ORTA DI ATELLA DI ILARIA PUGLIA- SPAZZATOUR M5S Auschwitz, - TopicsExpress



          

ORTA DI ATELLA DI ILARIA PUGLIA- SPAZZATOUR M5S Auschwitz, Dachau, Treblinka, Sobibòr, Orta di Atella. Non fa differenza. Anzi, sì. Nei campi di sterminio nazisti ti ci deportavano, per sterminarti, appunto, qui, invece, hanno occupato la tua terra e ti hanno condannato alla morte. Rifiuti tossici, rifiuti industriali, scorie, veleni di ogni tipo, merda. Hanno deciso di sterminarti con l’aria che respiri, con la frutta che mangi, senza neppure dirtelo, d’ufficio. Così, per nulla. Non hai commesso alcun reato, qui ci sei nato. Ci sono le tue radici, la tua famiglia, il tuo terreno. E chi ti ha fatto prigioniero non viene dall’estero, come un invasore, no, viene dalla tua stessa terra, è sangue del tuo sangue. E tu muori. Muori avvelenato senza aver mai fumato, il tuo stile di vita è solo che vivi qui. Muori a otto anni, come Francesco, quando sei ancora immacolato. Diagnosticano un tumore a tuo figlio mentre ancora lo porti in grembo perché l’hai avvelenato con il tuo latte. Sì, proprio tu. Che non hai mai fatto male a una mosca in vita tua. Che vivi qui. Oggi abbiamo fatto un viaggio nei paesi del tumore, lungo la strada della morte, per il sentiero del cancro e dell’amianto. Nei posti che il ministro Lorenzin non sa che esistono, perché nessuno gliel’ha mai detto. Nei posti che se non ci vai almeno una volta nella vita non hai idea di cosa sia l’orrore. È la nostra stessa aria, la nostra stessa terra, quella Campania Felix che è diventata Infelix, che è tutto un inferno. Campania di morte, anzi, peggio. Perché dove c’è morte non resiste la vita, qui, invece, c’è la morte con la vita dentro, è vita deformata. Abbiamo iniziato il nostro viaggio sotto il ponte della superstrada Nola-Villa Literno, tra Orta di Atella e Caivano, dove proprio oggi, dopo poche ore dal nostro passaggio, l’ennesimo rogo tossico ha provocato un incidente a catena. Ci accompagna Mauro Pagnano, del Coordinamento Comitato Fuochi. È sorpreso perché noi che veniamo da Napoli sembriamo dei bambini di prima elementare. E sì che siamo giornalisti, che pensavamo di essere documentati, credevamo di saperla lunga, insomma, ma eravamo solo all’abc. Perché se non ci vieni, da queste parti, non sai davvero cosa stanno facendo alla nostra terra. Nostra, sì, anche se abitiamo a Posillipo, Chiaia, al Vomero o al centro storico. La differenza è solo che chi vive lì muore prima, ma la frutta e la verdura che arriva sulle nostre tavole è la stessa, è inutile che vi raccontate balle. Sapete perché? Perché, tanto per fare un esempio, a Giugliano, secondo mercato ortofrutticolo d’Italia dopo quello di Milano, dove si muovono ogni anno milioni di quintali di frutta e verdura, secondo la commissione prefettizia ci sarebbe “la più completa assenza di controlli”. Capite? La stessa frutta e verdura che arriva a Chiaia e Posillipo, i cui abitanti neppure sanno che faccia abbiano i roghi tossici. Dicevo, morte con dentro la vita, vita deformata. Perché accanto alle macerie, sopra di esse, dentro, c’è vita. Ci sono le farfalle, ad esempio, che svolazzano bellissime, c’è un gatto che sotto al ponte si allunga in mezzo al nero della fuliggine accumulatasi in anni di roghi, ci sono insetti strani, mosche mutate geneticamente, piccoli scarafaggini rossi che assomigliano a delle api. E l’erba che cresce sui rifiuti tossici bruciati, sul combusto. Avreste dovuto esserci. Puzza, una puzza che ti entra in gola, in testa, nell’anima. Nonostante la mascherina. Mi passo la lingua sulle labbra riarse e sono amare. Questa roba tossica sta prendendo anche me. Penso tutto il tempo a quando mi laverò, per strapparmi di dosso la morte. Penso al fatto che voglio gettare via le scarpe e i vestiti, che mi sembrano rifiuti, che sono rifiuti, che di rifiuti puzzano, di questi rifiuti che sono scorie, armi, coltelli, bombe. C’è un campo rom sotto questo ponte. Un bambino corre felice a piedi scalzi sui resti dei roghi. Ha un pantaloncino e una canottiera, è sporco, felice. Lui questa vita conosce, non ha colpe. Passa un contadino in macchina, ci affianca. Ho paura. Sì, ho paura che all’improvviso possa spuntare una sentinella da dietro le frasche, che possano impallinarmi qui, in aperta campagna. Ma mi spiegano che non funziona così, non ci sono sentinelle. E che bisogno ne avrebbero? Vengono qui, incendiano, ammazzano e poi tornano. Periodicamente tornano, di sito in sito, per riappiccare il fuoco, in un giro della morte senza fine. Non hanno bisogno di sorvegliare nulla, perché nessuno li insidia. Non una pattuglia di polizia, carabinieri, vigili, sentinelle buone, nessuno. Il contadino – lui e tutti quelli che si fermeranno a parlare con noi – ci dice: “Bravi, fate qualcosa per ripulire questo schifo”. Ma la vostra terra com’è? E i vostri prodotti? “Buoni! – rispondono tutti – non è inquinato! È schifo, ma è tutta roba superficiale”. Già, superficiale. Eppure ci sono chiazze di percolato, pozzanghere di benzene, liquami, solventi che nessun sole del mondo asciugherà. Che penetrano nel terreno, raggiungono le falde acquifere. Quelle falde acquifere che qua sotto sono dinamiche: le acque, insomma, non si sa da dove vengono, e neppure dove vanno. Aprite gli occhi, voi di Chiaia, Vomero e Posillipo: tutto questo riguarda anche voi. Ci rimettiamo in macchina convinti di aver visto il peggio, ma non è che l’inizio. Cambiamo angelo custode: adesso, ad accompagnarci, è Enzo Tosti del “Laboratorio di idee Massimo Stanzione”, una delle prime associazioni ad aver aderito al Coordinamento Comitato Fuochi. Ci porta a San Pancrazio, Orta di Atella. Piantagioni di tabacco, verdura, pescheti bellissimi, pezzi di terra verde brillante, mele. Questo paesaggio, in Umbria, sarebbe un angolo di paradiso, qui, invece, è inferno. A ridosso delle piantagioni e dei terreni coltivati a grano, ci sono stati quattro roghi tossici in soli sette giorni, nell’ultima settimana. Accanto alle pesche sugli alberi, a terra giacciono tomaie di scarpe, rifiuti speciali agricoli, guaine industriali usate dalle imprese edili per le ristrutturazioni (rifiuti speciali), colla Mapei per linoleum e pavimenti, pellami di scarto. È un’area che costeggia una discarica recintata. Un pezzo di questa discarica è tombata: ci hanno buttato il cemento sopra, a incatenare la morte sotto. Non sapremo mai quale tipo di veleno è seppellito lì. Il pensiero è quasi più inquietante di ciò che si vede in superficie. Un disegno criminale in piena regola, testimoniato anche dai rifiuti accumulati nei giorni. Sei giorni fa, qui, non c’era nulla: tutto bruciato dall’ennesimo rogo. Adesso, invece, già si accumulano i copertoni. Perché i copertoni mantengono alto il fuoco e allora i colpevoli ignoti li ammassano qui in attesa del prossimo rogo, perché riesca bene. Perché cancelli ogni traccia. Non c’è nulla che faccia risalire alla fonte, nulla. In qualsiasi sacchetto di spazzatura buttato da una persona normale, sotto casa, si può trovare traccia di quella persona, volendo, della sua vita, delle sue abitudini. Da uno scontrino fiscale o da una bolletta sbriciolata o da un succo di frutta per diabetici si può risalire a chi è stato a buttare via quel sacchetto. Qui no, bruciano, così da cancellare tutto, compresa la vita. Il peggio è nella zona di Viggiano, sotto la superstrada Caivano-Arzano. È un’area sottoposta a sequestro dopo le innumerevoli denunce del Laboratorio Massimo Stanzione. Due giorni fa la strada era chiusa, oggi vi si accede liberamente. Nessun controllo, nessun presidio, piena libertà di agire. Amianto in tegole, amianto sbriciolato. L’amianto ci ha accompagnati in tutto il viaggio ma qui ce n’è talmente tanto da perderne la misura. Che senso ha sequestrare senza poi presidiare? Sotto i ponti delle superstrade è tutto annerito da anni di rovina. Un’ecatombe, un genocidio. Uno sterminio autorizzato dall’assenza di controlli, di presidi, di leggi, delle istituzioni. È qui che dovete venire, ministri, è qui che dovete camminare, prima di lanciare gli ennesimi proclami. È qui che dovrebbero venire i napoletani tutti. Qui, dove per avere un’idea dei fuochi devi parlare con le associazioni che operano sul territorio, dove non esistono dati ufficiali, ma dove tutti quelli che incontri, tutti, hanno almeno un morto in famiglia per tumore, almeno un ammalato in casa, dove per avere una mappa dei siti da bonificare devi rivolgerti a questi angeli che urlano, urlano ogni giorno, che hanno la rabbia nel cuore e i veleni nel sangue. Come Enzo Tosti. Un guerriero, uno il cui entusiasmo merita tutto il tuo rispetto. Uno che ha fame, fame di noi giornalisti, perché qui è venuto solo un giornale svedese e poi “Avvenire”. Perché nessuno viene qui a sporcarsi le scarpe con lo schifo che arriva sotto altre forme sulle nostre tavole e nell’aria che respiriamo e nell’acqua che beviamo. “Questa è la nostra terra – dice fiero Enzo – Il mio sangue è quello di questa terra. Urleremo finché avremo fiato perché non possiamo morire nell’indifferenza”. Tutto il basso casertano è in queste condizioni, tutto l’agro aversano atellano. Nel Comune di Orta di Atella vivono 20mila persone. Senza ulteriori costruzioni, la capienza abitativa può portare la popolazione a 40mila abitanti. Ci sono solo 5 vigili per tutto il bacino di utenza. Il presidio dei Vigili del Fuoco di Aversa copre 21 comuni con una sola autobotte: quando li chiamano per spegnere i roghi è già troppo tardi. È la vostra terra, la nostra, di tutti. Torno a casa che ho solo voglia di lavarmi. Mi strappo quasi via la pelle per strapparmi di dosso la putrefazione dell’anima che però non va via. Non andrà più via. Apro il frigorifero e ci sono la frutta e la verdura che ho comprato sotto casa ieri. Albicocche, pomodori, pesche. Viene voglia di non mangiare e non bere più, di non respirare, solo di scappare via. Nemmeno cento secoli di bonifica restituiranno quella terra alla vita vera. Nemmeno cento anni di bonifica ci ridaranno la nostra terra. Da oggi, per me, niente più sarà come prima.
Posted on: Thu, 04 Jul 2013 06:40:46 +0000

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