui. E poniamo subito una doman­da: ora che la lotta tra Berlu­sconi e la magistratura si è con­clusa, diventerà possibile parla­re della magistratura, e criticar­la, e preoccuparsi delleccesso del potere che controlla, senza essere accusati di essere dei reggi-coda del Caimano? Vediamo quali sono i punti cri­tici. Essenzialmente tre. Il principale è la mancata responsabilità civile dei giudi­ci, una condizione di privilegio inaudita che viola in modo palese e sfacciato larticolo tre della Costituzione (`tutti i citta­dini hanno pari dignità e sono uguali di fronte alla legge) che spesso è stato invocato per inchiodare Berlusconi, mai per criticare il potere giudizia­rio.- Se tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge non è possibile che chiunque di loro - tranne i magistrati - sia chiamato a rispondere dei danni che può procurare ad altri nellesercizio delle pro­prie funzioni sociali e nello svolgersi del proprio lavoro. Forse non gridiamo tutti evvi­va quando un medico finisce davanti ai giudici per un caso di malasanità? Non esultiamo ­giustamente - quando un imprenditore viene processato per non avere protetto la sicu­rezza dei suoi dipendenti? E riusciamo a trattenere la nostra felicità quando un sindaco, o un assessore, viene incriminato per abuso dufficio (reato dav­vero molto difficile da defini­re)? Persino un giornalista - categoria potente quasi come quella dei giudici - va sotto processo per diffamazione, e un direttore di giornale addi­rittura per mancato controllo. Un giudice invece - poniamo Luigi De Magistris, per dire il nome di uno dei migliori, e che oggi è sindaco di Napoli - incrimina più di cento perso­ne, stronca carriere, lascia sul campo disoccupati e donne e uomini coperti di vergogna, fa cadere un governo (Prodi), fa perdere le elezioni a un presi­dente di Regione (Loiero, centrosinistra), e poi il processo va in primo, in secondo e in terzo grado e tutti, dopo sette anni di pene e dopo aver subito enormi danni, vengono assolti (tutti: tutti!!!); e questo giudice non paga né un cent né nullal­tro sul piano della carriera. Sorride e dice: è andata così! (Il Pm che in modo colpevolis­simo sbagliò tutto sul caso Tor­tora rovinando la vita a Tortora e alla sua famiglia poi fu pre­miato con la nomina a mem­bro del Csm...). Il secondo problema è lam­piezza della discrezionalità negli arresti preventivi. Un piemmino qualunque, un bel giorno, può inventarsi un reato e sbatterti in prigione. E una volta che sei dentro, anche se sei innocente, hai voglia a uscire! La facilità nella detenzione preventiva è la causa del sovraffollamento inaudito delle carceri. Perché i giudici usano in modo così ampio questo loro potere? Innanzitutto - credo - perché il potere, leccesso di potere, dà alla testa un po a tutti, anche ai giudici. In secon­do luogo perché considerano larresto uno strumento di indagine, in quanto forma di pressione psicofisica sul sospet­tato (un po come una volta era la tortura) che può spin­gerlo a confessare o a collabo­rare. E poi per una terza ragio­ne (che recentemente uri magistrato bravo, come il cala­brese Gratteri, dichiarò aperta­mente): la carcerazione preventiva è vista come un antici­po della pena, necessario in un Paese dove poi, dopo la senten­za, spesso la pena non viene eseguita o viene eseguita solo in parte. La discrezionalità negli arresti preventivi è anchessa larga­mente anticostituzionale. Viola varie volte larticolo 27 della Costituzione che dice: «Limputato non è considera­to colpevole sino alla condan­na definitiva. Le pene non pos­sono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieduca­zione del condannato». Il terzo problema è la separa­zione delle carriere. Attual­mente la magistratura inquirente e quella giudicante sono formate dalle stesse persone. Un giudice può fare oggi il Pm e domani il presidente della Corte. E decidere sulla contro­versia fra un suo collega e un avvocato. È chiaro che in, que­sto modo si viola il codice di procedura che prevede che accusa e difesa siano messe sullo stesso piano. Possibile che due squadre di calcio siano sullo stesso piano se lar­bitro della partita è un giocato­re di una delle due squadre? Il primo e il secondo di questi problemi (mancata responsa­bilità dei giudici e sovraffolla­mento delle carceri dovuta in gran parte alla detenzione pre­ventiva che riguarda circa 25 mila detenuti su 65 mila) sono stati esaminate dallEuropa che ha annunciato procedure di infrazione contro lItalia. Scatteranno tra qualche mese. E tutti noi dovremo tirare fuori dei soldi per pagare le multe. LEuropa ha detto che con le sue carceri e con lo strapotere dei suoi giudici, lItalia viola la legalità. Quindi, diciamo così, il proble­ma della riforma della giustizia e della limita­zione del potere della magistratura, non è lidea folle di qual­che garanti­ste, è un fatto oggettivo. Lo strapotere della magi­stratura fa sal­tare lequilibrio tra poteri che è alla base dello Stato di diritto. Torniamo alla domanda inizia­le: ora che non cè più il caso Berlusconi, è possibile affron­tare con coraggio la necessità di questa riforma? Temo di no. Per due ragioni. La fine del caso Berlusconi ho, paura che porrà fine al garanti­smo della destra (che è stato sempre strumentale, almeno in una parte abbastanza vasta della destra italiana). Quanto alla sinistra, è ancora governa­ta da un ceto dirigente che deve tutto ai giudici ed è legato ad un debito di riconoscenza così grande che mai potrà pagarlo. E allora tutto spinge al pessimismo. La fine di Berlu­sconi lascerà uno strascico lun­ghissimo. Perché tutto il ceto dirigente italiano, di centrode­stra e di centrosinistra, è figlio del berlusconismo (compresi, fortemente compresi, Renzi e Grillo): finché non nascerà una nuova leva di politici, che si sarà formata su delle idee vere e non sul potere di incan­tamento di Berlusconi, temo, lItalia resterà in mano alle lobby economiche e dei giudi­ci. A De Benedetti, a Lapo e alla Bocassini. Ahimè. P .S. Ci resta una esile speranza. I referendum radicali deposi­tati la settimana scorsa con oltre mezzo milione di firme. Se si faranno avranno un gran­de valore, se non altro nel costringere il Paese a una pub­blica discussione sui temi della giustizia. Se poi si vincessero... Beh, è inutile sognare. Contro labuso del carcere preventivo ci vuole un giudice terzo Di Valerio Spigarelli* E ormai entrato nel lessico il termi­ne abuso della custodia cautelare, uti­lizzato sia a destra che sinistra, e perfino - se non il termine perlomeno la nozione - da chi del fenomeno dovrebbe esserne ritenuto primo responsabile, cioè la magistratura. Sono ormai passati un paio danni, infatti, da quando lallora Primo Presi­dente della Corte di Cassazione, Erne­sto Lupo, dichiarò testualmente: «E necessario che il legislatore assuma sul serio la natura di extrema ratio della custodia in carcere... e la preveda sol­tanto in presenza di reati di particolare allarme sociale, e, soprattutto, la inibi­sca quando la condotta criminosa presa in considerazione sia risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete di attuale pericolosità sociale. La questione chiama ovviamente in causa anche i giudici. Il difetto ende­mico del nostro sistema, a causa del­leccessiva distanza temporale tra con­danna ed esecuzione della pena, com­porta sovente la spinta ad anticipare, in corso di processo o di indagini, il ricorso al carcere al fine di neutralizza­re una pericolosità sociale, anche se soltanto ipotizzata, al fine di offrire una risposta illusoriamente rassicuran­te alla percezione collettiva di insicu­rezza sociale, che finisce così con il contagiare lambito giudiziario, deter­minando guasti sulla cultura del pro­cesso e delle garanzie». Unaffermazio­ne molto più forte di quel che il lessico giuridico lasci trapelare e, forse, anche di quel che il prestigioso magistrato fosse disposto ad ammettere, giacché in tal guisa si denunciava lapplicazio­ne di una forma, incostituzionale, di detenzione anticipata rispetto alla con­danna definitiva. In effetti, è proprio quel che avviene nei nostri tribunali: lungi dallapplicare il concetto che la privazione della libertà sia un evento eccezionale, la giurisprudenza la utiliz­za in funzione di difesa sociale, cioè non perché sussistano nel caso specifico le esigenze che il codice prescrive (rischio di inquinamento delle prove, di fuga, o di reiterazione di reati parti­colarmente gravi da parte del condan­nato) bensì per far scontare in antici­po quella che (potrebbe) essere la san­zione finale, nel timore che lineffi­cienza del sistema ne vanifichi lappli­cazione. Insomma, pochi maledetti e subito - come voleva il motto dei bot­tegai romani del secolo scorso - mesi o anni di custodia cautelare nel dubbio che la sanzione definitiva resti virtuale. Questa analisi, anche se in maniera inconsapevole da parte dei molti che lavanzano, dimostra, però, anche unaltra cosa rispetto alla scarsa sensi­bilità verso la legalità costituzionale che contiene. Ragionando in tal modo la giurispru­denza, infatti, svela anche un suo squi­librio genetico: non dovrebbe essere il mestiere del giudice (delle indagini preliminari o del dibattimento) preoc­cuparsi delleventualità che il sistema si dimostri inefficace. Chi giudica dovrebbe avere a cuore la legalità del processo e non altro. Se un giudice (o meglio la stragrande maggioranza dei giudici) è così sensibile alle esigenze di difesa sociale, tanto da arrivare ad una pratica che stravolge i principi costitu­zionali, è perché si sente istintivamen­te, culturalmente, giuridicamente, più vicino alle istanze di difesa sociale di cui è portatore il pm rispetto a quelle di tutela del diritto del singolo di cui è latore il difensore. E questo il punto su cui bisogna intervenire, ma per farlo occorre rimettere la figura del giudice al centro del triangolo ideale del pro­cesso, tra accusa e difesa. Un giudice terzo, che pesa i diversi interessi, non un collega del pm nellamministrazio­ne della giustizia per ciò solo sbilancia­to come è ora. Se non si elimina questa confusione concettuale, attraverso una vera e significativa separazione delle carriere, nessun intervento sulle norme del codice sarà efficace, perché le norme stesse, come già avviene oggi, saranno aggirate. Bisogna poi corroborare in maniera significata unaltra scontata verità che la legge proclama e la prassi elude: custodia cautelare, vieppiù in carcere, solo come extrema ratio. Anche in questo caso un comando già previsto che viene eluso. Ed allora occorre che la legge sia ancor più chiara, escluden­do il carcere se non per un pugno di reati che per il carattere permanente (associazioni per delinquere di stampo mafioso etc) o per lestrema pericolosi­tà (fatti commessi con violenza sulle persone) possono giustificare il sacrifi­cio della libertà anche in un fase prece­dente alla condanna definitiva. Anche qui, però, rinunciando alle presunzio­ni anticipate ma verificando caso per caso la sussistenza delle esigenze caute­lari. Per tutti gli altri reati bastano ed avanzano gli arresti domiciliare, le misure interdittive, i divieti di soggior­no e di residenza, eventualmente rin­forzati e resi più efficaci. La politica sarà in grado di farlo? Gli intellettuali si sporcheranno le mani su questo tema? E la stampa avrà la forza di par­larne senza pensare alla tiratura? *presidente Unione Camere Penali italiane
Posted on: Thu, 17 Oct 2013 18:51:01 +0000

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