Pietro Badoglio Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 - TopicsExpress



          

Pietro Badoglio Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 settembre 1871 – Grazzano Badoglio, 1º novembre 1956) è stato un generale e politico italiano, maresciallo dItalia, senatore e Capo del Governo dal 25 luglio 1943 all8 giugno 1944. Fu nominato marchese del Sabotino motu proprio dal re Vittorio Emanuele e duca di Addis Abeba. Membro del PNF, dopo la deposizione di Mussolini guidò un governo di coalizione che condusse il paese allarmistizio. Venne inserito nella lista dei criminali di guerra dellONU su richiesta dellEtiopia ma non venne mai processato. Gli anni precedenti alla I Guerra Mondiale Figlio di Mario Badoglio, modesto proprietario terriero, e di Antonietta Pittarelli, facoltosa borghese, il 5 ottobre 1888 fu ammesso all Accademia Reale di Torino, dove conseguì il grado di sottotenente il 16 novembre 1890 e di tenente il 7 agosto 1892. Nel febbraio 1896 fu inviato in Eritrea con il generale Antonio Baldissera e partecipò alla spedizione su Adigrat per liberare dallassedio il maggiore Marcello Prestinari. Successivamente rimase sino alla fine del 1898 di guarnigione sullaltopiano. Tornato in Italia, fu promosso capitano il 13 luglio 1903 e partecipò fin dallinizio alla guerra italo-turca (1911-12), ove fu decorato al valor militare per aver organizzato lazione di Ain Zara e promosso Maggiore per merito di guerra, per aver pianificato loccupazione delloasi di Zanzur[1]. La prima guerra mondiale. Lascesa di Badoglio nei primi due anni di guerra Tenente colonnello il 25 febbraio del 1915, allinizio della prima guerra mondiale, Pietro Badoglio fu assegnato allo Stato Maggiore della 2ª Armata e al comando della 4ª divisione, nel cui settore insisteva il Monte Sabotino, privo di vegetazione e fortemente fortificato dagli austriaci, che, fino ad allora era giudicato imprendibile. In tale occasione, riuscì a convincere lo Stato Maggiore che per conquistare quella cima bisognava ricorrere a una tattica diversa da quella dellattacco frontale, che aveva provocato migliaia di morti. Invece di uscire allo scoperto, Badoglio ebbe lidea di espugnarlo attraverso un dedalo di gallerie scavate nella roccia, quasi a contatto delle posizioni nemiche. I lavori per scavare e rafforzare le successive trincee durarono mesi. Nel frattempo Badoglio, promosso colonnello nellaprile 1916 e divenuto capo di Stato Maggiore del 6º corpo darmata, continuò a dirigerli e comandò personalmente la brigata che prese dassalto di sorpresa il Sabotino, e ne effettuò la conquista con poche perdite. Il 6 agosto 1916 fu promosso maggior generale per merito di guerra, e, in novembre, prese il comando della brigata Cuneo. Nel maggio del 1917 fu incaricato nel comando (incarichi superiori al grado) del 2º corpo darmata qualche giorno prima dellinizio della decima battaglia dellIsonzo e conquistò il Vodice e il Monte Kuk, posizioni ritenute anchesse quasi imprendibili. Fu allora che il comandante della 2ª Armata, Luigi Capello propose la promozione di Badoglio a tenente generale per merito di guerra e, nella successiva undicesima battaglia dellIsonzo lo destinò al comando del 27º corpo darmata[2]. La disfatta di Caporetto e le responsabilità di Badoglio Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Battaglia di Caporetto. Il capo di stato maggiore dellEsercito italiano era Luigi Cadorna. Sul fronte dellIsonzo, Cadorna aveva disposto, a sud (destra), la 3ª Armata comandata dal Duca dAosta e costituita da quattro corpi darmata; a nord (sinistra), la 2ª Armata, comandata dal generale Luigi Capello, e costituita da otto Corpi darmata. Loffensiva austro-tedesca iniziò alle ore 2.00 del 24 ottobre 1917 con tiri di preparazione dellartiglieria, prima a gas, poi a granate fino alle 5.30 circa. Verso le 6.00 cominciò un violentissimo tiro di distruzione a preparazione dellattacco delle fanterie. I rapporti del comando dartiglieria del 27º Corpo darmata (colonnello Cannoniere) indicano che il tiro tra le 2.00 e le 6.00 produsse perdite molto lievi. Solo nella conca di Plezzo i gas ebbero effetti apprezzabili. Lattacco delle fanterie cominciò alle ore 8.00 con uno sfondamento immediato sullala sinistra, nella conca di Plezzo sul fianco sinistro della 2ª armata. Tale parte di fronte era presidiata a sud, tra Tolmino e Gabrije (paese a metà strada tra Tolmino e Caporetto), dal 27º Corpo darmata di Pietro Badoglio. A complicare le cose sopraggiunse la situazione – solo leggermente meno drammatica - del fronte del 4º Corpo darmata (Cavaciocchi), confinante a sud con il Corpo darmata comandato da Badoglio. Il vero disastro, infatti, cominciò quando il nemico, arrivò a Caporetto, da entrambi i lati dellIsonzo. La debole, intempestiva ed inefficace risposta delle artiglierie italiane sul fronte del 27º Corpo darmata, è una delle ragioni accertate dello sfondamento, ma il motivo per cui ciò avvenne è tuttoggi fonte di disquisizioni. Incuneato tra i due corpi darmata ed in posizione più arretrata era stato disposto molto frettolosamente anche il 7º Corpo darmata comandato dal generale Luigi Bongiovanni. La sua efficacia fu nulla. La mancanza di riserve dietro il 4º Corpo darmata fu senzaltro uno dei motivi principali che contribuirono alla disfatta. Nel dettaglio, le ragioni che permisero lo sfondamento furono: Disposizione eccessivamente offensiva della 2ª Armata (generale Capello) ed in particolare del 27º Corpo darmata (Badoglio), con le artiglierie ed alcune unità (tre divisioni su quattro sulla sinistra dellIsonzo) troppo avanzate rispetto alla prima linea di fronte e un fianco sinistro eccessivamente debole. Comunicazioni difettose a tutti i livelli, rese ancora più precarie dalle condizioni meteorologiche (pioggia battente e nebbia a valle; bufere di neve in quota) e conseguente assenza di azioni di comando e di manovra. Mancanza di esperienza difensiva: le precedenti undici battaglie dellIsonzo erano state tutte offensive. Utilizzo difettoso e di scarsa efficacia dellartiglieria. Lordine, più o meno esplicito, di non rispondere al tiro di preparazione (ore 2.00 - 6.00) era, infatti, fino ad allora, la regola di utilizzo delle artiglierie nellesercito italiano. Solo nella primavera del 1918, e proprio a causa della sconfitta di Caporetto, furono cambiate le regole di risposta al fuoco. Debolezza e disposizione sbilanciata delle riserve, tutte a sud della linea di sfondamento. Badoglio, pur essendo a pochi chilometri dal fronte, seppe dellattacco delle fanterie nemiche solo verso mezzogiorno, e riuscì a comunicarlo al comando della 2ª Armata (Capello) soltanto qualche ora dopo. Cadorna seppe della gravità dello sfondamento e del fatto che il nemico aveva conquistato alcune forti posizioni solo alle ore 22:00. Completamente isolato durante il resto del giorno 24 ottobre, Badoglio fu costretto continuamente a spostare la sua postazione di comando, perché soggetto a massicci e precisi tiri dellartiglieria nemica; ciò in quanto i suoi messaggi in chiaro, trasmessi via radio, indicanti ai reparti le nuove posizioni del comando, venivano sistematicamente intercettati. Nel contempo le pessime condizioni meteorologiche impedivano luso anche dei segnali ottici ed acustici. Tale situazione logistica impedì al generale piemontese di svolgere unazione di comando incisiva e, al momento giusto, non fu in grado di dare alle sue artiglierie lordine del tiro controffensivo, condizione imprescindibile per la difesa dei reparti in quanto, in precedenza, aveva dato la precisa disposizione che la controffensiva sarebbe dovuta iniziare solo dietro suo ordine esplicito. Al di là delle responsabilità di singole piccole e medie unità, le colpe maggiori di ordine strategico non possono che essere attribuite al comando supremo (Cadorna) e al comando darmata interessato (Capello), mentre quelle di ordine tattico ai tre comandanti dei corpi darmata coinvolti (oltre che Badoglio, quindi, anche Cavaciocchi e Bongiovanni). Tutti vennero giudicati colpevoli dalla commissione dinchiesta di prima istanza, del 1918-19, con lunica eccezione di Badoglio. Tuttavia lerrore tattico più sconcertante ed oggettivamente misterioso fu senza dubbio operato da Badoglio sul suo fianco sinistro (riva destra dellIsonzo tra la testa di ponte austriaca davanti a Tolmino e Caporetto). Questa linea, lunga pochi chilometri, costituiva il confine tra la zona di competenza del Corpo darmata di Badoglio (riva destra) e la zona assegnata al Corpo darmata di Cavaciocchi (riva sinistra). Nonostante tutte le informazioni indicassero proprio in questa linea la direttrice dellattacco nemico, la riva destra fu lasciata praticamente sguarnita con il solo presidio di piccoli reparti, mentre il grosso della 19ª divisione e della brigata Napoli era arroccato sui monti sovrastanti[3]. In presenza di nebbia fitta e pioggia, le truppe italiane in quota non si accorsero minimamente del passaggio dei tedeschi in fondovalle, e, in sole 4 ore, le unità tedesche risalirono la riva destra arrivando integre a Caporetto, sorprendendo da dietro le unità del IV Corpo darmata (Cavaciocchi). Le conseguenze della disfatta e la Vittoria finale Già il 25 ottobre 1917 il Parlamento italiano negò la fiducia al governo presieduto da Paolo Boselli che fu costretto a dimettersi. Il giorno 30 ottobre il governo si ricostituì sotto la guida di Vittorio Emanuele Orlando, il quale, nei colloqui dei giorni precedenti, aveva richiesto al Re la rimozione di Cadorna. Tale richiesta fu presentata, il 5 novembre, anche dai primi ministri di Francia e Gran Bretagna e dai comandanti supremi delle truppe alleate Foch e Robertson; la sostituzione di Cadorna fu imposta come condizione per linvio dei rinforzi alleati. Di conseguenza, con Regio Decreto del 9 novembre 1917, il generale Armando Diaz, fino a quel momento comandante del 23º Corpo darmata (non investito direttamente nella disfatta), fu nominato Capo di Stato Maggiore dellEsercito Italiano. Al generale Armando Diaz, tuttavia, furono affiancati, con il grado di sotto-capo di Stato Maggiore (vice-comandante), i generali Gaetano Giardino e Pietro Badoglio. Successivamente, il 7 febbraio 1918, Badoglio, rimase vice-comandante unico. In tale situazione, solo in data 12 gennaio 1918, con Regio Decreto n. 35, fu istituita la Commissione dinchiesta su Caporetto, che concluse i lavori, a guerra finita – ed ormai vittoriosa – il 13 agosto 1919, quando Pietro Badoglio stava per succedere a Diaz, in qualità di capo di stato maggiore dellEsercito italiano. Ciò spiega perché la Commissione confermò lattribuzione della colpa della disfatta a Luigi Cadorna, estendendola a Luigi Capello, Alberto Cavaciocchi e Luigi Bongiovanni, sia pur ammettendo un concorso di circostanze sfavorevoli, ma non citò neanche il generale Badoglio[4]; sembra, anzi, che tredici pagine riguardanti loperato di Badoglio siano state sottratte dalla relazione, al momento della sua presentazione in Parlamento[5]. Il giudizio degli storici sulloperato di Badoglio come vice capo di stato maggiore è generalmente positivo. Secondo Carlo Sforza[6], Badoglio rappresentò il contraltare ardimentoso allequilibrio sensato e freddo del comandante Diaz. Introdusse un nuovo criterio organico nellavviamento delle nuove classi di leva, raggruppandole in reparti omogenei, in modo che la loro freschezza non si diluisse e si raffreddasse a contatto con i veterani; ammaestrato dallesperienza curò meglio il servizio dinformazioni e, sia pur riluttante, ideò la vittoriosa manovra aggirante che consentì allesercito il conseguimento della vittoria finale nella battaglia di Vittorio Veneto[7]. Il 3 luglio 1919, gli venne conferita la medaglia dargento al valore militare per le operazioni di ripiegamento sul fiume Tagliamento, durante la ritirata successiva alla battaglia di Caporetto. Alla fine della guerra (1918), fu nella commissione che a Padova ottenne larmistizio del 4 novembre con gli austriaci. Il 6 novembre 1918 fu nominato cavaliere di gran croce dellOrdine militare di Savoia. Nominato Senatore il 24 febbraio 1919, il 13 settembre successivo (e sino al mese di novembre) divenne commissario straordinario militare per la Venezia Giulia. Rivestiva tale ruolo quando Gabriele DAnnunzio procedette allImpresa di Fiume. Il 2 dicembre 1919 Badoglio fu promosso capo di stato maggiore dellEsercito, succedendo ad Armando Diaz; ricoprì tale incarico sino al 3 febbraio 1921, quando venne collocato a disposizione per ispezioni, divenendo anche membro del Consiglio per lEsercito. Alla vigilia della marcia su Roma (ottobre 1922), Badoglio fu consultato dal Sovrano sulla gravità della situazione. Il generale piemontese sostenne che la dimostrazione si sarebbe dispersa al primo colpo di arma da fuoco, e chiese poteri straordinari (che però non gli vennero concessi) per ristabilire la situazione[8]. Nel 1923, dopo linsediamento del fascismo, fu nominato – a richiesta - ambasciatore in Brasile. Successivamente, il 4 maggio 1925, assunse per primo listituenda carica di capo di stato maggiore generale, che mantenne ininterrottamente sino al 4 dicembre 1940. Riprese inoltre lincarico, collegato alla carica precedente di capo di stato maggiore dellEsercito. Il 25 giugno 1926 fu promosso maresciallo dItalia (insieme a Enrico Caviglia, Emanuele Filiberto Duca dAosta, Gaetano Giardino e Guglielmo Pecori Giraldi), grado istituito appositamente per quegli ufficiali che si erano particolarmente distinti durante la guerra mondiale, in precedenza attribuito solamente a Diaz e a Cadorna. Il 1º febbraio 1927 lasciò lincarico di capo di stato maggiore dellEsercito al generale Giuseppe F. Ferrari. Il 18 dicembre 1928 fu nominato governatore unico della Tripolitania e della Cirenaica. Tre giorni prima di partire per Tripoli gli fu conferito il Collare dellOrdine dellAnnunziata, insieme agli altri tre marescialli dItalia nominati nel 1926. In quanto governatore unico della Tripolitania e della Cirenaica, il 20 giugno 1930, Badoglio dispose levacuazione forzata della popolazione della Cirenaica, per la quale circa centomila persone furono costrette a lasciare tutti i propri beni portando con sé soltanto il bestiame[9]. La massa dei deportati fu rinchiusa in tredici campi di concentramento nella regione centrale della Libia, dopo una marcia forzata di oltre mille chilometri nel deserto. Solo in sessantamila sopravvissero alla deportazione (1932-33). Sotto il profilo dellamministrazione civile della colonia, Badoglio perseguì lattuazione di un ampio programma di opere pubbliche, quali la progettazione della lunga strada litoranea e la realizzazione di edifici pubblici nelle città di Tripoli e Bengasi. Fu richiamato in Patria il 4 febbraio 1934. La conquista coloniale Il 30 novembre 1935, Badoglio fu inviato a Massaua quale comandante del corpo di spedizione in Etiopia, in sostituzione del generale Emilio De Bono. Questultimo aveva aperto le ostilità con lImpero etiopico il 3 ottobre precedente, con loccupazione di Adigrat, Adua, Axum e Macallè, ma stava procedendo troppo lentamente per i canoni del regime fascista. Badoglio non trovò una situazione particolarmente favorevole. Gli Italiani, infatti si erano spinti circa cento chilometri avanti e gli abissini, riorganizzatisi, avevano ripreso liniziativa da entrambi i lati, con lintenzione di tagliare in due loffensiva italiana. Badoglio, anziché proseguire nellavanzata, prese ulteriore tempo per migliorare la situazione logistica e tattica, ripiegando su Axum. Infatti, dopo aver atteso larrivo di altre tre divisioni, più altre due sul fronte somalo, poté disporre di 200.000 uomini, 750 cannoni, 7.000 mitragliatrici e 350 aerei, contro 215.000 Abissini, pressoché privi di artiglieria ed aeroplani. Dopo tre mesi di sosta, il Maresciallo, con una manovra convergente sostenuta dallartiglieria e dallaviazione, riprese liniziativa conseguendo la vittoria dellAmba Aradam (11-15 febbraio 1936) e annientando il grosso dellesercito nemico (80.000 uomini). Il 28 febbraio era occupata lAmba Alagi e il 31 marzo, presso il Lago Ascianghi, veniva sbaragliata la guardia del corpo del negus, mentre questultimo fuggiva imbarcandosi a Gibuti. Il 5 maggio 1936, alle ore 16, Badoglio entrava vittorioso in Addis Abeba. Quattro giorni dopo, dal balcone di Piazza Venezia, Benito Mussolini proclamava ufficialmente la costituzione dellImpero, con Badoglio viceré. Già nel luglio del 1936 il deposto imperatore Hailé Selassié, tuttavia, aveva denunciato, allassemblea della Società delle Nazioni che: “Mai, sinora, vi era stato lesempio di un governo che procedesse allo sterminio di un popolo usando mezzi barbari, violando le più solenni promesse fatte a tutti i popoli della Terra, che non si debba usare contro esseri umani la terribile arma dei gas venefici”. Solo recentemente, però, è stata fatta piena luce sulle le modalità di combattimento utilizzate dagli Italiani nella guerra etiope[10]. Laviazione italiana, contravvenendo al Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, sottoscritto anche dallItalia[11], utilizzò su larga scala il terribile gas iprite, che, irrorato dagli aerei in volo a bassa quota, sia sui soldati che sui civili, venne usato con la precisa finalità di terrorizzare la popolazione abissina e piegarne ogni resistenza. I documenti pubblicati dimostrano che Mussolini in persona aveva espressamente autorizzato Badoglio alluso dei gas tra il 28 dicembre 1935 e il 5 gennaio 1936 e tra il 19 gennaio e il 10 aprile[12]. Unulteriore autorizzazione fu successivamente data per la repressione dei ribelli. Il Maresciallo tuttavia, aveva già iniziato autonomamente con luso delle armi chimiche sin dal 22 dicembre 1935[13]; è responsabile infatti di almeno 65 bombardamenti alliprite sul fronte Nord etiope tra questa data e il 29 marzo 1936, per un totale di più di 1000 bombe C-500-T[14]. A guerra terminata, Badoglio lasciò la reggenza dEtiopia e gli venne conferita la tessera onoraria del Partito Nazionale Fascista. Il 1º novembre 1937, venne nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche succedendo allo scomparso Guglielmo Marconi. Il suo nome appare tra i firmatari del Manifesto della razza in appoggio allintroduzione delle leggi razziali fasciste. Nel 1939, il suo paese dorigine prese il nome di Grazzano Badoglio. La Seconda guerra mondiale Di nuovo in guerra Il 29 maggio 1940, Benito Mussolini convocò a Palazzo Venezia il maresciallo Badoglio e tutto lo stato maggiore dellesercito, in una riunione segreta, comunicando la decisione di entrare in guerra a fianco della Germania. Il 10 giugno successivo lItalia dichiarava guerra alla Francia e al Regno Unito e, contestualmente, Vittorio Emanuele III firmava il decreto che conferiva a Benito Mussolini il comando operativo di tutte le Forze Armate. Pare ormai acclarato che tale delega sia stata proposta dallo stesso Badoglio[15]. Il Maresciallo, intimamente contrario a sferrare un attacco al quale non riconosceva possibilità di successo aveva disposto solo piani difensivi per il Fronte Occidentale, quello con la Francia. Quando il Duce ebbe necessità di attaccare – essendo imminente la resa dei francesi di fronte ai tedeschi - Badoglio traccheggiò, adducendo difficoltà ad elaborare piani offensivi[16]. Il 18 giugno la Francia venne investita dallattacco di oltre 300.000 uomini. Nonostante la rotta generale dellesercito francese le truppe italiane segnarono il passo e, il 23 giugno, alla fine delle ostilità, loffensiva aveva prodotto la conquista della sola cittadina di frontiera di Mentone, costata 1237 morti e dispersi, contro 187 vittime francesi. Il 24 giugno Badoglio presiedette la Commissione darmistizio con la Francia a Villa Incisa, allOlgiata, presso Roma. Nellottobre del 1940, Mussolini, in un incontro riservato a Palazzo Venezia comunicò a Badoglio e a Roatta, allepoca sottocapo di stato maggiore dellEsercito, lintenzione di dichiarare guerra alla Grecia. Secondo quanto sostenne Roatta, i due generali fecero presente al Capo del governo lesigenza di impiegare almeno venti divisioni, per il cui trasferimento in Albania sarebbero stati necessari almeno altri tre mesi[17]. Dai verbali della riunione ufficiale con lintero stato maggiore, che si tenne il 15 ottobre alle ore 11, tuttavia, non risulta che Badoglio abbia posto alcuna obiezione, approvando passivamente lintervento militare. Successivamente, il 10 novembre, dopo i primi rovesci militari, si tenne unulteriore riunione tra Mussolini e i Capi di stato maggiore. In tale occasione Badoglio fu lapidario: non poteva essere addebitata alcuna colpa allo stato maggiore dellesercito che, sin dal 14 ottobre aveva fatto presente i tempi e i modi necessari per lintervento, senza essere ascoltato[18]. Mussolini non replicò, ma, nei giorni successivi, Badoglio fu oggetto di aspre critiche da parte del gerarca Roberto Farinacci, sul quotidiano Regime Fascista. Il Maresciallo presentò allora le sue dimissioni dalla carica di capo di stato maggiore generale, che ricopriva ininterrottamente da oltre quindici anni. Il 4 dicembre 1940 le dimissioni furono accettate da Mussolini, che nominò al suo posto il generale Ugo Cavallero. Il 30 aprile 1941 il maresciallo Badoglio fu colpito dal lutto per la morte per causa di servizio di suo figlio Paolo, tenente pilota di complemento, a Sebha, in Libia. Il 19 novembre 1942 perse anche la moglie Sofia. La caduta di Mussolini Le iniziative politiche finalizzate alla destituzione di Benito Mussolini furono principalmente due: la prima, interna al Partito stesso, capeggiata da Dino Grandi, che si concretizzò con lOrdine del Giorno presentato al Gran Consiglio del Fascismo e messo ai voti nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943. La seconda nellambito militare, portata avanti dal Capo di Stato Maggiore Vittorio Ambrosio (che aveva sostituito Ugo Cavallero), dal suo braccio destro generale Giuseppe Castellano e dal generale Giacomo Carboni, mirante alla sostituzione del duce con un elemento di spicco dellesercito. Entrambe queste autonome iniziative contavano sullintervento decisivo del sovrano. Una terza iniziativa fu portata avanti dagli elementi liberaldemocratici prefascisti, che, però, non trovò terreno fertile presso Vittorio Emanuele III. In tale quadro, il maresciallo Badoglio, portò avanti una serie di incontri, miranti a far conoscere la propria disponibilità ad assumere gli incarichi che gli sarebbero stati richiesti. Sin dallestate del 1942, Badoglio era stato contattato a tal proposito dalla principessa Maria Josè di Savoia, mostrandosi ancora molto prudente di fronte alle sue avances. I contatti erano, però, continuati[19]. Successivamente, il 6 marzo 1943, il Maresciallo era stato ricevuto dal re, lasciandogli capire che si sarebbe mosso solo con il suo appoggio[20]. Dalla prima metà di aprile ebbe ripetuti incontri con gli esponenti dellItalia liberale prefascista (Bonomi, Spataro), dichiarandosi daccordo a dar vita a un governo politico[21]. Lincontro decisivo tra il maresciallo Badoglio e Vittorio Emanuele III si ebbe il 15 luglio, e, in tale incontro il sovrano fece intendere al generale piemontese che il nuovo capo del governo sarebbe stato lui, ma che era assolutamente contrario a un governo politico e che, almeno inizialmente, non si sarebbe dovuto chiedere larmistizio[22]. Dopo linfruttuoso incontro del 19 luglio 1943, tra Mussolini e Hitler, lazione del capo di stato maggiore generale Ambrosio e del suo entourage fu definitivamente indirizzata alla sostituzione del duce del fascismo con Badoglio o, in subordine, con Caviglia. Mantenendo sempre un filo diretto con il sovrano, anche tramite il ministro della Real Casa Pietro dAcquarone, Ambrosio conobbe da questultimo, il giorno 20, la decisione del Re di procedere alla destituzione di Mussolini[23]. In realtà Vittorio Emanuele III ruppe gli indugi solo il 25 luglio, una volta approvato dal Gran Consiglio del Fascismo lordine del giorno Grandi, che rimetteva nelle mani del Sovrano il comando supremo delle Forze Armate; proprio quella prerogativa, che, su proposta del maresciallo Badoglio, il re aveva delegato a Mussolini, al momento di entrare in guerra. Badoglio capo del Governo Nella mattinata del 25 luglio 1943, prima ancora di ricevere Benito Mussolini a Villa Savoia, il settantaquattrenne Vittorio Emanuele III conferì a Pietro Badoglio lincarico di formare il nuovo Governo; il Maresciallo dItalia accettò, controfirmando lapposito decreto[24][25]. Il nuovo Capo del governo aveva settantadue anni. Più tardi, alle ore 17:00, avvenne larresto del Primo Ministro uscente. Il primo atto del Capo del governo, nel tardo pomeriggio, e prima ancora di stilare la lista dei ministri, fu quello di incorporare nellesercito regolare la milizia fascista, che cessava, così, di essere una forza militare e politica di partito. Alle ore 20:00, la radio diffuse il comunicato che il Re aveva accettato le dimissioni di Benito Mussolini e aveva nominato Capo del Governo, primo ministro, segretario di Stato, il Maresciallo dItalia Pietro Badoglio. Alle ore 22:45, seguì il discorso del nuovo primo ministro con alla fine le parole: « la guerra continua e lItalia resta fedele alla parola data ... chiunque turbi lordine pubblico sarà inesorabilmente colpito » Lannuncio – contrariamente alle attese - provocò immense dimostrazioni di festa, al grido di: «Viva il Re, Viva Badoglio». I veicoli più disparati si colmavano di passeggeri recanti scritte e bandiere, che percorrevano le strade cittadine[26]; inoltre, manifestazioni spontanee di cittadini provvedevano a rimuovere dai palazzi i simboli del passato regime. Ciò indusse Badoglio, il giorno 26, a emanare un altro provvedimento con il quale lautorità militare era investita di pieni poteri relativamente allordine pubblico, veniva istituito il coprifuoco, vietate le pubbliche riunioni e limitati i giornali ad una sola edizione quotidiana; veniva inoltre diretto un secondo proclama alla nazione. Il 27 luglio si insediò il Governo Badoglio I, cui parteciparono, tra gli altri, Umberto Ricci agli Interni, Raffaele Guariglia agli Esteri, Leopoldo Piccardi allindustria e commercio, Antonio Sorice alla guerra, e Raffaele de Courten alla Marina; non ne faceva parte nessun politico, ma era composto da sei generali, due prefetti, sei funzionari e due consiglieri di stato. Data la delicatezza della situazione del paese sul piano internazionale, non fu oggettivamente appropriata la scelta del nuovo ministro degli esteri che, al momento, si trovava ad Ankara quale ambasciatore dItalia e non sarebbe potuto essere a Roma prima di quattro o cinque giorni. Nel frattempo era stato arrestato il generale Ugo Cavallero, con laccusa di preparare un colpo di stato fascista. Successivamente Cavallero fu liberato per iniziativa di Vittorio Emanuele III, ma venne nuovamente arrestato alla fine di agosto e custodito a Forte Boccea. La prima riunione del nuovo governo si tenne il 28 luglio, e venne deliberato lo scioglimento del partito fascista, la soppressione del Gran Consiglio e dei tribunali politici, e linterdizione di costituire qualsiasi nuovo partito politico per tutta la durata della guerra; si preannunciavano, tuttavia, nuove elezioni generali a quattro mesi dalla cessazione dello stato di guerra. Le leggi razziali, continuavano a rimanere in vigore. Lo stesso giorno, Badoglio inviava una lettera ad Hitler, ribadendo che, per lItalia, la guerra continuava nello stesso spirito dellalleanza con la Germania[27]. Contemporaneamente lex duce del fascismo veniva trasportato prima sullisola di Ponza (27 luglio), poi, il 7 agosto, fu trasferito a La Maddalena, infine, il 28 agosto, a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Il 24 agosto avvenne luccisione di Ettore Muti. Dagli atti sopra descritti, sembrerebbe che, nelle prime due settimane di governo (25 luglio-7 agosto), lazione del Governo Badoglio fosse improntata al mantenimento di un regime militare sul piano interno, e, in politica estera, tentare di far accettare alla Germania luscita dellItalia dallalleanza, in cambio dellimpegno alla più rigida neutralità, e successivamente negoziare su tali basi con gli anglo-americani. Unidea - quella della neutralizzazione del paese che circolava negli ambienti militari già prima della caduta di Mussolini[28]. Il prosieguo della vicenda, dimostrerà quanto velleitaria e priva di presupposti fossero tali linee politiche, sia sotto il profilo interno, che in quello internazionale. Sul piano interno, infatti, i partiti politici e le organizzazioni sindacali si erano ricostituite quasi subito, rendendo vane le disposizioni governative: il 26 luglio a Milano, nella notte del 27, a Roma, sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi, e il successivo 2 agosto, a Roma, si erano riuniti i rappresentanti della Democrazia Cristiana, del Partito Liberale Italiano, del Partito Socialista Italiano del Partito dAzione, e del Partito Comunista Italiano[29]; né erano cessate le dimostrazioni di piazza, che provocarono complessivamente 83 morti e 516 feriti[30]. Tale situazione costrinse il Governo a sottoscrivere con i cinque partiti laccordo di Roma del 7 agosto 1943, riconoscendoli legalmente, precisando inoltre che non vi fosse alcun divieto a ricostituire le organizzazioni sindacali. Tre giorni dopo, infatti, furono soppresse le corporazioni fasciste e la legislazione in materia del passato regime. È tuttavia problematico attribuire per intero a Badoglio la responsabilità della linea politica e di tutte le decisioni adottate dal governo tra il 25 luglio e l8-9 settembre 1943. Data la situazione istituzionale, lo svolgimento delle vicende della nomina del primo ministro, e la composizione stessa del governo, il re manteneva indubbiamente un ruolo centrale nella direzione politica del paese. Accanto al Consiglio dei ministri, infatti, esisteva un Consiglio della Corona, presieduto dal sovrano, che – come si vedrà in seguito – avrebbe preso le decisioni più importanti; di tale organismo facevano parte Badoglio ed altri militari influenti quali il capo di stato maggiore generale Ambrosio, il capo di stato maggiore dellEsercito Roatta e il comandante dei servizi segreti Giacomo Carboni, in ruoli subordinati al Re. Fu infatti il Consiglio della Corona, e non il governo, che lo stesso 7 agosto, a Roma, approvò a maggioranza di due terzi, la decisione di uscire dalla guerra[31]. Larmistizio Le reazioni degli anglo-americani, allindomani del venticinque luglio, sembravano aprire più di uno spiraglio alla conclusione di un accordo separato, finalizzato alluscita dellItalia dal conflitto, garantendone contemporaneamente lintegrità del territorio dalle truppe tedesche. In tal senso si pronunciarono Winston Churchill il 27 luglio alla Camera dei Comuni[32], Franklin D. Roosevelt il giorno dopo[33]e, ancor più esplicitamente il generale Dwight D. Eisenhower dalle antenne di Radio Algeri[33]. Tuttavia, nonostante la disponibilità degli anglo-americani, il governo italiano, restava immobile. Tale attendismo, oggettivamente inadeguato alle esigenze di rapidità delle decisioni, fu aggravato dalla necessità di attendere linsediamento al Ministero degli Esteri dellambasciatore Raffaele Guariglia, che rientrò da Ankara soltanto il 30 luglio. Al contrario, il 30 luglio stesso, la Germania dava inizio allOperazione Alarico, preparata dal feldmaresciallo Erwin Rommel su ordine di Hitler del 18 maggio 1943 e approvata da questultimo sin dal 4 giugno 1943. Ciò comportò la dislocazione in Italia, nellarco di tre settimane, di diciassette divisioni tedesche. Verso il 10 agosto, la 2ª Divisione paracadutisti dalla Francia e unaltra dalla Germania si portarono indisturbate nei pressi di Roma e, dopo il 15 agosto vennero occupate militarmente Trieste, Gorizia, Udine, La Spezia, Pistoia e Firenze[34]. Di fronte allattendismo del governo italiano, e alla pericolosa iniziativa dellesercito tedesco, il 2 agosto, il generale Eisenhower, diramava da Algeri un comunicato molto più duro dei precedenti nei confronti dellItalia e, in particolare, verso il maresciallo Badoglio. Solo allora, dopo un infruttuoso contatto con gli ambasciatori anglo-americani presso il Vaticano[35], fu effettuato un primo timido tentativo di trattative da parte di Blasco Lanza D’Ajeta, consigliere di legazione italiano a Lisbona, che, il 4 agosto 1943, avvicinò lambasciatore britannico in Portogallo. In tale incontro il nostro diplomatico, sulla base delle istruzioni avute a Roma due giorni prima da Guariglia, rappresentava agli alleati le difficoltà italiane a sganciarsi dallalleanza con la Germania, comunicando che il giorno dopo (5 agosto) il nostro Ministro degli Esteri si sarebbe incontrato con il suo collega tedesco a Tarvisio e avrebbe effettuato un tentativo in tal senso[36]. Il giorno dopo, tuttavia, il ministro Guariglia non riuscì nel suo tentativo di sganciamento dai tedeschi; anzi, in tale sede, al Ministro fu estorta la “parola donore” che il governo italiano non avrebbe, direttamente o indirettamente trattato con gli anglo-americani[37]. Nel frattempo, tra il 4 e il 17 agosto, gli anglo-americani cominciarono unescalation di bombardamenti aerei su tutte le maggiori città italiane: (Napoli, Milano, Torino, Genova, Terni e la stessa Roma). Inoltre il 17 agosto veniva completata la conquista della Sicilia. In tale situazione, solo il 12 agosto 1943, a 18 giorni dalla destituzione di Mussolini, aveva inizio il primo tentativo effettivo di trattative di pace, affidato al generale Giuseppe Castellano. Nemmeno tale missione, tuttavia, fu attuata con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Le istruzioni che il generale ebbe, per bocca del capo di stato maggiore Ambrosio furono di esporre la nostra situazione militare, ascoltare le intenzioni degli alleati e, soprattutto “dire che noi non possiamo sganciarci dalla Germania senza il loro aiuto”[38]. Per garantire la segretezza della missione[39], Castellano fu inviato in treno in territorio neutrale (Lisbona), e ci mise sei giorni; conferì con i rappresentanti del Comando Alleato solo il 19 agosto. Ripartì in treno il giorno 23, giungendo finalmente a Roma il 27 agosto. La missione era durata quindici giorni. Nel frattempo, per affiancare lo stesso Castellano, furono mandati a Lisbona in aereo il generale Rossi ed il generale Zanussi, che si presentarono ai rappresentanti alleati appena ripartito Castellano per Roma. Il 27 agosto Castellano illustrò a Badoglio e a Guariglia le clausole imposte dagli anglo-americani: costoro avevano chiesto la resa senza condizione, da attuarsi mediante la sottoscrizione di un accordo (il cosiddetto “armistizio corto”) in dodici articoli; entro la data del 30 agosto doveva essere comunicata ladesione o meno del governo italiano tramite un apparecchio radio di cui Castellano era stato dotato; in caso di risposta affermativa, le parti si sarebbero incontrate nuovamente in una località della Sicilia da definire. Dopo laccettazione della resa incondizionata e la cessazione delle ostilità, le parti avrebbero sottoscritto unintesa più dettagliata (il cosiddetto “armistizio lungo”). Il sovrano fu reso edotto delle clausole dellarmistizio solo due giorni dopo (29 agosto). Una prima risposta dellItalia fu definita il 30 agosto, quando lo stesso Badoglio diede istruzioni al generale Castellano di tornare in Sicilia per esporre le tesi contenute in un memorandum redatto dal Ministro degli Esteri Guariglia; secondo tale atto lItalia non avrebbe potuto chiedere larmistizio prima di ulteriori sbarchi alleati che mutassero le situazioni di forza a sfavore dei tedeschi. Il generale era inoltre munito di un appunto esplicativo del capo del Governo che precisava che gli sbarchi dovevano essere effettuati da almeno quindici divisioni tra La Spezia e Civitavecchia[40]. Il giorno dopo, alle ore 9.00, in aereo, previa comunicazione tramite lapparecchio radio di cui era stato munito, il nostro delegato raggiunse di nuovo Termini Imerese e di lì fu portato nella località scelta per la firma dellarmistizio “corto”: Cassibile, presso Siracusa. Ivi, da Lisbona via Algeri, era stato trasportato anche il generale Zanussi, al quale – invece - erano state consegnate le clausole dellarmistizio “lungo”. Di fronte allesposizione del rappresentante italiano, gli alleati furono irremovibili e confermarono le loro richieste. Di conseguenza, Castellano e Zanussi furono rimandati a Roma quella sera stessa, sempre per via aerea e vi arrivarono quando il maresciallo Badoglio era già andato a dormire[41]. Fu quindi il 1º settembre che avvenne la decisiva riunione al vertice, cui parteciparono il capo del Governo, il Ministro degli Esteri Guariglia, il Capo di Stato Maggiore Ambrosio, il generale Castellano, il generale Roatta, il generale Carboni e il Ministro della Real Casa Pietro dAcquarone, in rappresentanza del re, che, inspiegabilmente, era assente. Lunico al corrente delle condizioni dellarmistizio lungo era il generale Roatta, che era stato informato da Zanussi, e non il maresciallo Badoglio[41]. Nonostante le obiezioni del generale Carboni, larmistizio “corto” fu formalmente accettato. Il giorno dopo, Castellano fu riaccompagnato per via aerea in Sicilia privo, però, di una delega ufficiale alla sottoscrizione dellaccordo, richiesta dagli alleati. Tale circostanza comportò al generale un nuovo viaggio aereo di andata e ritorno e, finalmente, su delega del Re, Giuseppe Castellano, il giorno 3 settembre 1943, pose la sua firma alla conclusione della guerra tra lItalia e le potenze alleate. L8 settembre Sin dalla fine di agosto il capo di stato maggiore Ambrosio aveva diramato alle Forze Armate la circolare op. 44, con la quale si ordinava “di interrompere a qualunque costo, anche con attacchi in forze ai reparti armati di protezione, le ferrovie e le principali rotabili alpine” e di “agire con grandi unità o raggruppamenti mobili contro le truppe tedesche”. Tale circolare ne ricalcava una precedente del 10 agosto; peraltro, la sua attuazione era condizionata ad ordini successivi. Sembra che Badoglio sia stato alloscuro di tali istruzioni sino al giorno 3 settembre e che sia rimasto estraneo alla redazione dei due promemoria diramati in seguito dallo Stato maggiore[42]. Nel frattempo, sottoscritto larmistizio “corto”, gli alleati avevano trattenuto il generale Castellano a Cassibile e il 5 settembre avevano rimandato a Roma i suoi due accompagnatori, il Maggiore Marchesi e il pilota Vassallo, senza comunicare la data esatta in cui doveva essere reso noto larmistizio[43]. Castellano, tuttavia aveva dato loro una lettera per il generale Ambrosio con lerronea indicazione – da riferire a Badoglio - che tale data sarebbe caduta tra i giorni 10 e 15 settembre, probabilmente il 12. I due emissari italiani, inoltre, avevano con loro dei documenti dove si comunicava che gli alleati, il giorno della dichiarazione dellarmistizio, avrebbero proceduto allattuazione di uno sbarco aeronavale di una divisione aviotrasportata, in quattro aeroporti nei pressi della Capitale (Operazione Giant 2). Presa visione di tali documenti, il capo di stato maggiore diramò un promemoria alle forze di stanza intorno a Roma, per mantenere il saldo possesso degli aeroporti romani di Cerveteri, Furbara, Centocelle e Guidonia. La mattina del 6 settembre, vi fu una riunione alla quale parteciparono il Re, Badoglio, Ambrosio, e Ministro della Real Casa Acquarone. Dopo tale riunione, Ambrosio diramò unulteriore promemoria alla marina e ai comandanti delle truppe di stanza in Grecia e in Jugoslavia, di tenersi allertati, per il ricevimento di ordini “a viva voce”[44]. La sera del 7 settembre, dopo essere sbarcati a Gaeta, giunsero a Roma due ufficiali americani (Maxwell D. Taylor e William Gardiner), che alle 23:00 incontrarono il generale Carboni per concordare i particolari dellOperazione Giant 2, comunicandogli ufficialmente che, lindomani alle 18:30, doveva essere resa nota lavvenuta sottoscrizione dellarmistizio. A tale annuncio, il generale Carboni fu preso dal panico e, contrariamente a quanto assicurato ad Ambrosio il giorno prima, sostenne con forza che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche. Il colloquio si trasferì nella residenza di Badoglio che, data lora tarda, fu appositamente svegliato, e dove il comandante dei servizi segreti riuscì a convincere il capo del governo del suo punto di vista. Badoglio dettò allora un radiogramma per il generale Eisenhower, in cui si chiedeva lannullamento dellOperazione Giant 2 e il rinvio della dichiarazione dellavvenuto armistizio. Per tutta risposta, la mattina dell8 settembre, il generale Eisenhower dettò un radiogramma ultimativo al maresciallo Badoglio e richiese il ritorno dei due ufficiali americani; inoltre, dopo aver annullato – come richiesto - lOperazione Giant 2, allora prevista, dalle onde di Radio Algeri, rese nota la stipula dellarmistizio tra lItalia e le forze alleate. Alle 18:45, si tenne una concitata riunione del Consiglio della Corona. Nonostante la contrarietà del generale Carboni, i presenti decisero di accettare lo stato di fatto e il Capo del governo fu incaricato di comunicare alla nazione la conclusione della resa. Alle ore 19:45, dell8 settembre 1943, dai microfoni dellE.I.A.R., il Maresciallo Pietro Badoglio comunicò agli italiani che: « Il governo italiano, riconosciuta limpossibilità di continuare limpari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nellintento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto larmistizio al generale Eisenhower… La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. » [45] Più tardi, Ambrosio cercò il Capo del governo per fargli dare attuazione alla circolare op. 44, ma non riuscì a rintracciarlo, non pensando che il Maresciallo fosse a dormire. Un timido tentativo lo effettuò la mattina dopo, senza alcun esito[46]. Secondo Ruggero Zangrandi, Badoglio avrebbe posto un veto assoluto a quella diramazione, anche se, successivamente, il maresciallo avrebbe escluso che gli fosse mai stata chiesta alcuna autorizzazione[47]. Allalba del 9 settembre, secondo Indro Montanelli e Mario Cervi la superiorità germanica era incontestabile nellItalia settentrionale, ma il rapporto era rovesciato nellItalia centrale e nellItalia meridionale, poiché le divisioni tedesche erano alle prese con gli anglo-americani che, dopo lo sbarco presso Reggio Calabria risalivano dal fondo lo stivale, e stavano per stabilire una testa di ponte a Salerno[48]. In particolare a Roma, la situazione – sulla carta – era abbastanza favorevole allesercito italiano (sei divisioni schierate, più altre due che stavano arrivando, per un totale di 50.000 uomini e 200 mezzi corazzati, a fronte di due divisioni tedesche, per soli 30.000 uomini, sia pur dotati di 600 mezzi corazzati). Con il controllo degli aeroporti garantito con lOperazione Giant 2 e il conseguente controllo dello spazio aereo, si poteva oggettivamente resistere, per i giorni necessari ad attendere larrivo delle truppe alleate dal meridione. Della situazione di svantaggio era pienamente consapevole e sinceramente preoccupato il Comandante tedesco, Albert Kesselring temendo – sembra - più della superiorità numerica dellesercito italiano, le capacità strategiche del Maresciallo Badoglio[49]. Di avviso contrario fu il capo di stato maggiore dellEsercito italiano Roatta che, in quelle ore, consegnò al generale Carboni un ordine scritto con il quale lo si nominava comandante di tutte le truppe dislocate in Roma, escludendo, però, la difesa della capitale. In tale clima il sovrano e il maresciallo Badoglio, il 9 settembre, alle ore 5:10, si accinsero a partire clandestinamente per raggiungere il Sud, via Pescara, percorrendo proprio la via Tiburtina, ove stava ripiegando anche un corpo darmata motorizzato, inizialmente previsto a difesa di Roma. Del convoglio facevano parte la regina Elena, il principe Umberto, Ambrosio e Roatta. Nella concitazione del momento - e nella consapevolezza che i tedeschi erano già sulle tracce di Mussolini - non fu effettuata alcuna fermata per prelevare lex duce del fascismo, prigioniero sul Gran Sasso, a poche decine di chilometri dal percorso effettuato[50]. Badoglio si imbarcò la mattina del 10, da Pescara, con la corvetta Baionetta (classe Gabbiano, serie Scimitarra)[51]. Poco dopo la corvetta fece sosta nel vicino porto di Ortona, dove si imbarcarono i sovrani e gli altri componenti della spedizione, diretti a Brindisi. Roma si arrese ai tedeschi il 10 settembre alle ore 16:00. A Brindisi si stabilì la sede del governo che, sotto la tutela dellAmministrazione Militare anglo-americana, ebbe giurisdizione sulle provincie di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto. Il 29 settembre 1943 Badoglio firmò a Malta il cosiddetto armistizio lungo. Il 13 ottobre 1943, infine, per mano del diplomatico Giacomo Paulucci di Calboli, il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania. Il Governo Badoglio II Il primo problema che Badoglio dovette porsi nella nuova sede, fu quello dellagibilità delle funzioni governative, in quanto alcuni ministri erano rimasti a Roma (Guariglia, Ricci, Sorice, De Curten e Piccardi)[52]. Il problema fu inizialmente risolto nominando alcuni sottosegretari facenti funzione di ministri. Successivamente, nel febbraio 1944 quando il governo si stabilì a Salerno (divenuta Capitale dItalia), ricevendo dagli alleati il controllo di tutta lItalia meridionale, Badoglio provvedette alla sostituzione dei Ministri assenti. Il secondo problema - più importante - fu quello del riconoscimento politico del governo stesso. Badoglio tentò di risolverlo sin dallottobre 1943, offrendo lincarico di ministro degli Esteri a Carlo Sforza, che, rientrato in Patria dopo un esilio durato sedici anni, era accreditato come il personaggio di maggior spicco dellantifascismo democratico. Sforza pose come condizione labdicazione di Vittorio Emanuele III; successivamente, si fece portavoce di una soluzione che avrebbe posto sul trono il nipote infante (Vittorio Emanuele IV) del sovrano, con la reggenza del Maresciallo Badoglio. Questultimo mise al corrente di tale evenienza il sovrano[53], che, naturalmente, espresse la sua contrarietà. Limpasse fu superato con laccettazione di una proposta di Enrico De Nicola, cui Sforza aderì, consistente nel formale mantenimento della titolarità del trono da parte di Vittorio Emanuele III, ma il trasferimento di tutte le funzioni al figlio Umberto, quale Luogotenente del Regno. Tale trasferimento si sarebbe concretizzato con lingresso degli alleati nella Roma liberata. Ciò consentì la formazione a Salerno, il 22 aprile 1944, del primo governo politico post-fascista, sostenuto dai sei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Alla vice presidenza fu nominato il comunista Palmiro Togliatti; ministri senza portafoglio: Benedetto Croce, Carlo Sforza, il socialista Mancini e il democristiano Rodinò. Data la debolezza della sua Presidenza, il governo Badoglio II resse solo poche settimane, sino a quando l8 giugno 1944, il maresciallo Badoglio dovette rassegnare le dimissioni nelle mani del nuovo luogotenente del Regno. Gli successe Ivanoe Bonomi. Alla fine di giugno del 1944 Badoglio si ritirò a Cava de Tirreni con la nuora e i nipoti, che gli furono di conforto nellassenza del figlio Mario, deportato in Germania e rinchiuso nei campi di concentramento di Mauthausen e Dachau. Sopravvissuto, Mario Badoglio premorrà al padre, nel 1953, per i postumi della prigionia. Nel marzo 1946 lAlta Corte di Giustizia dichiarò il Maresciallo decaduto dalla carica di senatore, con la quasi totalità dei componenti dellassemblea vitalizia. Nel 1948 la Corte di Cassazione annullò tale sentenza, reintegrandolo nelle funzioni parlamentari. Gli anni del secondo dopoguerra e laccusa di crimini di guerra Il trattato di pace sottoscritto il 10 febbraio 1947, prevedeva, allart. 45, limpegno, da parte dellItalia, per assicurare larresto e la consegna, ai fini di un successivo giudizio, di tutte le persone accusate di aver commesso o ordinato crimini di guerra. Nel maggio 1948 il Governo etiope inviò allapposita commissione dellONU per i criminali di guerra, una lista di dieci presunti criminali, comprendente il maresciallo Pietro Badoglio, per il deliberato uso di gas e bombardamento di ospedali della Croce Rossa[54][55], ordinato durante la campagna del 1935-36. LEtiopia si era appellata ad unaltra clausola del Trattato di pace, che indicava un ininterrotto stato di guerra tra essa e lItalia sin dal 3 ottobre 1935; successivamente (novembre 1948), pertanto, chiese la consegna degli accusati per sottoporli a processo[56]. LItalia peraltro, riuscì a ottenere dagli alleati la rinuncia allapplicazione di tali clausole, impegnandosi a provvedere direttamente al giudizio di tutti i presunti criminali, individuati dalla Commissione ONU[57]. Quando la Commissione dinchiesta italiana iniziò i lavori (che, peraltro si conclusero con larchiviazione delle posizioni di tutti gli accusati) il nominativo di Badoglio non compariva più in nessun elenco[58]. Rientrato a Grazzano, dopo la Liberazione, il Maresciallo volle che la casa natia, una volta ristrutturata, diventasse un asilo infantile, intitolato alla mamma Antonietta Pittarelli e destinato ad accogliere gratuitamente i piccoli del paese, riservandosi alcuni locali, da destinare a museo. Nei mesi estivi era lui stesso ad accompagnare i visitatori, illustrando i vari cimeli esposti e le vicende della sua vita militare. Pietro Badoglio morì a Grazzano il 1º novembre 1956 per un attacco di asma cardiaco. I funerali si svolsero il 3 novembre successivo, anniversario della firma dellarmistizio di Villa Giusti, con la partecipazione dei rappresentanti del Governo, delle Autorità e con tutti gli onori militari. Nel cimitero di Grazzano Badoglio vi è una cappella dove oltre a quella di Pietro Badoglio sono custodite le spoglie di altri familiari. Nel 1991, dopo la chiusura dellasilo Pittarelli, la casa natia del Maresciallo dItalia fu destinata a centro culturale, per conto della Fondazione Badoglio, divenuta proprietaria di tutti i locali. Il soldato discusso, luomo discusso I ruoli ricoperti nella sua carriera militare ed in quella politica esposero Badoglio a interpretazioni ostili di diverso orientamento, ma la mole delle critiche rivoltegli è tale che desta sensazione: fu mal visto e peggio reputato da destra come da sinistra, dai militari come dai politici, dai repubblicani come dai monarchici, dagli americani come dai tedeschi. Resta luomo che lega indissolubilmente il suo nome a Caporetto, alliprite e all8 settembre. Del soldato è discussa la velocità della carriera. Circa lutilizzazione delliprite, i fatti (sconosciuti allora allopinione pubblica italiana) sembrarono inaccettabili anche per un tempo nel quale ancora non erano intervenute le profonde mutazioni culturali del dopoguerra e i limiti della morale bellica dellepoca erano alquanto più elastici degli odierni. Nel 1965, fu tolto il segreto di stato alle risultanze dellapposita commissione dinchiesta sulla mancata difesa di Roma dell8-10 settembre 1943. Risultò così che i tre commissari, riuniti tra il 1944 e il 1945 sotto la Presidenza del comunista Palermo, avevano dato uninterpretazione strettamente militare allevento, attribuendone la responsabilità al capo di stato maggiore dellEsercito Mario Roatta e al comandante delle truppe dislocate in Roma generale Giacomo Carboni. Fu così che Badoglio, dopo i fatti di Caporetto e i crimini della campagna dEtiopia, sfuggì per la terza volta ai rigori di una Commissione dinchiesta. La carriera bruciante, la mancanza assoluta di sanzioni (Caporetto) e la stessa lunga convivenza istituzionale forzosa con Mussolini sono apparsi a molti come segnali di qualche incongruenza che troverebbe spiegazione solo nellappartenenza di Badoglio alla Massoneria. Tale presunta affiliazione, tuttavia, non trova riscontro in alcun documento ufficiale[59]. Tuttavia ne sembra convinto il generale Luigi Cadorna (Capo di Stato Maggiore dellEsercito) che il 6 marzo 1917 scrive al figlio Raffaele «A Capello ho dato Badoglio come desiderava. Così sono in pieno tre puntini! Almeno non mi diranno che ho delle prevenzioni!»[60]. Piemontese (del Monferrato) come il Re, sembrò avere sempre il costante sostegno dalla Corona, sebbene non fosse sempre stato graditissimo nemmeno al Quirinale[61]. I racconti di Badoglio A proposito dellarresto di Mussolini, Badoglio descrisse una versione del colloquio di Villa Ada fra il Re e Mussolini, che non trova suffragio di attendibilità presso gli storici, anche perché il colloquio era a due e nessuno dei (due) presenti ne parlò[62]. Dellarmistizio spiegò che era stato siglato perché la rete ferroviaria era stata resa inservibile e perché la Germania aveva inviato in Italia truppe non richieste, aveva ridotto le forniture di carbone e si era appropriata di un carico di grano, questultima cosa grave al punto da non lasciare più tempo da perdere. Contattato Eisenhower, continuò, «vennero dei patti un po imbrogliati che non sto a chiarirvi». Circa alcune sue reiterate dichiarazioni riprese da De Felice, secondo le quali Mussolini avrebbe avuto in programma di chiedere un armistizio per il 15 settembre, la circostanza non trova riscontri probanti[63]. Il museo La casa dove nacque e dove morì è oggi adibita a museo ed è di proprietà della Fondazione Badoglio. La famiglia Badoglio la vendette nel 1922, ma nel 1937 l’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra di Casale Monferrato la riacquistò e la donò a Pietro Badoglio. Badoglio decise che sarebbe divenuta la sede dell’asilo infantile intitolato alla madre Antonietta Pittarelli, riservandosi una parte come propria abitazione e museo. Nel 1988 l’Asilo Pittarelli è stato chiuso. Nel 1991 è stato costituito il Centro Culturale Pietro Badoglio (Direttore Alessandro Allemano) che gestisce attualmente il Museo Badoglio. Matrimonio e figli Pietro Badoglio sposò a Roma il 26 ottobre 1904 Sofia Valania (Milano, 1884 - Roma, 19 novembre 1942), figlia del colonnello di granatieri Ferdinando Valania e di sua moglie, Luigia Dobrilla. Da questa unione nacquero i seguenti figli: Mario (Roma, 1º agosto 1905 - San Vito al Tagliamento, 10 febbraio 1953), diplomatico e Capitano di complemento della Regia Aeronautica, sposò a Sanremo il 3 gennaio 1937 Giuliana Rota, figlia del senatore Francesco Rota dei Conti di San Vito e di Mary Treherne Dalrymple Francesco Ferdinando (1908 - 1911) Paolo Ferdinando (Roma, 6 gennaio 1912 - incidente sul fronte, Sebha 30 aprile 1941), Tenente di complemento d’aviazione. Sposò a Roma il 6 luglio 1935 Anna (detta Annina) Silj, figlia del senatore Bernardo Silj, nipote del cardinale Augusto Silj e cugina del Cardinale Pietro Gasparri Maria Immacolata (Roma, 15 gennaio 1915 - Roma, 3 marzo 1985), sposò a Roma il 12 aprile 1939 il marchese Antonio Corbizzo Altoviti Avila Nicolai Lazzarini (n. Firenze, 15 ottobre 1914) Bibliografia Gian Luca Badoglio (a cura di), Il Memoriale di Pietro Badoglio, Udine, Gaspari Editore, 2000. Pietro Badoglio, Tripolitania economica : (la colonizzazione a tutto il 1931), Tripoli, Governo della Tripolitania. Direzione degli affari economici e della colonizzazione, 1931. Pietro Badoglio, La guerra dEtiopia, Milano, Mondadori, 1936. Pietro Badoglio, La via che conduce agli alleati, Edizioni Erre, 1944. Pietro Badoglio, Rivelazioni su Fiume, Roma, Donatello De Luigi, 1946. Pietro Badoglio, LItalia nella seconda guerra mondiale : prima e dopo il 25 luglio 1943, Milano, Mondadori, 1982. Roberto Bencivenga, La sorpresa strategica di Caporetto, Udine, Gaspari Editore, 1997. Silvio Bertoldi, Badoglio. Il Maresciallo dItalia dalle molte vite, Milano, Rizzoli, 1993. Silvio Bertoldi, Colpo di Stato. Venticinque luglio 1943: il ribaltone del fascismo, Milano, Rizzoli, 1996. Silvio Bertoldi, Apocalisse italiana. 8 settembre 1943: fine di una Nazione, Milano, Rizzoli, 1998. Silvio Bertoldi, Guerra: Italiani in trincea da Caporetto a Salò, Milano, Rizzoli, 2003. Silvio Bertoldi, Il Regno del sud, Milano, Rizzoli, 2003. Centro per le Ricerche Archeologiche e Storiche nel Goriziano (a cura di), La rotta di Caporetto. Luigi Cadorna, La guerra al fronte italiano, 1921. Luigi Capello, Per la verità, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920. Luigi Capello, Note di guerra, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920. Saverio Cilibrizzi, Caporetto nella leggenda e nella storia, Milano, Libreria Internazionale Treves, 1947. Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, Bari, Laterza, 1988. Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra dEtiopia, Roma, Editori riuniti, 1996. ISBN 88-359-4091-5. Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2005. ISBN 88-545-0013-5. Dino Grandi in Renzo De Felice (a cura di), 25 luglio, quarantanni dopo, Bologna, Il Mulino, 1983. ISBN 88-15-00331-2. Indro Montanelli, LItalia di Giolitti, Milano, Rizzoli, 1974. Indro Montanelli; Mario Cervi, LItalia dellAsse, Milano, Rizzoli, 1981. Indro Montanelli; Mario Cervi, LItalia della disfatta: 10 giugno 1940-8 settembre 1943, Milano, Rizzoli, 1983. Indro Montanelli; Mario Cervi, LItalia della guerra civile, Milano, Rizzoli, 1984. Relazione della Commissione di Inchiesta su Caporetto, R.D. 12 gennaio 1918, n. 35, Roma, Stabilimento Poligrafico per lAmm.ne della Guerra, 1919. Massimo Rendina, LItalia 1943/45. Guerra civile o Resistenza?, Roma, Newton Compton, 1995. Carlo Sforza, LItalia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, Mondadori, 1945. Antonio Spinosa, Vittorio Emanuele III: lastuzia di un re, Milano, Mondadori, 1990. Ruggero Zangrandi, 1943:25 luglio-8 settembre, Milano, Feltrinelli, 1964. Vincenzo Di Michele, Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso, Curiosando Editore, 2011 fonte wikipedia
Posted on: Thu, 31 Oct 2013 17:06:48 +0000

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