PENSIERI Ci sono paesi e persone che falliscono,altri che - TopicsExpress



          

PENSIERI Ci sono paesi e persone che falliscono,altri che spro¬fondano perché la vita è un sistema di premi e di casti¬ghi che privilegia i forti e punisce gli inutili. Perché le infamie si trasformino in prodezze, bisogna spez¬za re la memoria:la memoria del Nord si separa dal¬la memoria del Sud,laccumulazione dal saccheggio,lopulenza dalla spoliazione. La memoria spezzata spinge a credere che la ricchezza non è responsabile della povertà e che lin¬felicità, vecchia di secoli o di millenni, non è il prez¬zo della felicità. E che siamo condannati alla rasse¬gnazione. Lindividuo che fugge dallo stato per trovare altrove migliori possibilità di sopravvi¬venza diventa un fuorilegge. Il dialogo della convivenza civile intessuta col fi¬lo di quello che Kant chiama “il diritto cosmopolitico”.Ma come dimenticare che altre volte nella storia umana gli eserciti migranti e le fortezze invulnerabili si so¬no combattuti fino alla morte e allinversione dei ruoli. “Ecco, Troia è vostra, il potere è vo¬stro”, grida il prode Achille ai suoi armati, alle amazzoni fiere, ai cani e ai maghi di un esercito nomade che sta per espugnare la roccaforte. Vincerà la claustrofobia dei migranti o lagorafobia urbana? Gli stessi dei confliggono a lun¬go,tra loro, pri ma che si imponga un nuovo or¬dine patriarcale e sedentario nel tempo immobi¬le dellantichità.È successo, tuttavia, anche in epoca più recente che imperi carovanieri, erranti come le nuvole e la pioggia, abbiano sconvolto lordine del mondo. Da Gengis Kan e Tamer¬lano fino ai Mogol, etnie migranti hanno fondato dal nulla città immense, imperi, mentre le metropoli eterne diventavano sabbia. Nel videogame della globalizzazione, al pari del nomadismo finanziario, dell immaterialità produttiva e della circolazione infinitiva di bit, forse gli erranti diventeranno qualcosa di più di cellule, vaganti. Esseri senza diritti alla ricerca di migliori opportunità. Nella sindrome dell assedio moderno è sempre più difficile distinguere l ho¬stess dall hostis. Vincerà lorizzonte vivente, su¬scitato da flutti primordiali, o la statica fortezza, costruita su roccia friabile? GIUDIZIARIA Da l’espresso RE GIORGIO di Lirio Abbate Il presidente della Repubblica per la prima volta sarà sentito come teste da una Corte dassise durante un dibattimento. I giudici togati e popolari e le parti del processo faranno il loro ingresso al Quirinale per una trasferta da Palermo a Roma che potrebbe entrare nella storia giudiziaria del nostro Paese. La decisione di sentire come teste il presidente Giorgio Napolitano è arrivata stamani nellaula bunker di Palermo e lhanno resa nota i giudici del processo per la trattativa fra Stato e mafia dove sono imputati fra gli altri Riina, Bagarella, lex generale Mario Mori e lex ministro Nicola Mancino. La Corte ha accolto la richiesta dei pm di ascoltare come testimone il Capo dello Stato e i giudici hanno motivato la loro ordinanza facendo leva sul Codice di procedura penale: «La testimonianza del Presidente della Repubblica è espressamente prevista dal Codice di procedura penale che disciplina infatti le modalità della sua assunzione». E la corte fissa paletti ben precisi su questa deposizione «e pertanto la testimonianza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano richiesta dal pubblico ministero può essere ammessa nei soli limiti delle conoscenze del detto teste che potrebbero esulare dalle funzioni presidenziali, pur comprendendo in esse le attività informali». Per la prima volta il capo dello Stato, che è anche il numero uno del Consiglio superiore della magistratura, si dovrà sedere davanti ai giudici e testimoniare, e dovrà rispondere alle domande che verranno poste dai pm che sostengono laccusa, dai difensori degli imputati e dalle parti civili, e se vorrà anche dai giudici della Corte. Una raffica di domande per un testimone che mai prima di adesso si è visto in unaula di giustizia. Sarà forse anche per questo che lufficio stampa del Quirinale dopo la decisione della Corte ha subito inviato una nota nella quale dice che «si è in attesa di conoscere il testo integrale dellordinanza di ammissione della testimonianza adottata dalla Corte di Assise di Palermo per valutarla nel massimo rispetto istituzionale». In precedenza altri due ex inquilini del Quirinale, Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro sono stati sentiti dai magistrati siciliani come persone informate dei fatti, ma dopo la conclusione del loro settennato. Lunico precedente istituzionale in cui un collegio di giudici si è recato fuori sede è quello che ha visto protagonista Silvio Berlusconi, citato come teste nel processo a Marcello Dellutri: il tribunale e le parti si recarono a Palazzo Chigi e in una stanza delle sede del governo venne allestita unaula giudiziaria. E lallora premier si avvalse della facoltà di non rispondere, perché sentito come teste “assistito” perché già indagato in precedenza. La citazione di Napolitano aveva provocato nei mesi scorsi tante polemiche nei confronti dei pm che lo avevano inserito nella lista delle persone da sentire. Ma su cosa vogliono farlo parlare i magistrati di Palermo? Per la Corte dassise il presidente Napolitano dovrà rispondere limitatamente alla lettera che gli ha inviato il 18 giugno 2012 il suo consigliere per gli affari dell’amministrazione della giustizia Loris DAmbrosio, morto pochi giorni dopo per un infarto. DAmbrosio, che era un magistrato di grande esperienza e aveva lavorato insieme a Giovanni Falcone, ed è stato stato intercettato indirettamente due anni fa mentre parlava al telefono con Mancino, imputato nel processo. Su queste conversazioni erano state create polemiche che avevano investito il consigliere del Capo dello Stato. Ed è per questo motivo che DAmbrosio scrive una lettera a Napolitano in cui dice che è «profondamente amareggiato personalmente», e ritiene «inaccettabilmente calunnioso» l’attacco al Colle per i colloqui telefonici intercettati con Mancino, ed è certo che «i prossimi tempi vedranno spuntare accuse ancora più aspre che cercheranno di “colpire me” per “colpire lei”». E soprattutto: mai favorito Mancino né nessun altro. A luglio il Capo dello Stato decide di sollevare un conflitto di attribuzione contro la procura di Palermo dinanzi alla Consulta. Di lì a poco il giurista, a fianco di Napolitano da sei anni, muore improvvisamente. La lettera inedita di Loris D’Ambrosio e la risposta altrettanto inedita di Napolitano sono state inserite in un volume intitolato “Sulla giustizia” e distribuito durante l’inaugurazione, alla presenza del Capo dello Stato, della scuola superiore della magistratura a Scandicci, alle porte di Firenze. L’occasione e il luogo non sono stati certo casuali per la pubblicazione del carteggio. Il senso è stato proprio quello di sottolineare la «trasparenza e la coerenza» con cui Napolitano ha affrontato la questione ricorrendo, come «decisione obbligata» e che «non offusca» il sostegno ai magistrati antimafia, al sollevamento del conflitto di attribuzione. Le due lettere, peraltro, in omaggio a una trasparenza formale e sostanziale, non sono trascritte ma riprodotte nel libro nella copia originale firmata dai rispettivi autori. Che concordano sul fatto che attaccare il consigliere significa attaccare il Capo dello Stato. Lo stesso presidente, nella risposta del 19 luglio, conferma al proprio collaboratore «affetto e stima intangibili neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me». «Ce ne saranno ancora - prosegue il presidente - è probabile: li affronteremo insieme come abbiamo fatto negli ultimi giorni». I pm di Palermo chiedono di sentire il presidente Napolitano su un passaggio delle lettera di dAmbrosio nella quale scrive: «Lei sa» riferendosi al presidente Napolitano a proposito di ciò che è avvenuto nel 1992 e 1993 «che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Il consigliere spiegava al Capo dello Stato che «Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei vari procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze». I magistrati voglio comprendere, dal testimone Giorgio Napolitano, se il suo consigliere gli ha fatto altre confidenze o rivelazioni che possono rigaurdare eventuali trattative che sono state poste in essere nel periodo delle stragi di Falcone, Borsellino e di quelle del Nord Italia. Fatti per i quali si è aperto il processo a Palermo. CASTA Luca De Carolis per Il Fatto Quotidiano Dichiara guerra a tutte le pensioni doro, che ci costano ogni anno 14 miliardi. Ma ce lha soprattutto con quelle dei presidenti della Corte costituzionale: Sono i guardiani della Carta, dovrebbero dare lesempio. E invece ignorano sistematicamente una norma della Costituzione, guadagnandosi benefit e pensioni più ricche. Giorgia Meloni, deputata e co-fondatrice di Fratelli dItalia, ha scritto sul tema anche al presidente della Repubblica. Onorevole, nella sua lettera a Napolitano parla di possibile elusione della Carta da parte della Consulta. Larticolo 135 stabilisce che la Corte elegge tra i suoi membri il presidente, che rimane in carica per un triennio. Per prassi consolidata viene scelto sempre il più anziano, che rimane in carica pochi mesi e poi va in pensione. E ciò gli permette di ottenere un trattamento pensionistico e unindennità superiori a quelle maturate prima che diventasse presidente. Quindi? Come ho spiegato anche martedì a Ballarò, chiedo al Capo dello Stato di utilizzare il suo ruolo per far cessare questa consuetudine. Dal 1957 a oggi solo cinque presidenti della Consulta sono rimasti in carica almeno tre anni (lincarico è rinnovabile, ndr). Nello scorso luglio voi di Fratelli dItalia avevate protestato sotto la sede della Corte. Certo, perché i giudici avevano bocciato come incostituzionale il prelievo di solidarietà sulle pensioni doro. Era stata una mia battaglia: pretendere un contributo del 5 per cento sulla parte eccedente il tetto dei 90 mila euro di pensione. E aveva funzionato: il prelievo è stato applicato sia dal governo Berlusconi che da quello Monti. Poi però la Consulta ha detto no. I giudici sostenevano che il prelievo violasse larticolo 3, quello che prevede luguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, perché colpiva solo una categoria, ossia i pensionati. In più, facevano distinzione tra redditi e pensioni. Ma è la stessa Corte che lanno scorso aveva definito illegittimo anche il prelievo sui maxi-stipendi del settore pubblico. È davvero arrabbiata con la Corte. Io dico che fa riflettere come tutti i presidenti della Consulta siano pensionati doro. So che questa non è una battaglia facile, ma voglio andare avanti. Come? A luglio avevo chiesto un incontro a Napolitano, senza esito. In agosto ho presentato una proposta di legge: prevede un tetto massimo di 5 mila euro alle pensioni. Se qualcuno ha versato contributi che giustifichino una cifra superiore, si può ritoccare. Altrimenti il tetto è quello. Perché proprio 5 mila euro? Perché è una cifra dieci volte superiore alle pensioni minime. Mi pare che sia sufficiente per vivere tranquilli. Quante sono le pensioni sopra questo tetto? Circa 288mila, per un valore di 14 miliardi. Io voglio tagliarle, così da ricavarne risorse per i giovani, i precari, le famiglie. Cè qualcuno che appoggia il suo ddl? Ho scritto ai capigruppo e a tutti i parlamentari, invitandoli a sostenere il testo. Sono disposta anche a non comparire come prima firmataria. Mi hanno promesso appoggio esponenti di tutti i partiti. Ma il testo a che punto è? Il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, non lha ancora messo in calendario. Lo chiamerò presto per sollecitarlo. Twitter @lucadecarolis DA WIKIPEDIA: NOMI E DURATA DEI PRESIDENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE DAL 1990 A OGGI: IN 23 ANNI, 23 PRESIDENTI! Giovanni Conso 23 ottobre 1990 3 febbraio 1991 3 mesi e 11 giorni Ettore Gallo 4 febbraio 1991 14 luglio 1991 5 mesi e 10 giorni Aldo Corasaniti 15 luglio 1991 14 novembre 1992 1 anno, 3 mesi e 30 giorni Francesco Paolo Casavola 15 novembre 1992 25 febbraio 1995 2 anni, 3 mesi e 10 giorni Antonio Baldassarre 26 febbraio 1995 8 settembre 1995 6 mesi e 13 giorni Vincenzo Caianiello 9 settembre 1995 23 ottobre 1995 1 mese e 14 giorni Mauro Ferri 24 ottobre 1995 3 novembre 1996 1 anno e 10 giorni Renato Granata 4 novembre 1996 4 novembre 1999[9] 3 anni Giuliano Vassalli 11 novembre 1999 13 febbraio 2000 3 mesi e 2 giorni Cesare Mirabelli 23 febbraio 2000 21 novembre 2000 8 mesi e 29 giorni Cesare Ruperto 5 gennaio 2001 2 dicembre 2002 1 anno, 10 mesi e 27 giorni Riccardo Chieppa 5 dicembre 2002 23 gennaio 2004 1 anno, 1 mese e 18 giorni Gustavo Zagrebelsky 28 gennaio 2004 13 settembre 2004 7 mesi e 16 giorni Valerio Onida 22 settembre 2004 30 gennaio 2005 4 mesi e 8 giorni Piero Alberto Capotosti 10 marzo 2005 6 novembre 2005 7 mesi e 27 giorni Annibale Marini 10 novembre 2005 9 luglio 2006 7 mesi e 29 giorni Franco Bile 11 luglio 2006 8 novembre 2008 2 anni, 3 mesi e 28 giorni Giovanni Maria Flick 14 novembre 2008 18 febbraio 2009 3 mesi e 4 giorni Francesco Amirante 25 febbraio 2009 7 dicembre 2010 1 anno, 9 mesi e 12 giorni Ugo De Siervo 10 dicembre 2010 29 aprile 2011 4 mesi e 19 giorni Alfonso Quaranta 6 giugno 2011 27 gennaio 2013 1 anno, 7 mesi e 21 giorni Franco Gallo 29 gennaio 2013 16 settembre 2013 7 mesi e 18 giorni Gaetano Silvestri 19 settembre 2013 in carica Di Marco Lillo per Il Fatto Quotidiano Larmatore Paolo DAmico martedì scorso è stato nominato Cavaliere dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nonostante sia indagato per evasione fiscale dalla Procura di Roma nellinchiesta su don Scarano. A DAmico non mancano certo i titoli: Nato nel 1954 a Roma, si legge nel comunicato ufficiale, presidente del Gruppo dAmico, uno dei maggiori operatori del trasporto marittimo internazionale, con circa 90 navi e 1.500 dipendenti, tra i primi 10 operatori Tankers del mondo. E stato presidente di Confitarma. Non un parola sullaccusa dei pm romani Nello Rossi, Stefano Fava e Stefano Pesci di avere evaso le imposte oltre le soglie (2 milioni di reddito e 100 mila di imposta) che fanno scattare il reato previsto dallarticolo 4 del decreto 74 del 2000. Secondo la Procura, DAmico avrebbe trasferito presso istituti di credito svizzeri somme (in misura non inferiore a 40 milioni di euro) attivandosi poi al fine di far rientrare in modo illecito parte di tale provvista - circa 20 milioni di euro - grazie allapporto di monsignor Nunzio Scarano e del broker Giovanni Carenzio, i quali a loro volta individuavano nel sottufficiale dei Carabinieri Giovanni Zito, dipendente dei servizi segreti del Governo italiani (AISI) colui che avrebbe dovuto materialmente operare il trasporto in Italia mediante aereo privato. Quando Napolitano firma la nomina di DAmico e di altri 24 imprenditori, il 31 maggio, le accuse sono segrete. Il 28 giugno Il Fatto pubblica la notizia delliscrizione degli armatori sul registro degli indagati e quella stessa mattina Scarano finisce in carcere con il broker Carenzio e con lagente dei servizi segreti Zito. Il 3 luglio i pm interrogano il Cavaliere in pectore e DAmico nega: Quei soldi lì non sono riferiti a me, non mi appartengono e detto in maniera sincera, non avrei mai fatto unoperazione di questo tipo perché 20 milioni di euro in contanti in Italia non puoi nemmeno spenderli. Larmatore ammette solo di avere consegnato 3,5 milioni a Giovanni Carenzio, un broker sposato con una spagnola imparentata con la famiglia reale e che vive alle Canarie, dove ha avuto problemi con la giustizia per gli investimenti mai restituiti ai ricchi locali. Ai pm sbigottiti per linvestimento milionario alle Canarie e per i versamenti mensili da 20-30 mila euro a favore di Scarano, DAmico spiega: Ho strumenti mobiliari e contanti intorno ai 22 milioni di euro, il mio reddito annuale questanno è stato di 7 milioni e mezzo e questo è stato un anno povero. DAmico giura di non avere nulla a che fare con il rimpatrio dei 20 milioni. Il Tribunale però, nel valutare la posizione degli arrestati mostra di non credergli e lo definisce: Committente delloperazione di rimpatrio dei 20 milioni di euro su uno dei due conti del monsignore allo Ior. Quando legge sul Fatto le notizie su DAmico, il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro scrive alla Procura per avere informazioni. Nonostante le conferme dei pm però il Quirinale va avanti per la sua strada. Una scelta coerente per un presidente eletto il 20 aprile grazie ai voti di un Cavaliere già condannato in appello (e poi con sentenza definitiva) per frode fiscale, reato più grave di quello per il quale è solo indagato DAmico. Prima di togliere il titolo allarmatore Napolitano dovrebbe disarcionare il Cavaliere che lo ha votato. Anche in caso di condanna nessuno toccherà il titolo di DAmico che può dormire sonni tranquilli: come si dice in Campania, il pesce puzza dalla testa. GIUSTIZIAINGIUSTA-di Patricia Tagliaferri per il Giornale Nemmeno un cartellino giallo. Come prevedibile stanno per finire in archivio le inchieste del Csm sul giudice Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che lo scorso primo agosto ha confermato la condanna a 4 anni di reclusione per frode fiscale a Silvio Berlusconi e che cinque giorni dopo ha anticipato in unintervista al Mattino le motivazioni della sentenza. Grazie a lui, quando il relatore non aveva neppure cominciato a scriverla la motivazione della condanna che rischia di chiudere la carriera politica del Cavaliere, tutti hanno potuto leggere sul quotidiano di Napoli il principio in base al quale era stato condannato lex premier per il processo Mediaset, quellormai famoso «non poteva non sapere perché Tizio, Caio e Sempronio glielo avevano riferito». Berlusconi era stato condannato «perché sapeva», dunque, nonostante non ci fosse traccia nelle carte di testimoni che sostengono questo. La scandalosa chiacchierata di Esposito con lamico giornalista - da qualcuno, come il presidente dellAnm Rodolfo Sabelli e il presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, considerata solo inopportuna, da altri in grado di inficiare la condanna - ha sollevato un putiferio, nonostante linutile smentita del giudice a sua volta sbugiardata dalla pubblicazione sul Mattino dellaudio dellintervista. Il Consiglio superiore della magistratura si era mosso su sollecitazione dei consiglieri laici di area Pdl e la prima commissione competente sui trasferimenti dei magistrati per incompatibilità ambientale aveva acquisito laudio integrale della colorita conversazione in dialetto stretto, finora mai reso pubblico. Sembrava ci fossero i presupposti per una dura presa di posizione del Csm, invece niente, sta per finire tutto in una bolla di sapone e il giudice Esposito sta per essere nuovamente graziato dai consiglieri di Palazzo dei Marescialli che già in passato si erano trovati alle prese con le sue gesta. Anche se non cè ancora un voto formale, sarebbe unanime lorientamento della commissione presieduta dal laico Annibale Marini favorevole allarchiviazione proposta dal togato di Unicost Mariano Sciacca. Ma quella che si profila per Esposito non sarebbe un«assoluzione» piena, visto che a Palazzo dei Marescialli concordano quasi tutti sullinopportunità di quellintervista. Si ritiene, però, che la vicenda possa avere semmai rilievo disciplinare, materia questa del Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, mentre lorgano di autogoverno dei giudici ha come unico strumento a disposizione lavvio di una procedura di trasferimento dufficio per incompatibilità ambientale. Tra breve sapremo se anche la pre-istruttoria sulla vicenda avviata da Ciani già prima che si muovesse la prima commissione, finirà in un nulla di fatto. Lindagine della Procura Generale è ormai agli sgoccioli e al termine degli accertamenti Ciani deciderà se avviare lazione disciplinare nei confronti del giudice chiacchierone. Pare sia destinata allarchiviazione anche laltra pratica aperta nel bel mezzo del putiferio post-intervista su segnalazione dello stesso Esposito che denunciava una campagna stampa di delegittimazione nei suoi confronti. INTERNI PD-di Wanda Marra per Il Fatto Quotidiano A Largo del Nazareno, uno chiuso in una stanza, l`altra in un`altra, Stefano Di Traglia, ex portavoce di Pier Luigi Bersani e Chiara Geloni, direttrice di Youdem, correggono le bozze del libro-bomba che stanno scrivendo sulle consultazioni dell`ex segretario democratico, quelle che portarono allo sfaldamento del Pd, durante il voto per il presidente della Repubblica, alla rielezione di Napolitano e al governo di larghe intese. Si chiama Giorni bugiardi, esce il 6 novembre. Si annunciano retroscena e rivelazioni. I due, che sentivano di avere già in tasca un posto a Palazzo Chigi insieme al loro capo, assomigliano agli ultimi dei giapponesi. E tra l`altro, i contratti di entrambi con il Pd sono in scadenza a dicembre. I due in prima linea da sempre contro l`ex Rottamatore sono i primi a cui si chiedono informazioni quando viene tirata in ballo qualche vicenda opaca che lo riguarda. Ieri Repubblica riportava l`sms arrivato a alcuni giornalisti: Libero e il Giornale stanno facendo nero Renzi, rispolverando tutte le menzogne che lo riguardano (e non è finita, ricordate il caso Lusi?). In altri tempi, avreste chiesto con editoriali, pezzi, corsivi, eccetera eccetera spiegazioni di tutto questo. Pretendere trasparenza e verità soprattutto da chi dice di volere candidarsi premier, credo sia un dovere. Il riferimento è all`indagine sulle spese sostenute da Renzi quando era presidente della Provincia - uscite in prima battuta sul Fatto. Ma insomma i dossier esistono? E chi ce l`ha? Nel libro si allude a fatti sconosciuti che lo riguardano? Veramente no, noi non abbiamo dossier. E comunque neanche l`sms si riferiva alla vita privata di Matteo, come qualcuno ha detto e scritto in questi giorni - si schernisce la Geloni -ma a queste questioni. Bisogna seguire i soldi? Sì, i soldi. E comunque, l`unico dossier che è uscito finora è stato quello sugli stipendi dei dipendenti del Pd. Quello in cui si diceva che lei guadagnava 6000 curo al mese. Cifra che fece scattare l`indignazione di molti. Per quel dossier molti accusarono Lino Paganelli, che all`epoca dei fatti (era marzo) era diventato renziano da pochi mesi e per questo caduto in disgrazia. Non certo un clima sereno: Quando c`è un congresso, c`è sempre il rischio che le cose degenerino, spiega la Geloni. Però, basta con questo clima. Adesso qualche sostenitore del sindaco di Firenze accusa Di Traglia di essere l`autore del messaggio. Ma quale messaggio! Smettiamola, pensiamo alla politica, dice lui. E poi ricorda: Sono settimane che di Bersani si parla solo a proposito della stanza, dello stipendio, dell`inchiesta sul conto. L`inchiesta è quella tirata fuori dal Fatto, secondo cui ci sarebbe un conto intestato a Bersani e a Zoia Veronesi, sul quale sarebbero confluiti alcuni dei soldi dei contributi privati al partito. Nervi a fior di pelle. Sembra di essere tornati a un anno fa, quando tra i sostenitori di Bersani contro Renzi alle primarie si faceva a gara a offrire spunti di ricerca, di indagini, di possibili inchieste. Era la fase della grande paura, il momento in cui l`establishment del partito era schierato compatto contro il sindaco di Firenze. E i fiorentini erano i più attivi di tutti. Ora i fiorentini si descrivono talmente disorganizzati e sparpagliati da non essere in grado di produrre dossier. Qualcuno, a Roma, suggerisce che forse qualcosa c`è sulle spese per la campagna elettorale di Renzi. O qualcuno fa battute a sfondo sentimentale. Schegge di fango impazzite. E la grande paura di perdere per sempre. Anzi di aver già perso. I renziani ostentano superiorità. Non poco rabbiosa. Sono minchiate infantili di gente che non è cresciuta, punta il dito Angelo Rughetti. E c`è chi arriva a ipotizzare che il veleno sia stato ritirato fuori dall`armadio dove era stato riposto l`anno scorso perché i sostenitori di Cuperlo sperano in una bassa partecipazione. Metodi democratici. ECONOMIA Di Giorgio Meletti per Il Fatto Quotidiano Una cena a porte chiuse a Roma, palazzo De Carolis, cento metri da palazzo Chigi. Era il tempio dei riti di potere di Cesare Geronzi, adesso è lavamposto romano del numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni. Ieri sera una selezionatissima rappresentanza di banchieri, uomini delle istituzioni (come il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini), e power broker come linossidabile Gianni Letta e la direttrice di Confindustria Marcella Panucci, hanno accolto linvito di Ghizzoni e si sono messi a tavola per ascoltare lidea meravigliosa del direttore generale di Unicredit, Roberto Nicastro: Un maxi programma di garanzie parziali, volte alla mitigazione del rischio per gli operatori privati. In parole povere, lo Stato deve garantire una somma tra i 50 e i 70 miliardi per coprire la spalle alle banche. Un piano di garanzie parziali per un ammontare di 50-70 miliardi - ha spiegato Nicastro - potrebbe generare unofferta di credito per 100-140 miliardi, il tutto con un impatto estremamente limitato sul deficit pubblico a partire dal 2015. Cè però impatto sul debito, come hanno scritto giorni fa al premier Enrico Letta il presidente dellAssociazione bancaria (Abi) Antonio Patuelli e quello della Confindustria Giorgio Squinzi, avanzando una proposta analoga. Le banche italiane dunque se la passano male, e 140 miliardi è esattamente lammontare delle loro sofferenze, cioè i crediti che non riescono a farsi rimborsare da clienti che, come disse Ghizzoni stesso, glielo mettono in quel posto. La soluzione proposta dai banchieri e che dora in poi se qualcuno glielo mette in quel posto scatti la garanzia statale: questo darebbe vigore alla ripresa economica. Il problema è molto serio, perché qui non si tratta di furbetti del quartierino ma di grandi banche davvero conciate male. In altri grandi Paesi (Gran Bretagna e Germania su tutti) la crisi degli ultimi anni è stata accompagnata da massicci sostegni alle banche. In Italia, complice la penuria delle casse pubbliche, si è preferito buttare la polvere sotto il tappeto. Adesso le banche danno segnali contraddittori. In vista del passaggio alla vigilanza unica europea e ai connessi esami del sangue sulla solidità del patrimonio, dicono che le regole Bankitalia sono le più severe, e che se si seguissero i parametri di altri Paesi le sofferenze risulterebbero ridotte di un terzo. Però poi fanno trapelare notizie allarmate, utili per creare un clima favorevole allintervento dello Stato. Per esempio quella delle ispezioni Bankitalia in corso presso le due banche maggiori, Unicredit e Intesa, con attenzione particolare alladeguatezza delle rettifiche di valore sui crediti deteriorati: in pratica sulla solidità patrimoniale a fronte delle perdite sui crediti che non tornano indietro. Lo stesso ex premier Romano Prodi ieri ha spezzato una lancia a favore delle banche, scrivendo ieri nel suo editoriale sul Messaggero che per far ripartire leconomia bisogna ridare fiato al nostro sistema bancario, eccessivamente punito da una rigida interpretazione delle nuove regole europee e, dopo sei anni di crisi, ovviamente appensantito da un insopportabile peso di debiti cattivi. Esso non è più in grado di fare il proprio mestiere. Lex presidente dellIri sa di che cosa parla: si prepara un salvataggio bancario di fronte al quale quello per il quale Mussolini creò lIri ottantanni fa impallidisce. ESTERI FRANCIANERA-Di Mauro Zanon per il Foglio Noi, maestri di scuola elementare, professori di liceo, docenti universitari, che facciamo parte del sistema educativo generale, tecnologico e professionale, del settore pubblico e privato, ci battiamo, affianco al Rassemblement Bleu Marine, per il redressement dellÉcole de la République. Così si presentano nel loro sito ufficiale i membri fondatori del Collectif Racine, unassociazione di insegnanti patrioti, di diversa matrice politica, ma concordi con il Front national sullurgenza di una ridefinizione dei contenuti e delle pratiche del sistema educativo francese, che la rivoluzione politico-pedagogica imposta dallattuale ministro dellIstruzione, Vincent Peillon, sta mandando in frantumi. LAppel pour le redressement de lécole, pubblicato sul Figaro del 2 maggio scorso, fu latto di fondazione del collettivo che fin da subito rivendicò la vicinanza al Fn. La volontà di presentarsi come associazione di sostegno, movimento di patrioti per combattere accanto a Marine e al suo Rassemblement Bleu contro la dittatura del pensiero unico e il secolarismo estremista dei nuovi laici di Francia. La conferenza di lancio si è tenuta sabato scorso, allEspace Moncassin, nel XV arrondissement, dove ad attendere Marine Le Pen, Florian Philippot e i promotori delliniziativa cera una sala piena. Secondo Nicolas Lebourg, professore di Storia allUniversità di Perpignan ed esperto del Front National, più dell8 per cento dei voti raccolti da Marine Le Pen durante le ultime presidenziali, sarebbe arrivato dal mondo degli insegnanti. Fanno già parte del Collectif Racine un centinaio di professori, tra i quali Gilles Lebreton, ordinario di Diritto pubblico allUniversità di Le Havre e autore di uno dei più importanti manuale di Diritto amministrativo, Valérie Laupies, ex militante di sinistra, dirigente scolastico a Tarascon, dove è anche candidata per il Fn alle prossime municipali, e Alain Avello, professore di Filosofia e cofondatore del movimento. Sono questi i nuovi volti della destra lepenista, di un partito pop che sa sedurre le élite, che si è dediabolizzato, ed è composto e votato da persone che non hanno più paura di dire io voto Front national. Sono lontani i tempi in cui la leader del Fn definiva gli insegnanti, in maniera colorita, crassouillards e fumeurs de shit aux savates éculées, cioé puzzoni e fumatori di hashish con le ciabatte rotte. Cè unaltra Marine, ora. Il patto repubblicano Ump-Ps si è spezzato, élite e giornaloni benpensanti la temono, il Monde soprattutto, che in quindici giorni ha sfoderato due editoriali sulla grande paura dellestablishment di fronte al rischio Fn. Ma la verità è che Marine è riuscita a riportare al centro dellattenzione un termine caduto in desuetudine nella Francia delluguaglianza imposta per decreto, il merito. E con esso, lautorità e il rispetto, necessari per redresser lécole, contro lindividualismo nato col 68, come ha dichiarato nel discorso di chiusura alla conferenza di chiusura di sabato. Citando Racine: Légalité par lexcellence et non légalitarisme par la médiocrité. CULTURA e SPETTACOLO RAI-Il tribunale di Roma, giudice Giuseppina Leo, ha dato torto alla tv di Stato nella causa intentata dal giornalista Emanuele Fiorilli. Nel 2011 Fiorilli viene trasferito in tutta fretta dalla sede di Madrid a quella di Istanbul,vacante da 10 mesi. Ma dopo neppure tre mesi il cda, su proposta dellallora direttore generale Lorenza Lei, decide la chiusura delle redazioni di Mosca, Nairobi, New Dehli, Buenos Aires e Istanbul. Questultima era decisamente strategica perchè copriva anche i Balcani, la Grecia, Cipro, la Romania e la Bulgaria. La cosa incredibile è che la sede in Turchia non era mai comparsa nella lista degli uffici da chiudere. Per Fiorilli, fatto letteralmente scappare da Madrid, si tratta di una beffa da commedia allitaliana. Ma non è finita. Lorenza Lei e il capo del personale Flussi richiamano il malcapitato a Roma e lo mettono a disposizione di Antonio Preziosi, il berlusconissimo direttore del Giornale radio. Per oltre un anno Fiorilli viene trattato come un fantasma. Gli fanno capire che deve ritenersi fortunato a prendere uno stipendio senza far nulla, ma lui non ci sta perchè invece vuole lavorare e fare il giornalista, come ha sempre fatto. A febbraio è partita la causa contro la Rai, decisa ieri nel merito dopo che lazienda ha tentato di convincere il giudice che si stava valutando una riapertura di Istanbul. Fiorilli, difeso dallavvocato Fabio Rusconi del Foro di Firenze, si è visto riconoscere il demansionamento e lillegittimità del trasferimento a Roma. Il giudice ha anche ordinato alla Rai il suo reintegro come corrispondente responsabile di sede estera. Di Marco Castoro per La Notizia Giornale.it La Rai non finirà mai di stupire. Non solo per i compensi non pubblicati sul sito, oppure per i contratti faraonici dei suoi big o per gli sprechi dei rimborsi gonfiati. Lultima chicca riguarda le nomine. Il capo del personale, Luciano Flussi, viene sostituito da Valerio Fiorespino, attuale direttore delle risorse televisive. E dove finisce Flussi? Per lui viene creato un nuovo ruolo: il direttore generale aggiunto della Sipra, oggi Rai pubblicità. Un po come accade allAgenzia delle entrate. Un bel parcheggio di prestigio non si nega a nessuno, soprattutto a Viale Mazzini.Rai pubblicità ha Luigi Gubitosi come presidente, Lorenza Lei è lamministratore delegato e Fabrizio Piscopo il direttore generale. Unaltra nomina che si assegna riguarda la Tgr. A rimpiazzare il dimissionario Alessandro Casarin sarà Vincenzo Morgante, il responsabile della sede Rai della Sicilia, stimato e apprezzato dallOpus Dei, dallex presidente del Senato Renato Schifani e dalla procura di Palermo. Appalti e spese della Rai nel mirino Una nuova indagine tormenta i vertici di Viale Mazzini. Gli ispettori sono già al lavoro. Ne dà notizia il settimanale Panorama, secondo il quale sono state avviate due diverse indagini: una sul festival di Sanremo e una sulla gestione amministrativa della sede di Londra, di cui è responsabile Antonio Caprarica. Gli ispettori della Rai, scrive Panorama, si stanno occupando di due dirigenti che hanno gestito il bando della gara dappalto da 400 mila euro per le luci e i sistemi audio del Festival condotto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Ci sarebbero irregolarità nel capitolato, finalizzate a far vincere una determinata società. Anche gli appalti di altre edizioni della kermesse sanremese sarebbero nel mirino dellaudit. Come pure, al di là di Sanremo, gli appalti esterni dellarea montaggio della Rai. A Londra, invece, scrive ancora il settimanale, gli ispettori avrebbero riscontrato imprecisioni amministrative nella sede Rai. RadioRai, Preziosi sotto assedioContinua il bombardamento ai danni del direttore di Radio 1 e del Giornale radio, Antonio Preziosi, la cui gestione è finita sotto accusa da quando i dati di ascolti sono sensibilmente peggiorati. Il direttore rischia il posto (per lui cè sempre pronta la corrispondenza da Bruxelles). Della crisi della radio se nè parlato anche nellincontro tra il dg, lUsigrai e il comitato di redazione. Di Gaetano Pedullà per La Notizia (lanotiziagiornale.it) Una gigantesca evasione fiscale, che coinvolge nomi di primo piano tra i manager di Wind, compreso lex amministratore delegato Luigi Gubitosi. È questo il sospetto del nucleo valutario della Guardia di Finanza, che ha notificato al gruppo di telefonia mobile lavvio di un nuovo accertamento sullemissione di bond non senior. Non è infatti la prima volta che le Fiamme gialle puntano un faro sulla società il cui controllo è passato nel tempo da Sawiris al gruppo russo Wimpelcom. Già nel 2010 uninchiesta della Guardia di Finanza di Roma sollecitata dallAgenzia delle Entrate si era conclusa con la contestazione di 60 milioni di euro per non aver versato dal 2006 al 2009 la ritenuta dacconto del 12,5% sulle emissioni di bond non senior per circa 300 milioni effettuate attraverso una ventina di scatole societarie lussemburghesi. Operazioni per 4,8 miliardi Un meccanismo che gli inquirenti ora sospettano sia stato replicato su altre operazioni simili. Nellarco di tempo sotto esame Wind, su pressione dellazionista, arrivò a raccogliere sul mercato circa 4,8 miliardi di euro. Somme sulle quali - è questa lipotesi - il management trovò il modo per non pagare tutte le tasse. A guidare le operazioni, allepoca, insieme a Gubitosi cera lattuale capo del legale di Wind, Mark Shalaby, lattuale Ceo di Wind Canada Pietro Cordova, il Cfo della compagnia Giuseppe Gola e il direttore del fiscale Filippo Annibaldi. La legge prevede che in caso di investitori esteri, una società italiana che mette debito debba versare allerario il 12,5% sugli interessi corrisposti, a titolo di ritenuta dacconto che poi andrà a compensarsi a seconda del regime fiscale a cui è assoggettato anche linvestitore estero. Qualora però una società nellUnione europea faccia da veicolo (attraverso unattività di raccolta finalizzata a un prestito infragruppo) questo 12,5% non è più dovuto. Pertanto un prestito infragruppo conferito da una controllata - ad esempio, basata in Lussemburgo - alla controllante Wind è unattività sicuramente lecita. Cosa diversa è però se le società veicolo non hanno le seguenti caratteristiche: i titoli non sono quotati alla Borsa lussemburghese; la società schermo è fittizia e non ha una sede ben precisa con una sua effettiva attività; se non ricarica un margine sui prestiti alla controllante, non gestisce la tesoreria attraverso un responsabile finanziario e non ha dipendenti. Tutte caratteristiche essenziali che secondo la Guardia di Finanza non sono riscontrate nelle circa venti società estere costituite da Wind allepoca dellamministrazione Gubitosi per raccogliere denaro presso gli investitori esteri. In fila allo studio Vitali-Tremonti Queste strutture, che sono simili in quasi tutti i grandi gruppi industriali italiani, ricordano per la quantità degli importi casi come Cirio e Parmalat. Per questo lindagine del 2010 della Guardia di Finanza creò non poca preoccupazione tra i manager Wind dellepoca, con i noti frequenti viaggi di Gubitosi presso lo studio Vitali-Tremonti, al 57 di via della Scrofa, a Roma. E anche per questo - lo stesso Gubitosi avrebbe avuto argomenti forti nel contrattare la sua favolosa buonuscita dal gruppo di telefonia, nellaprile 2011, portando a casa 8 milioni e mezzo. Un tesoretto con cui si è fatto casa anche a New York. Una tegola per Ibarra La grana adesso è in mano a Maximo Ibarra, il Ceo succeduto a Gubitosi in Wind. Se le ipotesi di reato al vaglio della Guardia di Finanza e dellAgenzia delle Entrate trovassero riscontro il risultato sarebbe una enorme cifra da accantonare per pagare quanto sottratto al Fisco. Senza contare tutti gli altri effetti giudiziari. AFORISMI e BATTUTE Se te la prendi con un ubriaco, pensa che ferisci un assente.
Posted on: Thu, 17 Oct 2013 16:57:09 +0000

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