Occupazione italiana dellAlbania (1939-1943) Da Wikipedia, - TopicsExpress



          

Occupazione italiana dellAlbania (1939-1943) Da Wikipedia, lenciclopedia libera. Occupazione italiana dellAlbania Soldati italiani sulla costa albanese si preparono a invaderne lentroterra, 7 aprile 1939. Soldati italiani sulla costa albanese si preparono a invaderne lentroterra, 7 aprile 1939. Data 7 - 9 aprile 1939 Luogo Albania Esito Vittoria italiana e occupazione del Regno albanese. Re Zog I fugge dal Paese e Vittorio Emanuele III assume il titolo di Re dAlbania. Schieramenti bandiera Regno dItalia Flag Kingdom Of Albania.svg Regno albanese Comandanti Flag of Italy (1861-1946) crowned.svg Alfredo Guzzoni Flag Kingdom Of Albania.svg Zog I Effettivi 22.000 uomini[1] 15.000 uomini Perdite 12 morti[2] 81 feriti[2] 160 morti centinaia di feriti Voci di battaglie presenti su Wikipedia ██ Regno dItalia ██ Regno albanese Bandiera dellAlbania durante il dominio italiano. Loccupazione italiana del Regno di Albania ebbe luogo tra il 1939 al 1943, quando la corona del Regno Albanese fu assunta da Vittorio Emanuele III dItalia[3], a seguito della guerra promossa dal regime fascista e dellinstaurazione del Protettorato Italiano del Regno dAlbania. Indice [nascondi] 1 Storia 1.1 Gli anni venti e trenta 1.2 Loccupazione militare italiana 1.3 Le forze in campo 1.3.1 Regno dItalia[13] 1.3.2 Regno albanese[14] 1.4 Le annessioni durante la guerra 1.5 La resistenza albanese alloccupazione italiana 1.6 Il ritiro degli italiani e la guerra civile 1.7 Dopoguerra 2 Divisione amministrativa 3 Note 4 Bibliografia 5 Voci correlate 6 Altri progetti 7 Collegamenti esterni Storia[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Occupazione italiana dellAlbania (1918-1920). Gli anni venti e trenta[modifica | modifica sorgente] Il regno di Albania era già stato occupato temporaneamente dallItalia durante le fasi finali della prima guerra mondiale; tuttavia, con il Trattato di Tirana (20 luglio 1920) e il successivo trattato di amicizia con gli albanesi (2 agosto 1920), lItalia riconobbe l’indipendenza e la piena sovranità dello stato albanese e le truppe italiane lasciarono il Paese. Inoltre il trattato sancì il ritiro italiano da Valona, con il mantenimento dellisolotto di Saseno, a garanzia del controllo militare italiano sul canale di Otranto.[4] Il testo del patto diceva: LItalia si impegna a riconoscere e difendere lautonomia dellAlbania e si dispone senzaltro, conservando soltanto Saseno, ad abbandonare Valona.[5] Con la presa del potere da parte di Mussolini, la politica estera italiana percorse nuovamente una linea aggressiva nei confronti dello stato albanese e dellintera penisola balcanica. La elezione nel 1925 di Ahmed Zog come presidente della Repubblica pose le basi per la penetrazione italiana nella regione, in funzione anti-jugoslava; già nello stesso 1925 vennero stipulati accordi tra i due paesi grazie al lavoro sotterraneo del gerarca Alessandro Lessona, pur in dissenso con il Segretario Generale del Ministero degli Esteri Salvatore Contarini, che continuava a sposare una politica di amicizia con il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Con la ratifica di questi accordi Zog assecondò tutte le richieste italiane: « In un trattato segreto militare [...] lAlbania metteva a disposizione dellItalia il suo territorio nelleventualità di una guerra con la Jugoslavia; [...] concessioni di zone petrolifere, [...] concessioni agricole in zone da definirsi, [...] costituzione della Banca di emissione albanese con capitali italiani[6] » Successivamente il governo albanese promulgò la Legge del riordinamento monetario dellAlbania, ponendo le basi per la nascita, il 12 settembre 1925, della Banca Nazionale dAlbania (avente lesclusività dellemissione della carta moneta) e di lì a poco della Società per lo Sviluppo Economico dellAlbania (SVEA), che operando un investimento di 50 milioni di franchi oro[7], sanzionò il totale controllo italiano del settore economico-finanziario nel paese[8]. Il 26 giugno 1926, inoltre, venne siglato laccordo con il quale lAzienda Italiana Petroli Albanesi (AIPA) assunse, in concessione esclusiva, la gestione delle risorse petrolifere della regione del Devoli. Nel 1928 il presidente Zog si proclama monarca, ma tale atto non fu riconosciuto dalla comunità internazionale, ad eccezione dellItalia, e questo portò a una intensificazione della collaborazione con lItalia fascista. Il 30 agosto 1933 in Albania linsegnamento della lingua italiana fu reso obbligatorio come seconda lingua in tutte le scuole del regno. Nel marzo 1939 Benito Mussolini propose a Re Zog un nuovo trattato. « [...] La risposta di Roma venne sotto forma di una bozza di trattato di alleanza che praticamente trasformava linfluenza italiana in Albania in qualche cosa di molto simile al mandato. Come se non bastasse - previ accordi con il Re - il capo di Stato maggiore delle forze armate albanesi sarebbe stato italiano e del pari in mani italiane sarebbero stati la gendarmeria e la polizia [...] lorganizzazione fascista albanese [...].[9] » Il trattato venne articolato in 8 punti concernenti: lalleanza militare tra i due paesi (art.1); lintegrità territoriale dellAlbania riconosciuta dallItalia (art.2); la possibilità per lItalia di intervenire con mezzi propri in caso di pericolo per lordine pubblico interno o per unaggressione esterna al territorio albanese (art.3); una serie di accordi nel campo dello sfruttamento delle risorse e delle infrastrutture albanesi da parte italiana (artt. 4-5-6-7); e infine larticolo 8, base per lespansionismo demografico italiano in Albania, nel quale si legge: « I cittadini albanesi domiciliati in Italia ed i cittadini italiani domiciliati in Albania godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei due stati nel proprio territorio.[10] » Larticolo 8 del trattato rappresentò il punto di rottura tra le due parti tanto che Zog, nonostante i suoi stretti legami con lItalia, non poté accettare questa condizione: « [...] naturalmente lapplicazione dellarticolo avrebbe dovuto essere condotta con prudenza, [...] impedendo a tutti i costi che gli italiani, ben più numerosi, più colti e finanziariamente più forti, sopraffacessero in Albania la popolazione locale con vasti stanziamenti e acquisti di terre. Era la nostra capacità di espansione demografica che preoccupava alcuni ambienti vicini a Zog [...].[11] » Il rifiuto di Zog ebbe come conseguenza lattacco militare al paese balcanico e la successiva occupazione italiana. Lattacco avvenne una settimana dopo la conclusione della guerra di Spagna (1º aprile 1939). Loccupazione militare italiana[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Regno Albanese. Loccupazione militare dellAlbania da parte del Regno dItalia, avvenne il 7 aprile 1939. La prima ondata (1º Scaglione) del Corpo di Spedizione Oltre-Mare Tirana (OMT) investì il territorio albanese suddivisa in quattro colonne, le quali sbarcarono a San Giovanni di Medua, Santi Quaranta, Valona e Durazzo,[12] non incontrando particolari resistenze dellesercito albanese: « [...] Prima di tutto occorre sottolineare che dal punto di vista strettamente operativo la spedizione si è dimostrata di assoluta facilità, come daltra parte previsto [...] le perdite complessive nei tre giorni 7, 8 e 9 aprile ammontarono a 93 uomini e precisamente: ufficiali: 1 morto e 9 feriti; sottufficiali: 1 morto e 8 feriti; truppe: 10 morti e 64 feriti, di cui il 60% appartenenti alla Marina.[2] » La resistenza armata albanese, organizzata ad esempio a Durazzo da Mujo Ulqinaku, si rivelò insufficiente contro le forze armate italiane. Il Re e il governo fuggirono in Grecia e furono obbligati allesilio e lAlbania cessò de facto di esistere come Stato indipendente. In totale gli italiani che sbarcarono in Albania e occuparono il Paese furono circa 22.000[1]. Gli italiani instaurarono un governo albanese fantoccio con una nuova Costituzione, approvata il 12 aprile a Tirana, che trasformò lAlbania in Protettorato Italiano del Regno dAlbania. Il 16 aprile il trono albanese fu assunto dal Re dItalia Vittorio Emanuele III. Per governare lAlbania venne istituita la figura di un luogotenente generale albanese, nominato formalmente da Vittorio Emanuele III e posto sotto la diretta dipendenza del Ministero degli Esteri italiano tramite il sottosegretario di Stato per gli Affari albanesi. Gli affari esteri albanesi, come anche le risorse naturali, caddero sotto il diretto controllo dellItalia. I fascisti permisero ai cittadini italiani di insediarsi in Albania con lobiettivo di insediare una comunità italiana. Nel corso di tutta loccupazione giunsero circa 11.000 coloni italiani (per lo più provenienti dal Veneto e dallItalia meridionale) che si concentrarono principalmente nelle zone di Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta. A questi coloni si aggiunsero i 22.000 lavoratori italiani mandati temporaneamente in Albania nellaprile 1940 per modernizzare il paese, costruiendo strade, ferrovie e infrastrutture. LAlbania servì anche a Mussolini nel 1940 come base di partenza per la conquista della Grecia. Lesercito albanese fu scettico sulla guerra italo-greca, per cui parte dei battaglioni albanesi schierati a fianco degli italiani abbandonarono il fronte su ordine di un loro comandante, il colonnello Pervizi. Questo portò ad una disastrosa ritirata delle forze italiane che permise ai greci doccupare la città di Coriza. Le truppe albanesi furono tolte dal fronte e isolate nelle montagne dellAlbania settentrionale. Il colonnello Pervizi, con il suo staff di ufficiali fu isolato a Puka. Le forze in campo[modifica | modifica sorgente] Regno dItalia[13][modifica | modifica sorgente] Corpo di Spedizione Oltre-Mare Tirana (OMT) - Gen. Guzzoni 1º Scaglione Colonna di San Giovanni di Medua - Col. Scattini Comando/9º Reggimento bersaglieri III Battaglione/8º Reggimento bersaglieri VI Battaglione/6º Reggimento bersaglieri XXVIII Battaglione/9º Reggimento bersaglieri 2 compagnie/Battaglione San Marco (Regia Marina) Colonna di Durazzo - Gen. Giovanni Messe Reggimento di formazione Mannerini I Battaglione/3º Reggimento Granatieri di Sardegna II Battaglione/3º Reggimento Granatieri di Sardegna I Battaglione/47º Reggimento fanteria Ferrara Comando/2º Reggimento bersaglieri II Battaglione/2º Reggimento bersaglieri XIV Battaglione/3º Reggimento bersaglieri XVII Battaglione/2º Reggimento bersaglieri Gruppo Bersaglieri Anderson X Battaglione/7º Reggimento bersaglieri XXVII Battaglione/11º Reggimento bersaglieri Gruppo Carri Leggeri DAntoni VIII Battaglione carri L3/35/4º Reggimento fanteria carrista X Battaglione carri L3/35/4º Reggimento fanteria carrista Batteria daccompagnamento da 65/17/3º Reggimento Granatieri di Sardegna Batteria controaerei da 20/65/14º Reggimento artiglieria Murge Colonna di Valona - Col. Bernardi Comando/1º Reggimento bersaglieri I Battaglione/1º Reggimento bersaglieri XVI Battaglione/10º Reggimento bersaglieri Gruppo Battaglioni CC.NN Nannini XL Battaglione CC.NN. dAssalto Verona LXXVI Battaglione CC.NN. dAssalto Ferrara Colonna di Santi Quaranta - Col. Carasi Comando/12º Reggimento bersaglieri XX Battaglione/3º Reggimento bersaglieri XXIII Battaglione/12º Reggimento bersaglieri III Gruppo Squadroni carri veloci L3/35 San Giorgio 2 compagnie/Battaglione San Marco (Regia Marina) 2º Scaglione II Battaglione/47º Reggimento fanteria Ferrara 1 compagnia presidiaria IX Battaglione mitraglieri di Corpo dArmata I Gruppo Squadroni/Reggimento Lancieri di Aosta II Gruppo Squadroni/Reggimento Genova Cavalleria IV Gruppo Obici Campali da 100/17/14º Reggimento artiglieria Murge XVIII Gruppo artiglieria di Corpo dArmata da 105/28 CXV Gruppo artiglieria di Corpo dArmata da 149/13 Batteria daccompagnamento da 65/17/47º Reggimento fanteria Ferrara 47ª Compagnia genio artieri 1 compagnia genio pontieri 3º Scaglione Comando/23ª Divisione fanteria Murge III Battaglione/47º Reggimento fanteria Ferrara III Battaglione/48º Reggimento fanteria Ferrara 14º Reggimento artiglieria Murge (meno il IV Gruppo) Gruppo Battaglioni CC.NN. Peano XCII Battaglione CC.NN. dAssalto Firenze CXI Battaglione CC.NN. dAssalto Pesaro-Urbino CXII Battaglione CC.NN. Motorizzato Roma CLII Battaglione CC.NN. dAssalto Lecce Regno albanese[14][modifica | modifica sorgente] Stato Maggiore - Gen. Aranitasi (Tirana) 3 aerei da ricognizione I Zona - Ten. Col. Bega (Milot) Battaglione fanteria Deja Battaglione fanteria Daijti Battaglione fanteria Korata 2 batterie artiglieria da montagna (2 pezzi da 65/17) 1 compagnia genio zappatori/minatori 1 stazione radio II Zona - Ten. Col. Vulagaj (Milot) Battaglione fanteria Tarabosh Battaglione fanteria Gramos 1 battaglione Gendarmeria Reale Albanese 2 batterie artiglieria da montagna (2 pezzi da 65/17) 1 stazione radio III Zona - Ten. Col. Kuku (Valona) Battaglione fanteria Tomori Battaglione fanteria Kaptina 1 battaglione Gendarmeria Reale Albanese Batteria artiglieria da montagna Semani (2 pezzi da 65/17) 1 sezione artiglieria da montagna (2 pezzi da 65/17) 1 plotone genio zappatori/minatori 1 stazione radio IV Zona - Col. Topalli (Saranda) 2 battaglioni Guardie di Frontiera 1 battaglione Gendarmeria Reale Albanese 1 stazione radio Presidio di Durazzo - Mag. Kupi (Durazzo) 1 battaglione Guardie di Frontiera 1 battaglione Gendarmeria Reale Albanese 1 plotone fanteria di marina 1 batteria artiglieria da montagna (2 pezzi da 75/13) Batteria artiglieria costiera Prandaj (4 pezzi da 75/27) 1 compagnia genio zappatori-minatori 1 stazione radio Le annessioni durante la guerra[modifica | modifica sorgente] Mappa dellAlbania italiana durante la Seconda guerra mondiale Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, in base al Nuovo Ordine europeo voluto da Hitler[15], lAlbania acquisì il territorio più occidentale della Banovina del Vardar (la Metochia nel Kosovo e il Dibrano, nelle attuali regioni macedoni del Polog e Sudoccidentale), mentre, a spese del Montenegro, estese le sue frontiere anche a nord (Rožaje, Plav e Dulcigno). Nel Kosovo, listruzione in lingua albanese, non ammessa nel periodo del governo jugoslavo, divenne ufficiale e fu resa possibile grazie alle iniziative del Ministro dellEducazione nel governo fantoccio di Mustafa Kruja. Listruzione in lingua albanese nel Kosovo, peraltro, è proseguita durante la Federazione Jugoslava sino ai nostri giorni, quando si è realizzata lindipendenza del Kosovo. Tuttavia, tutte le modifiche territoriali operate dalle potenze dellAsse nel 1941, sul territorio degli ex-regni di Jugoslavia e di Albania, furono considerate nulle al momento della stipulazione dei Trattati di Parigi (1947), che furono sottoscritti dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e dalla Repubblica Socialista di Albania, in qualità di Stati successori dei due regni, ammettendo implicitamente la sopravvivenza di questultimi, sotto il profilo del diritto internazionale, anche durante il periodo delloccupazione italo-tedesca. Nelle nuove provincie albanesi del Kosovo e del Dibrano vivevano minoranze serbe, montenegrine e bulgare, che furono fatte oggetto di una politica dalbanizzazione forzata, alla quale le autorità italiane non si opposero[16]. In tali territori lopera di snazionalizzazione e di pulizia etnica furono la prassi: nomi e toponimi macedoni, greci, serbi e montenegrini furono albanizzati; furono incoraggiati i trasferimenti di popolazioni bulgare e greche dalle zone doccupazione albanese verso quelle occupate dai bulgari e verso la Grecia[17]. Subito dopo la spartizione della Jugoslavia, sia la Bulgaria sia lAlbania si disputarono la Macedonia. Con la prima si schierarono i tedeschi, preoccupati di non suscitare attriti con i bulgari a causa delloccupazione germanica di Salonicco, mentre Roma sostenne le rivendicazioni albanesi. I tedeschi concessero alle truppe bulgare di spingersi sino a Ocrida, dove le truppe italo-albanesi erano entrate per prime. A quel punto, lambasciatore italiano a Sofia, Massimo Magistrati, incontrò il suo omologo tedesco, affermando che Ocrida e Struga dovevano andare allAlbania. Wolfram von Richtofen gli rispose chiaramente che Berlino preferiva risolvere la questione a favore di Sofia (Ocrida era patria del veneratissimo San Clemente[18]). La disputa fu così risolta: Tetovo, Gostivar, Kicevo e Struga, nonché la parte meridionale del lago di Ocrida e la zona del lago di Prespa (in tutto circa 230.000 abitanti) costituirono la provincia albanese del Dibrano, mentre la città di Ocrida e il resto della Macedonia jugoslava andarono ai bulgari[19]. Lirredentismo albanese rivendicava però anche la Ciamuria, regione greca abitata da unimportante comunità albanese. LItalia sostenne le rivendicazioni albanesi e se ne servì per dare inizio alla campagna di provocazione della Grecia finalizzata alla giustificazione dellazione militare italiana in terra ellenica[20][21][22]. Dopo la totale occupazione della Grecia ad opera delle potenze dellAsse (Operazione Marita), lItalia cominciò a spianare la strada per unimminente annessione alla Grande Albania dellEpiro: facendo leva sul fenomeno dellirredentismo albanese, gli italiani scatenarono una violenta persecuzione contro i civili greci e contro la comunità ebraica residente in Epiro. Le milizie albanesi guidate dagli ufficiali italiani distrussero, saccheggiarono e incendiarono interi villaggi eseguendo vere e proprie stragi di civili[23]: « nel distretto di Paramythia 19 villaggi furono saccheggiati e poi incendiati, 201 civili vennero uccisi; in quello di Igoumenitsa le vittime delle repressioni furono oltre 150.[24] » La resistenza albanese alloccupazione italiana[modifica | modifica sorgente] LAlbania nel 1942. LItalia iniziò una dura politica di persecuzione e repressione delle popolazioni slave presenti in Kosovo e Macedonia, puntando sullesasperazione del conflitto interetnico, che portò alleliminazione fisica o alla deportazione di intere comunità contadine, montenegrine e serbe, contro le quali furono particolarmente attivi gli albanesi, già aderenti a movimenti irredentisti e separatisti interni[25]. Le mire imperiali della politica fascista verso la Grecia coinvolsero non solo la popolazione civile ellenica, aggredita dal Regio Esercito, ma anche quella albanese che durante larretramento delle truppe italiane, obbligato dalla controffensiva greca, subì gravi conseguenze. Per consentire lo svolgimento delle operazioni militari vennero infatti sgomberate completamente intere zone abitate da civili albanesi e furono razziate, per necessità belliche, tutte le risorse disponibili del posto lasciando alla fame migliaia di profughi albanesi cacciati dalle proprie terre e abitazioni: « [...] le sofferenze erano gravi soprattutto per le popolazioni che avevano dovuto essere evacuate, man mano che la linea dei combattimenti aveva arretrato verso linterno del paese. I profughi erano 18.781 [...][26] » I primi nuclei di resistenza albanese alloccupante italiano scontarono, in special modo allinizio, non poche difficoltà organizzative, in quanto poco e male armati (si pensi allo scarso armamento dellEsercito regolare albanese per prefigurare i pochi mezzi a disposizione delle bande partigiane), ma poterono contare su un ampio appoggio della popolazione civile. Questo aspetto, affatto secondario, spinse gli italiani, che non volevano né potevano permettersi lapertura di un fronte interno in Albania durante le operazioni belliche generali dal 1940 in poi, a repressioni selvagge della popolazione fiancheggiatrice con il movimento partigiano[27]. Le misure punitive adottate contro i civili, come deterrente alla ribellione e mezzo di mantenimento dellordine interno, vennero razionalmente progettate fin dallinizio della campagna albanese, in particolare il mezzo della rappresaglia feroce e indiscriminata fu lo strumento con il quale lesercito e le forze di occupazione italiane pensarono di recidere alla base e con effetto immediato un possibile spirito di rivolta delle popolazioni locali[28]. Le difficoltà militari incontrate dallItalia nella campagna di Grecia crearono come riflesso una situazione politico-sociale difficilmente controllabile sul territorio albanese. Le milizie collaborazioniste albanesi si smembrarono facendo mancare agli italiani un supporto consistente per la gestione dellordine pubblico e la repressione anti-partigiana: « [...] Le forze doccupazione italiane non stettero a guardare. Nel dicembre del 1942 appiccarono il fuoco a centinaia di case ed effettuarono massacri contro la popolazione del luogo e fecero altre operazioni di repressione. Il 30 dicembre il comando fascista mandò in Mesapik più di due reggimenti militari. Aspri combattimenti si svolsero nella cittadina di Gjorm il primo gennaio del 1943, ai quali presero parte molti partigiani (comunisti) e ballisti (nazionalisti). I reparti italiani furono sconfitti e fu ucciso il comandante delloperazione, Clementis. Per rappresaglia i fascisti uccisero poi il prefetto della città di Valona. Il 16 gennaio 1943 i partigiani della città di Korca attaccarono i fascisti a Voskopoja. Altri combattimenti vi furono in altre parti dellAlbania nei quali persero la vita molti militari Italiani, ma vi furono gravi perdite anche nei reggimenti partigiani Albanesi. Ci furono molti combattimenti nelle città di Valona, Selenice, Mallakaster, in Domje e altri luoghi. Un importante e al tempo stesso molto duro combattimento vi fu a Tepelene: anche qui persero la vita molti militari del reggimento fascista dislocato a Valona [...][29]. » Il 12 maggio 1941 a seguito del fallito attentato contro il Re Vittorio Emanuele III a Tirana e la fucilazione del giovane operaio albanese Vasil Laci, autore dellazione[30], scoppiò una dura rivolta della popolazione contro loccupante italiano, che in risposta eseguì con lesercito, le milizie fasciste e il governo collaborazionista albanese numerose e pubbliche rappresaglie a scopo di monito verso la popolazione civile: « [...] successivamente per scoraggiare la rivolta il binomio Jacomoni-Kruja ordinò una serie di pubbliche impiccagioni, indiscriminate e fece fucilare una serie di simpatizzanti e partigiani del Pca, presi prigionieri dai fascisti italo-albanesi [...][31]. » Nel 1942 il Regio Esercito diede vita ad una vasta campagna di operazioni militari di rastrellamento e normalizzazione del territorio che si distese per 27 regioni dellAlbania con lo scopo di distruggere i gruppi partigiani organizzati, Cete, che operavano nella zona. In importanti centri come Valona la resistenza partigiana divenne fenomeno di massa obbligando lamministrazione italiana allimpiego di centinaia di militari per operazioni di ordine pubblico. Città come Fieri, Berat e Argirocastro, divenuti centri attivi di lotta partigiana, subirono da parte dei miliziani filo-fascisti albanesi rappresaglie e rastrellamenti particolarmente cruenti tanto che nella zona di Skrapari i villaggi investiti dalle operazioni di polizia vennero completamente rasi al suolo e dati alle fiamme, dopo la razzia dei beni civili[32]. In città, nelle quali lopposizione anti-italiana assunse forme consistenti e attive, le forze fasciste operarono sistematicamente arresti, interrogatori, torture e impiccagioni pubbliche degli oppositori. Così a Valona divenne particolarmente conosciuto il Maresciallo del SIM (Servizio Informazioni Militare) Logotito, il quale presenziava spesso agli interrogatori-tortura dei prigionieri politici nelle caserme, mentre a Tirana la caserma-prigione di via Regina Elena (oggi Rruga Barrigades) divenne particolarmente nota non solo a causa dei violenti interrogatori a cui venivano sottoposti i prigionieri ma anche per i casi di tortura e di morti verificatesi al suo interno[33]. La guerra di liberazione assunse con il passare dei mesi e con il rafforzamento organizzativo delle brigate partigiane, guidate dal comunista Enver Hoxha, una dimensione sempre più ampia, ma anche lazione delle truppe italiane andò progressivamente radicalizzandosi rispetto alle misure repressive in danno delle popolazioni civili e del fronte partigiano « [...] Fino al luglio 1943 si condussero attacchi da una parte e dallaltra. A Leskovik, a Permet e a Kugari attaccarono i partigiani; nella zona di Peza due divisioni italiane, circa 1.400 uomini, condussero unoffensiva [...] unaltra divisione italiana, 8.000 uomini, si scagliò contro partigiani e popolazione a Shpirag, Mallakasha e Tepelena. Il 2 luglio a Gryka di Mezhgorami cadde Asim Zeneli [uno dei capi partigiani][34]. » Il 14 luglio 1943 venne realizzata, dal Regio Esercito, unimponente operazione militare antipartigiana nei villaggi intorno a Mallakasha e al termine di quattro giorni di combattimento, in cui vennero usati artiglieria pesante e aviazione, tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo causando la morte di centinaia di civili[35]. Leccidio di Mallakasha al termine della guerra verrà simbolicamente ricordato dalle autorità albanesi come la Marzabotto albanese con la volontà di porre in relazione i brutali metodi delloccupazione tedesca e quelli italiani riguardo al controllo territoriale[35]. Il ritiro degli italiani e la guerra civile[modifica | modifica sorgente] Gli italiani erano sostenuti in Albania dal Partito Fascista Albanese. Dopo l8 settembre 1943 circa 120 000 tra militari italiani, familiari e funzionari rimasero bloccati nel paese. Pervizi prese in consegna il comando italiano dal generale Dalmazzo, l8 settembre 1943, alla capitolazione dellItalia, con la condizione di dare ordine alle guarnigioni italiane di cessare ogni resistenza ed arrendersi agli albanesi. Bande partigiane albanesi in quei giorni fucilarono centinaia di militari italiani[36], tra cui i carabinieri della cosiddetta Colonna Gamucci, guidata dal ten. colonnello Giulio Gamucci[37]. Migliaia di italiani in quei mesi morirono di fame e di stenti. Vi fu anche chi formò delle formazioni partigiane autonome per combattere i tedeschi, come i battaglioni Firenze e Gramsci. Vi fu successivamente lOccupazione tedesca del Regno dAlbania. Le Waffen SS costituirono con volontari albanesi la divisione 21. Waffen-Gebirgs-Division der SS Skanderbeg che operò contro i partigiani albanesi nel 1944. Dopo il ritiro delle truppe del Terzo Reich, lAlbania precipitò nella guerra civile: alcuni membri del partito fascista albanese e di quello nazista, combatterono contro comunisti e nazionalisti, sia in Albania che in Kosovo, e lultimo di questi gruppi ha cessato la lotta solo nel 1951[38]. Sotto la guida di Enver Hoxha, il Partito Comunista Albanese prese il potere il 29 novembre 1944, sconfiggendo le componenti nazionaliste guidate da Balli Kombetar. Verso la fine del 1945, Hoxha fece tenere le elezioni, che proclamarono vincitori, con una assoluta maggioranza, il gruppo del Fronte Democratico, che comprendeva i comunisti e rivoluzionari. Il nuovo governo prese il potere nei primi mesi del 1946, avendo come primo capo dello stato il comunista Enver Hoxha. Dopoguerra[modifica | modifica sorgente] La Conferenza di Jalta poneva i Balcani sotto linfluenza sovietica dopo la fine della guerra. La conclusione formale della guerra daggressione che, tra il 1939 e il 1943, pose in essere loccupazione italiana del Regno di Albania fu sancita con la sottoscrizione da parte della Repubblica Italiana,degli artt. 27-32 del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947[39]. In tale atto, lItalia riconobbe la sovranità e lindipendenza dello Stato di Albania, rinunciando anche allisola di Saseno che le era stata ceduta con il Trattato di Tirana del 1920. LItalia riconobbe altresì che tutte le convenzioni ed intese intervenute tra lItalia e le autorità insediate dallItalia in Albania tra il 7 aprile 1939 ed il 3 settembre 1943 fossero nulle e non avvenute, rinunciando egualmente a rivendicare ogni speciale interesse o influenza in Albania, acquisita in virtù di trattati od accordi conclusi prima di dette date. Le statistiche dei danni arrecati allAlbania dalloccupante italiano parlano di 28.000 morti, 12.600 feriti, 43.000 deportati ed internati nei campi di concentramento, 61.000 abitazioni incendiate, 850 villaggi distrutti, 100.000 bestie razziate, centinaia di migliaia di alberi da frutto distrutti[40]. I militari italiani inclusi nelle liste della Commissione delle Nazioni Unite per crimini di guerra e in quelle del governo dellAlbania, al 10 febbraio 1948 risultarono 145, dei quali 3 inclusi nella lista della commissione e 142 aggiunti con nota verbale dal governo albanese che ne fece richiesta di estradizione allItalia[41]. Nessuno degli accusati venne estradato e tanto meno processato[42]. Ai cittadini italiani presenti in Albania nel 1945 fu preclusa la possibilità di rientrare in Italia. Molti furono imprigionati dal nuovo regime. La soluzione dellintricata questione internazionale avvenne solo dopo oltre 40 anni. Divisione amministrativa[modifica | modifica sorgente] Durante loccupazione italiana lAlbania era divisa in 13 province: La Provincia di Scutari (capoluogo Scutari) La Provincia di Kukes (capoluogo Kukes) La Provincia di Alessio (capoluogo Alessio) La Provincia di Debar (capoluogo Debar) La Provincia di Durazzo (capoluogo Durazzo) La Provincia di Tirana (capoluogo Tirana) dove aveva sede il Luogotenente Generale La Provincia di Elbasani (capoluogo Elbasani) La Provincia di Levani o provincia di Apollonia (capoluogo Levani) La Provincia di Berati (capoluogo Berati) La Provincia di Corizza (capoluogo Corizza) La Provincia di Argirocastro (capoluogo Argirocastro) La Provincia di Valona (capoluogo Valona) La Provincia di Pristina o del Cossovo (capoluogo Pristina), aggiunta nel 1941 Lisola di Saseno, presso Valona, venne inserita nel 1920 nel comune italiano di Lagosta e con questo fece parte, dal 1923 al 1941, della provincia di Zara (Venezia Giulia), poi nel 1941 venne inglobata nella nuova provincia di Cattaro (Governatorato di Dalmazia), di cui fece parte fino al 1943. Note
Posted on: Fri, 08 Nov 2013 17:56:17 +0000

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