Perché rispettare la fila ci rende persone migliori - Di Michele - TopicsExpress



          

Perché rispettare la fila ci rende persone migliori - Di Michele Serra. Che l’ordine e la disciplina siano sempre e comunque salutari non è poi così certo. Ma che il disordine sia insalubre, perché genera ansia, perché corrode l’anima, è invece sicurissimo. Bastano un paio di giorni a Roma — amatissima, anche perché ci sono nato, ma faticosissima — per abbassare le mie difese immunitarie. Arrivo a sera sfinito. Non tanto la quantità del traffico ma la sua qualità (perfino i pedoni fanno manovre folli) mi stordisce, così come il tempo divorato dagli ingorghi e dai ritardi miei e altrui, i taxi che non si trovano, la sensazione di caos permanente, l’idea di non riuscire mai a trovare il bandolo di una città che ti si sfilaccia sotto i piedi, splendida e in perenne disfacimento. L’ordine ha le sue brave patologie (quella più tipica è la dittatura) e le sue riconoscibili stupidità: alle Olimpiadi di Los Angeles ricordo ancora con totale ilarità certi “percorsi guidati”, righe gialle al centro di enormi piazzali vuoti, lungo i quali noi giornalisti dovevamo camminare in fila indiana sorvegliati da zelanti volontari che ci invitavano a non deviare neppure di un metro da quell’assurdo ricamo sull’asfalto. Ma il disordine è già in sé una patologia, e nel malessere italiano, ultimamente così acuto, non escludo che l’incapacità di fare ordine — riordinare i gesti come i pensieri — sia una delle cause più eclatanti. La proverbiale incapacità di fare la coda (ultimamente, va detto, un poco attenuata) non è che un sintomo. Ho visto recite scolastiche nelle quali i genitori facevano un tale bordello da soverchiare le voci dei loro figli sul palcoscenico. Ho sentito minuti di raccoglimento diventare ricettacolo di urla, applausi e fischi, cori tribali. Non sopporto gli applausi ai funerali, il lutto che muta in caciara, non capisco che cosa abbia fatto di male, il silenzio, ai miei connazionali. Continuo a vedere parecchi italiani sociolesi (mio neologismo) incapaci di comprendere che, quando la metropolitana apre le porte, prima bisogna far scendere chi è a bordo, e solo dopo si può salire. Queste tipologie del disordine stroncano, anche perché è la loro minuzia a far cadere le braccia. Se in caso di guerra e di bombardamento la gente urla e fugge disordinatamente, è possibile farsene una ragione. Ma il ciclista a testa bassa sul marciapiede, il gippone in doppia fila, la signora sorridente che ti passa davanti alla cassa del grande magazzino, loro non sono soverchiati da alcuna emergenza, costretti da alcuna catastrofe. È l’ordinarietà dell’offesa, la leggerezza con la quale viene inflitta a impedire una reazione organizzata: se non la voglia, sempre più frequente con l’età, di trasferirsi in Provenza o in Svizzera, meravigliosamente noiosa. La Repubblica 07/10/2013.
Posted on: Mon, 07 Oct 2013 12:02:59 +0000

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