Parole, parole, parole per campagne elettorali sal.can. La - TopicsExpress



          

Parole, parole, parole per campagne elettorali sal.can. La promessa storica era chiara: “Meno tasse per tutti”. Il motto del ventennio berlusconiano, la sua filosofia di fondo, rimane questo. La grande illusione su cui il Caimano ha impostato quattro campagne elettorali si è però risolta in un fallimento storico. “Chiacchiere e distintivo” diceva Al Capone-Robert De Niro all’agente Eliot Ness-Kevin Costner mentre lo incastrava nel film Gli Intoccabili. “Chiacchiere e distintivo” è la sintesi di questi venti anni. Dire che l’Italia sia nelle stesse condizioni dell’unità, nel 1861, è certamente azzardato anche se alcuni studiosi lo affermano. Ma sostenere che l’ultima importante riforma del fisco risalga al 1971, invece, è vero. Fu allora che il repubblicano Bruno Visentini ne ridisegnò l’architettura, introducendo l’Irpeg, l’Ilor sostituendo l’Ige con l’Iva, centralizzando molto e cercando di mettere il Paese in linea con un’Italia cambiata profondamente nel dopoguerra. Prima di lui, occorre risalire alla riforma Vanoni del 1951, quella che introdusse la dichiarazione dei redditi e il Testo unico sulle imposte dirette, per incontrare una grande riforma. DOPO DI LORO assistiamo a un movimento tellurico permanente, a modificazioni, a volte anche rilevanti ma non tali da ridisegnare il sistema fiscale. Soprattutto, non tali da abbattere l’evasione fiscale. A simboleggiare questa incapacità basta citare un episodio che riguarda il ministro più conosciuto in via XX Settembre. Anch’egli di Sondrio, come Vanoni, Giulio Tremonti esordì nel 1994 presentando un “Libro bianco” in cui raffigurava un nuovo fisco basato su tre pilastri: “Dal centro alla periferia, dalle persone alle cose, dal complesso al semplice”. Tremonti nel 1994 diverrà ministro per soli nove mesi. Ma tornerà a guidare il Tesoro nel 2001, per tre anni, poi ancora tra il 2005 e il 2006 e, infine, dal 2008 al 2011. Poco prima di lasciare l’incarico, nel 2010, è costretto a pubblicare nuovamente quel vecchio “Libro bianco” per dimostrare la coerenza della propria impostazione, ritenuta indispensabile al Paese. Che, però, dopo sedici anni, rimaneva inapplicata. L’alter ego di Tremonti è Vincenzo Visco, ministro del centrosinistra tra il 1996 e il 2001, nonostante l’alternarsi degli esecutivi (anche se nell’ultimo governo Amato alle Finanze troviamo Ottaviano Del Turco). GUARDANDO retrospettivamente, tra Visco e Tremonti non c’è partita. Non perché uno sia più preparato dell’altro ma perché l’esponente del centrosinistra è riuscito a impostare una riorganizzazione, parziale ma “sensata”, del groviglio fiscale, mentre Tremonti si è fermato agli annunci. I tre pilastri sono stati ampiamente disattesi. Solo l’ipotesi del federalismo fiscale ha avuto concretezza nell’ultimo governo Berlusconi arenandosi, però, sugli ultimi decreti attuativi. Sul piano concreto, Tremonti potrà andare fiero dello scudo fiscale con cui ha condonato i capitali portati all’estero illecitamente. Forse potrà vantarsi della “Robin Hood tax” con cui si è vendicato dei colossi dell’energia. Visco può vantare l’introduzione dell’Irap (sostituita all’Ilor con una riduzione dell’aliquota dal 16,2 al 4,25%), l’idea della Dual Income Tax che puntava a migliorare la tassazione sulle imprese, un’idea chiara di lotta all’evasione. Non è un caso se sia stato additato dalla destra come “Dracula”, pronto a mangiarsi i redditi e i risparmi degli italiani. Le più grandi manifestazioni del centrodestra hanno lo hanno avuto come bersaglio e Tremonti lo ha definito un “grande dirigista” per la sua idea di selezionare gli aiuti alle imprese. Dopo i cinque anni dell’Ulivo, quando Berlusconi ha avuto la vittoria elettorale più grande di sempre, nel 2001 – risultato in termini di voti assoluti mai più eguagliato – il “meno tasse per tutti” si è trasformato in una destrutturazione delle riforme precedenti per arrivare al progetto di legge-delega del 2003, vero manifesto programmatico della destra sul piano fiscale: via l’Irap, via la successione, due sole aliquote per le persone fisiche (23 e 33%), riduzione dell’aliquota per le società. Non se n’è fatto quasi nulla. L’Irap esiste ancora (per fortuna, visto che è dedicata alla sanità). L’Irpef è sempre la stessa, salvo la riduzione delle aliquote più alte. All’attivo ci sono la soppressione dell’imposta di successione e lo scudo fiscale: facile capire perché. CON IL RITORNO del centrosinistra, nel 2006, all’Economia va Tommaso Padoa Schioppa, persona perbene ma orientata dal faro della Bce. Il quale resterà impiccato alla frase: “Pagare le tasse è bellissimo”. Tutta la destra, e non solo, si è presa gioco di lui, deridendolo e insultandolo. In realtà la frase completa era: “La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente”. L’antitesi del berlusconismo e la pietra angolare di uno Stato di diritto. Ma neanche lui e quelli dopo di lui, hanno realizzato una riforma fiscale in grado di ridurre il numero esorbitante dei “balzelli”, di abbattere sostanzialmente l’evasione fiscale e di ricostruire un patto tra Stato e cittadini. Berlusconi ha rivinto le elezioni al grido di “abolirò l’Ici”, tolta davvero nel 2008, mandando a picco i conti pubblici ma rimessa, sotto le mentite spoglie dell’Imu. La stessa che oggi si chiede di eliminare. In un estenuante gioco dell’oca da cui l’Italia è uscita stremata.
Posted on: Mon, 30 Sep 2013 14:38:03 +0000

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