Perchè le persone non sono come gli altri ti vogliono far - TopicsExpress



          

Perchè le persone non sono come gli altri ti vogliono far vedere... Quando andavo alle scuole elementari, nei giorni precedenti al 25 aprile, il maestro ci faceva leggere e studiare a memoria la LAPIDE ALL’IGNOMINIA, dedicata da Piero Calamandrei alla memoria del comandante partigiano Duccio Galimberti in risposta ad Albert Kesserling, comandante delle truppe d’occupazione tedesche in Italia, che affermava di meritare un monumento dagli italiani. Lo voglio rileggere, quel testo, ai nostri giovani concittadini, oggi presenti a questa nostra celebrazione del 25 Aprile. “Lo avrai, camerata Kesserling/ il monumento che pretendi da noi italiani/ ma con che pietra si costruirà/ a deciderlo tocca a noi./ Non coi sassi affumicati/ dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio/ non colla terra dei cimiteri/ dove i nostri compagni giovinetti/ riposano in serenità/ non colla neve inviolata delle montagne/ che per due inverni ti sfidarono/ non colla primavera di queste valli/ che ti videro fuggire./ Ma soltanto col silenzio dei torturati/ più duro d’ogni macigno/ soltanto con la roccia di questo patto/ giurato fra uomini liberi/ che volontari si adunarono/ per dignità e non per odio/ decisi a riscattare/ la vergogna e il terrore del mondo./ Su queste strade se vorrai tornare/ ai nostri posti ci ritroverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo serrato intorno al monumento/ che si chiama/ ora e sempre/ resistenza.”. Non finirò mai di ringraziare la mia famiglia ed il mio maestro delle scuole elementari, Michele Di Leo, per avermi cresciuto insegnandomi i valori splendidi contenuti in questa incredibile pagina di Piero Calamandrei, un uomo, un italiano, di cui sentiamo oggi la mancanza, come non mai prima. Normalmente quando si pensa alla Resistenza ci si ferma qui ed il pensiero corre ai molti giovani che, dal 1943 al 1945, disertarono dall’esercito regio, rifiutarono la leva della Repubblica Sociale e si rifugiarono sulle montagne per resistere all’oppressione di uno stato ingiusto e violento, in nome della Libertà, della Giustizia e della Pace. In realtà, per quanto mi riguarda, la Resistenza fu ben altro e ben di più. Nulla di retorico o di romantico, ma soltanto dura e faticosa, ma anche dignitosa ed orgogliosa, realtà quotidiana. Quando penso alla Resistenza, penso innanzitutto ad Aldo Capitini, il padre della nonviolenza italiana, che si oppose al fascismo fin da suo nascere e che nel 1930, mentre il regime raccoglieva gli osanna della maggioranza del popolo italiano che riempiva le piazze d’Italia per festeggiare l’Impero ricostruito da Mussolini, rifiutò di iscriversi al Partito Fascista ed a causa di quel rifiuto fu cacciato dall’Università, perse il lavoro e si ritirò nella sua città natale, Perugia, ad organizzare la sua personale Resistenza nonviolenta contro un regime illiberale, inumano e violento. Quando penso alla Resistenza penso alle migliaia di donne italiane, la cui Resistenza si concretizzò nel tentativo, spesso disperato, di crescere da sole i propri bambini, coi loro padri e mariti lontani a combattere una guerra che non era la loro guerra, in paesi che non erano il loro paese. Quando penso alla Resistenza, penso ai tanti uomini e donne che, sotto le bombe degli aerei ed in piena guerra civile, continuarono a combattere la loro guerra personale, quella di sempre: la guerra contro lo sfruttamento e la povertà, che combattevano coltivando faticosamente campi che non erano loro od azionando macchinari industriali dentro fabbriche che non erano loro. Quando penso alla Resistenza penso ai tanti uomini e donne che in mezzo alle infinite avversità della guerra, continuarono disperatamente, quotidianamente, a far funzionare le loro piccole aziende familiari, unica fonte di sostentamento per le loro famiglie in momenti tanto difficili. Allora, da una parte stava questo popolo che resisteva, dall’altra uno stato oppressivo e violento che schiacciava il popolo ed il senso della comune appartenenza alla famiglia umana, in nome di un’ideologia distruttiva e disumana. Questa interpretazione della Resistenza ha molto a che vedere col nostro presente e serve a dare un senso vero alle celebrazioni del 25 Aprile. Un senso che ci consente di apprendere dal passato per meglio affrontare il presente guardando al futuro. Come allora anche oggi viviamo in effetti in uno stato di guerra permanente. Una guerra del tutto differente rispetto a quella di allora, ma non per questo meno violenta. Una guerra diversamente violenta. Nel ‘45 la guerra era militare, oggi è economica e finanziaria. Anche allora, come oggi, la scelta della guerra fu una scelta di pochi: quei pochi che, proprio grazie alla guerra, fatti i conti finali, accumularono allora e accumulano ricchezze enormi. Allora la guerra si combatteva coi cannoni, coi carri armati, con le corazzate e con i caccia bombardieri. Oggi si combatte con gli spread, con gli indici di borsa, col PIL e con le transazioni finanziarie. Ma le vittime, oggi come allora, sono le stesse: la gente comune, il popolo, le famiglie, le piccole e medie aziende. Ed anche oggi, esattamente come allora, questa gente comune resiste, non molla, fa appunto, oggi come allora, Resistenza. E’ la gente semplice: i lavoratori esodati, cassaintegrati e precarizzati; le madri che fanno quadrare un bilancio familiare sempre più esangue; gli imprenditori che alzano ogni giorno le loro saracinesche o aprono le loro botteghe, contro tutto e tutti, sotto le bombe quotidiane della borsa e del fisco; i rappresentanti delle forze dell’ordine che, nonostante tutto, nonostante gli stipendi ridotti all’osso ed i quotidiani rischi personali, nonostante il disinteresse di una classe politica cinica e corrotta, continuano a svolgere, con spirito di sacrificio, il loro dovere di servitori della Giustizia e della Libertà. Questa gente semplice rappresenta oggi i partigiani di partigiani di allora e come allora resiste combattendo quotidianamente la sua lotta silenziosa e nonviolenta. Anche oggi il nemico non è solo la guerra (militare allora, economica oggi) ma è anche uno stato centralista, autoritario ed oppressore, clientelare e corrotto, esattamente come nel 1945. Per questo motivo io voglio dedicare questo 25 aprile 2013, il mio primo 25 aprile da Sindaco, non solo alle vittime di allora (che abbiamo tutti ricordato tante volte nel corso degli anni), ma anche alle vittime di oggi: le persone che non ce la fanno più a resistere alle infinite angherie dello stato e che talvolta, come ci racconta la cronaca, arrivano persino al suicidio; le famiglie che stringono la cinghia per arrivare a fine mese; gli onesti servitori di uno stato che davvero non merita più il loro servizio e la loro abnegazione; i lavoratori, gli imprenditori e infine, se me lo consentite, i sindaci e le giunte, che ogni giorno debbono resistere alle ingerenze indebite ed immorali di un stato sempre più cinico ed opprimente, ormai dedito esclusivamente allo strozzinaggio legalizzato ai danni dei deboli. Consentitemi allora di concludere questo mio discorso per il 25 aprile leggendovi alcuni passaggi della durissima nota inviata alla stampa dal COCER (ossia dall’organismo di rappresentanza dell’arma dei Carabinieri) in occasione dei recenti funerali delle persone suicidatesi a Civitanova perché stanche di subire il bracconaggio quotidiano di un fisco ingiusto e vessatore: “Ancora una volta (scrive il COCER) la cronaca è costretta a riproporre nuovi casi di suicidi di cittadini innocenti, vittime delle scelte disastrose di una classe politica sempre meno intenzionata a risolvere i gravi problemi che attanagliano il Paese (…) e che determina un’insanabile situazione di disagio e di imbarazzo per quegli stessi rappresentanti delle istituzioni che (…) sono oggetto di tutta la comprensibile rabbia dei cittadini stanchi della colpevole inerzia dello Stato; una rabbia che, ormai quotidianamente, viene scaricata addosso alle forze dell’ordine, sempre più spesso chiamate a dover difendere le istituzioni dal crescente malcontento. (…) Noi (conclude il COCER) non ci sentiamo di ‘condannare’ quel popolo che ci insulta perchè ci identifica come l’interfaccia di uno Stato cinico e predatore, quello stesso Stato che da sempre manifesta la sua ‘riconoscenza’ per l’opera svolta dalle forze di polizia con continui tagli e penalizzazioni”. Una condanna, questa del Cocer, davvero senza precedenti e senza appello, che io mi sento di condividere e sottoscrivere senza riserve e che mi spinge ad esprime l’augurio che questo 25 aprile possa essere davvero il giorno che segnerà, finalmente, nel ricordo di chi seppe resistere allora, l’inizio della rinascita per tutti coloro che, da troppo tempo, resistono silenziosamente di fronte ad ingiustizie ormai chiaramente intollerabili ed inaccettabili. Claudio Bizzozero
Posted on: Thu, 12 Sep 2013 05:08:09 +0000

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