PER APPROFONDIRE: Grandezza ed umiltà del Beato Michele - TopicsExpress



          

PER APPROFONDIRE: Grandezza ed umiltà del Beato Michele Rua Commemorazione nel centenario della morte (Catania-Barriera, 11 aprile 2010) Per comprendere il ruolo del Beato Michele Rua nella storia civile ed ecclesiastica dei secoli XIX-XX, occorre scomporre la sua figura poliedrica, dispiegatasi nell’arco di 73 anni (tanti quanti quelli di S. Giovanni Bosco), almeno nei quattro settori dell’impegno educativo, dell’impegno religioso, dell’mpegno politico, dell’impegno sociale. Tutti in armonica continuità col pensiero e l’azione del Fondatore della Famiglia Salesiana. L’impegno educativo e missionario 1.Michele Rua crebbe nell’oratorio, bevve lo spirito di Valdocco, visse per l’ideale educativo dello stile preventivo, impegnandosi - primo di una lunga schiera - anche con i voti della professione religiosa, a incarnare e continuare il carisma del Fondatore, San Giovanni Bosco. L’offerta del Padre: “Michelino, tu ed io faremo tutto a metà”, nell’opera del Beato, si tradusse in realtà in una tale perfetta e umanamente la maggiore possibile sintesi, per cui Don Bosco sarebbe risultato incompleto e forse sfigurato, se la personalità di Don Rua non avesse fatto da contrappunto, mantenendosi in posizione subordinata, lui vivo, e non avesse espresso tutte le potenzialità del carisma salesiano, che erano come la metà nascosta, su cui poggiava l’azione geniale del Fondatore, svelatesi dopo la sua morte. Divenne il primo Salesiano il 25 marzo del 1855, facendo i voti per un anno. Nel 1859 fu tra quei primi fortunati ai quali don Bosco fece l’invito di continuare l’esercizio di carità verso i giovani. Dopo l’ordinazione sacerdotale, quando aveva soli 26 anni, Don Bosco non esitò ad inviarlo, come direttore, al Piccolo Seminario di Mirabello. Lavoratore instancabile, come lo diceva Don Bosco, e oberato da mille occupazioni e preoccupazioni, non smise mai di ascoltare le confessioni dei giovani, tanto che nella sacrestia del Santuario di Maria Ausiliatrice, accanto al confessionale di Don Bosco, c’era anche quello di don Rua. Per 30 anni i giovani lo cercarono ogni mattina, e poterono coglierne la saggezza dei consigli e la forza della direzione spirituale. Stima e affetto in risposta alle sue premure educative ebbero modo di esprimersi quando guarì miracolosamente da una grave peritonite e potè tornare ad affacciarsi timidamente sotto i porticati, tra l’esplosione di gioia commossa di ondate di ragazzi. Nell’ora delle ricreazioni, a Mirabello e poi a Torino, era sempre presente tra i giovani, come il più gaio e il più vivace dei Salesiani. Dal 1875 al 1885 Don Bosco visse il suo decennio più intenso, bruciando inesorabilmente la sua vita. A Don Rua toccò tenere salde nelle mani tutte le fila del santo fondatore, perché nessun frammento del suo amore ai giovani andasse perduto. Giovanni Paolo II esaltava la sua frequentazione dei Salesiani in Polonia, ove il genio di Don Rua non mancò di far sentire la sua azione non impedendo che un confratello - ora beato: Bronislao Markiewicz - portasse una voce nuova, ma perfettamente coerente con il suo stile di assoluta fedeltà al pensiero di Don Bosco. Accanto a lui potremmo citare lo sbocciare di altri santi, come il Beato Augusto Czartoriski, che da ricco qual era si fece povero nello stile di quella virtù caratteristica di Don Rua, di estrema ma contenta povertà, che vigeva a Valdocco, ove il rigido inverno non permetteva all’acqua di scorrere e i confratelli per lavarsi dovevano sciogliere la neve presa con le mani dagli abbaini delle loro stanzette; la beata madre Maddalena Morano, apostola della Sicilia salesiana; nonché di allievi come Zeferino Namuncurá e Laura Vicuña. L’ardore educativo, fattosi espansione missionaria, prese tale consistenza che bastano le cifre a documentarlo: da 700 salesiani alla morte di Don Bosco ai 4000 alla morte di Don Rua, da 64 opere in 6 nazioni, a 341 in 30 nazioni del Vecchio e del Nuovo Continente. E come non ricordare il suo interesse per i giovani della terra di Gesù, a Nazaret, ove ancora la scuola aperta a tutti, testimonia un’azione da pioniere nel dialogo, sia pure coi limiti culturali del tempo, fra religioni diverse? Le missioni dalla Patagonia e dalla Terra del Fuoco, nel 1910 avevano varcato i confini del Brasile, dell’Ecuador, della Cina, dell’India, dell’Egitto e del Mozambico. Quindi Don Rua intraprese lunghi viaggi, non per ricevere applausi o riconoscimenti, che pure ci furono, ma per incontrare soprattutto i confratelli e continuare quello spirito di famiglia voluto da Don Bosco, per cui tutti dovevano sentirsi un cuor solo e un’anima sola. Ed è meraviglioso costatare che questo servizio non ostacolò il suo forte governo, ma motivò le sue decisioni e iniziative innovative, per cui non desta meraviglia il prodigioso incremento numerico dei soci salesiani e il fascino sui giovani, che a stormi chiedevano di farsi salesiani. L’impegno religioso e morale 2.Fu certamente espressione della sua serietà d’impegno nella vita religiosa la martellante esortazione, ai confratelli salesiani, di fedeltà alla consegna di Don Bosco: operosità instancabile e temperanza. Trasmise così il patrimonio spirituale ereditato, con rigore e integralità, in Italia e all’estero. Una cordiale mansuetudine, unita ad una ferma disciplina, come valore educativo per i confratelli e i giovani, tennero desto lo spirito oratoriano, per il quale era solito affermare: “ogni casa deve essere un oratorio”. La pratica sacramentaria, superati residui giansenistici, si attestò su posizioni di benevolenza, intrinseci all’amorevolezza salesiana, ma senza compromessi con qualsiasi forma di lassismo. Anzi la sua formazione spirituale lo portò ad evidenziare l’impegno ascetico connesso con lo stato religioso, ma senza traumi di scrupoli e misogenismi depressivi. La frequenza ai sacramenti, cardine dello stile preventivo salesiano, fu incrementata e approfondita attraverso richiami a ricorrenze giubilari e mensili, e a innovative pratiche di pietà. L’austerità quasi innata, mitigata dall’allegria salesiana, diede alla sua paternità un qualcosa di aristocratico e ne fece come un ritratto solenne di Don Bosco. L’attenzione e la predilezione per i giovani più poveri, esaltò lo stile educativo salesiano di educare i giovani attraverso i giovani. Le pratiche specificatamente di pietà che ebbero notevole attenzione furono principalmente: il culto di Maria Ausiliatrice, bandiera della Società Salesiana, datale in consegna da Don Bosco, che ebbe in Don Rua due significativi momenti di rilancio, con l’incoronazione della Vergine nella sua basilica di Valdocco nel 1903, e in quella di Maria Liberatrice a Roma nel 1909. Ma accanto alla devozione alla Vergine, nella fedeltà ai tridui, alle novene, alle celebrazioni delle sue feste, alla commemorazione mensile, Don Rua, che aveva condiviso le fatiche di Don Bosco per costruirne la basilica romana, si può ben dire il promotore del culto strutturato al S.Cuore di Gesù nella famiglia salesiana, consacrata a lui nel 1900 e mantenuta viva con la pratica dei nove uffizi, dei primi venerdì del mese, dell’ora santa, della guardia d’onore, dell’apostolato della preghiera. A S.Gregorio di Catania si mantenne, fino alla chiusura delle sedi di formazione alla vita salesiana, la fedeltà alla coroncina del S.Cuore ogni venerdì. L’amore al papa, caratteristica voluta da don Bosco, lanciò la falange Salesiana a difesa dell’ortodossia, e la tenne lontana da dispute scritturistiche e liturgiche, che sfociarono spesso, in quegli anni, in aperta ribellione al catechismo in vigore. Un fatto doloroso, esasperato dalla stampa per molto tempo, si verificò a Varazze. Il Beato mantenne il più rigoroso silenzio fino all’accertamento dei fatti e il trionfo della verità. Forse per ringraziare il Signore dell’aiuto manifestato a tutta la Società salesiana in tale circostanza, intraprese il viaggio o pellegrinaggio in Palestina, ove prostrato sul santo sepolcro del Redentore, implorò serenità, fortezza e grazia per tutti i suoi figli, così duramente provati nella virtù, ritenuta da Don Bosco sommamente necessaria agli educatori cristiani. Il disimpegno politico 3.Don Rua si mantenne totalmente estraneo alla politica e alle contese di nazionalità, che dovevano portare inesorabilmente verso la catastrofe delle due guerre mondiali e delle lotte fratricide anche di paesi nominalmente cattolici e cristiani. La sua profonda attenzione e rispetto verso i laici, lo orientò in direzione dell’azione di incrementare le loro associazioni. Pur svolgendosi la sua vita - dal 9 giugno 1837 al 6 aprile 1910 - in un periodo di forti mutamenti e sconvolgimenti politici, è singolare come egli si sia attenuto alla politica del Pater Noster voluta da Don Bosco. Anche in occasione del terremoto di Messina, avvenuto qualche mese prima della sua morte, egli si mantenne essenzialmente nel solco della carità cristiana, soprattutto privata e di volontariato, che apportò aiuto immediato a quelle popolazioni e fece di ogni casa salesiana un nido di accoglienza per i giovani rimasti orfani e senza più legami familiari. Le guerre d’indipendenza, l’annessione del Meridione al progetto unitario della nazione italiana, la breccia di Porta Pia, come pure gli eventi di Francia e di Prussia, sembra non abbiano scalfito la sua fede nell’intervento divino a difesa dei diritti della Chiesa, seppure ne rimase amareggiato per la poca attenzione ai giovani, costretti ad arruolarsi e sacrificare la vita per mero prestigio di talune nazioni. Ma non scoraggiò la sua azione di governo nemmeno il problema della sua successione a Don Bosco, che divenne un onere fiscale pesantissimo, fino a costringerlo alla vendita di gran parte (della massima parte) delle terre acquistate da Don Bosco al Castro Pretorio, vicino alla stazione Termini di Roma. Quel che ne rimane oggi è poca cosa rispetto ai grandiosi progetti che ivi aveva sognato Don Bosco. E questo per pagare le tasse di successione. Ma non si inchinò a nessun politico, non chiese l’aiuto di nessun finanziere, non bussò alla porta di nessuna eminenza. E non chiese privilegi o promozioni per sé o per i suoi, né dal nuovo stato piemontese unitario, né dal tramontato stato della Chiesa. L’impegno sociale 4.Don Rua ereditò da Don Bosco un vivo interesse per i giovani lavoratori e per la classe operaia, oltre a una grande simpatia per tutte le forme di organizzazione, volte a proteggere e tutelare i diritti propri di ogni uomo. Ebbe buoni rapporti dal 1875 con Leone Harmel, riformatore sociale francese; assistette i numerosi gruppi di operai cristiani, che manifestarono in Italia, anche davanti al Papa, autore della Rerum Novarum. A lui deve la sua nascita a Torino il primo sindacato cattolico delle operaie dell’industria della moda. Si può dire che fece pure da mediatore durante scioperi e controversie fra operai e imprenditori, ottenendo per i primi compensi più equi e soprattutto rispetto dei diritti fondamentali della persona. Lo favorì in tale direzione la sua esperienza familiare, in quanto il padre, Giovanni Battista Rua, era stato custode della Fucina delle canne, stabilimento militare per la fabbrica delle canne da fucile e altro materiale bellico. La madre, Giovanna Maria Ferrero, era stata invece casalinga, con 5 figli delle prime nozze e 4 delle seconde, di cui l’ultimo fu proprio Michele, da accudire con amore, che divenne collaborazione con l’impegno apostolico del figlio, dopo la morte di mamma Margherita. Come don Bosco, era rimasto presto orfano di padre, e affidato alle cure del cappellano dell’Officina. Aveva frequentato le scuole elementari presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, ove Don Bosco era ricercato confessore. Don Rua non dimenticò mai questa sua origine operaia e forse perciò non si stancò mai di essere martire del lavoro. E promosse quelle scuole di formazione professionale, che contribuirono più delle demagogiche e velenose affermazioni di istituzioni a difesa dei lavoratori, a dare lavoro certo e pane sicuro a tanti giovani. Convinto che nelle controversie sociali la pazienza nel trattare, la carità per non esasperare, l’amore sincero di Dio per ottenere la conversione dei cuori, vengono dall’alto, non ricorse mai né stimolò alla violenza di nessun genere. E pose a presidio di popolose periferie, già preda del socialismo anticlericale, il tempio di Maria, Aiuto dei cristiani. Fu davvero il secondo Don Bosco. A lui si deve l’incremento dell’associazione dei Cooperatori Salesiani, del Bollettino Salesiano, delle missioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui fu il Direttore generale. Fu lui, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 1888, a prendere la mano di Don Bosco morente e a guidarla nell’ultima benedizione alla Famiglia salesiana, quella mano che da ragazzetto aveva sentito stringere attorno alla sua, accompagnata dalle ineffabili indimenticabili parole: “Prendi, Michelino, prendi”. Diventato vicario di Don Bosco e suo successore, nonostante allarmistiche voci di soppressione della Società fondata dal santo, fu veramente padre per tutta la famiglia salesiana: «Tutti i giorni, tutti gli istanti del giorno io li consacro a voi. Io prego per voi, penso a voi, agisco per voi come una madre per il suo figlio. Una sola cosa chiedo a voi: fatevi tutti santi e grandi santi». La sua caratteristica rimase la povertà e l’umiltà: povertà praticata rigorosamente nell’uso dei beni strettamente necessari, spesso dono di benefattori, e nel distacco affettivo da qualsiasi forma di arricchimento; umiltà sinceramente cosciente che solo Dio è grande, per cui non si sentì mai declinare sulle sue labbra il pronome personale “io” e mai mise il suo “io” al posto di Dio. E fu grande. Lultimo posto, lultima veste, lultimo pane gli bastarono sempre.
Posted on: Wed, 23 Oct 2013 20:31:24 +0000

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