Poema storico e romantico: Catherine, la Fanciulla di Nanterre, - TopicsExpress



          

Poema storico e romantico: Catherine, la Fanciulla di Nanterre, Canto XII, Parte I - Notte di melanconica Fuga Poscia la cena, diceva ‘l Maggiore all’empio giudice: «È tempo d’agire! Or voi dovreste mandar a compire un de’i domestici un’opra fatal». «Che vi favella?» gli chiese ‘l vegliardo, ed ei rispose: «M’è d’uopo ordinare a qualcheduno che sia militare un’imboscata meschina e mortal. Monsieur, m’è brama che un servo sen vada vêr un bivacco; e quivi che dica che attendo in fremiti in quest’amica vostra magione, un gendarme o un picchier, e che l’adduca dappresso ‘l mio Genio, perché gli possa ciarlar dell’impresa…. E in questa Notte, d’eterno distesa, lo giuro, a morte cadran de’i guerrier»; e l’uom togato ascoltava, e chiedeva: «Ebben volete che ‘l drudo dapprima de’ vostri prodi pugnando sopprima pria che arrestato sen vada a morir? Già lo diceste! Ma come si puote tender l’agguato nel loco preciso, quando ignoriamo ‘l sentiero deciso da’i due dementi che voglion fuggir?». «Monsieur, fia facile! Dobbiam mentire, dobbiam far credere a que’ giovinetti che in sulla Senna una barca li aspetti, e che ‘l sentiero fia cheto e secur; e allor m’è brama che pochi dragoni tendan l’insidia con ordin d’arresto - non ponno uccidere - eppur ben presto essi morranno tra’i colpi e l’oscur, e vò un drappello che ascosto e guardingo, al giusto tempo furente intervenga, e che la fiamma d’Amore si spenga, tra un mar di sangue che eguali non ha… e m’è desiro che ‘l giovin rivale, pien di catene, sen torni in sua cella, e che col ferro s’eclissi la stella della sua Vita. Lo giuro, e sarà!»; e l’empio giudice lieto approvava, e allor sonava un reo campanello, e richiamato dal sòno di quello, un giovin servo supino apparì, e a lui diceva: «Orben, sparecchiatemi questa buon tavola, oh giovine, e poscia, e senza un detto, e senza un’angoscia, vêr un bivacco n’andate da qui!», e ‘l reo Maggiore meschino dicevagli: «Dite a un sergente che quivi l’attendo, fra men d’un’ora; e grazie vi rendo, oh giovinetto, se andate a ubbidir!», e detto questo lanciògli un danaro, e ora ‘l domestico tosto ‘l raccolse, sparecchiò ‘l tavolo, e dopo volse - vêr un manipolo - l’opra a compir… e nell’attesa che bella giungesse la giovin dama, e ‘l Maggiore e ‘l vegliardo tuttor ciarlarono d’ogni maliardo uom di Parigi, e del frivolo ancor, e questi istanti funesti passavano, e oscuri e tristi, e funebri e ansanti, e già rendevano e indarni ed infranti i santi sogni d’un nobile Amor. Or nel frattempo, e mondata e vestita, la pia fanciulla scendeva, e divina n’andava lieta, e vêr la cucina volse, e le serve andò a salutar, e qui tra’i fochi… e tra’i caminetti, e tra le braci, e tra’i buoni vapori, e tra gli aromi, le carni e i sapori, l’audace guardo sen volle girar, ed osservava i tegami e le pentole, e i bei paiuoli, le ricche dispense, e de’i domestici le miser mense, e i lungi mestoli, e gli aspri coltel, e sur d’un povero e rorido tavolo, tra un candelabro di bronzo e di rame, del vespro un lume abbagliava la fame de’i servitori da un pio finestrel; e Catherine che i servi salutava or ben vedeva de’i miseri cesti, e i scarti acerbi de’i frutti, ed i gesti di due servette che un pane affettâr, e scorse i resti di mele e di tuberi, e fior di zucche, e strazianti cipolle, e poi lattughe coverte di zolle di negra terra, e i servi girar con i lor legni una parca minestra, e ancor de’ bulbi scorgeva e l’ispezie, ed ascoltava l’allegre facezie delle vegliarde nel cor d’amistà, e vide i rami di salvia aromatica, e timo e origano, e bacche di pepe, e spine e more e di rovi e di siepe, e de’i bei lauri l’augusta beltà, e da una parte le piume de’i polli, e l’osse e l’ale de’i bruni fagiani, e allor gli avanzi d’arrosti, e i montani gambi de’i funghi, e i fiaschi del vin, e in su’ de’ legni sen stavano l’orme fulve e vermiglie d’un sangue dormiente, ed ella scorsele, e vide ardente ‘l cener fosco del freddo camin, e contemplava le tazze e le coppe, ed i bicchieri… e un’altra scodella, e ‘l lardo e ‘l burro, e l’orbe budella, ed in un piatto de’ fegati e un cor, e l’alte giare dell’acido aceto, e brusche e fetide lische di pesce, e tuorli d’ovo, e fette di vesce, e i bei porcini ripien di sapor, ed ammirava le botti dell’olio, e i dolci vetri del miel cristallino, e l’aromatico e bel rosmarino, le marmellate, ed i tozzi di pan, e i vecchi rostri più splendidi d’oro, e l’albe penne in avorio cangiate, e l’empie lame taglienti e affilate, e i bei profumi ch’andavan lontan… e scorgea i candidi albumi colanti, e la farina… e l’acido caglio, e pesche e fragole, e spicchi dell’aglio, e more in sangue, e i dolci lampon, e ‘l cesio burro, mellifluo di nettari, e da un bel fonte, dell’acqua le brocche, e udiva allegra de’i servi le bocche sclamar motteggi, far liete tenzon, e vedea poscia in su’i muri miserrimi, qua e là, de’ chiodi grondanti vapore, e appese a questi e di biondo colore, le spighe cerule e d’orzo e del gran, e le pannocchie, e su queste la muffa che come brina in su’i granul posava, e la saliva che immobil lasciava un negro corvo, o un torvo fagian; ed ella allor ascoltava ‘l narcotico odor de’i semi all’aglio commisti, e del granturco, e d’orride cisti l’avido sangue che sempre colò, e la fragranza d’un brodo sì povero, e degli aromi, e de’i bacchici tini, e ‘l buon sapor che co’i docili vini s’alzò da un fiasco che un servo stappò. Ora una serva, scorgendo la dama, chiese gentile: «V’aggrada qualcosa?», ed or colei rispose: «Oh generosa, niente, scusatemi! Fame non ho!». «Ma non avete cenato ‘sta sera! E qui venite, in cucina, oh madama!». «Oh cara amica, mi serve una lama, sol un acciaro giovare mi può!». «E a che ‘l volete?» chiedea la domestica, e la donzella le disse: «M’è d’uopo! Forse disopra sen gira un gran topo, m’è in uggia e in tedio, e ‘l voglio sgozzar!». «Un topo… dite?» la serva chiedeva, e poscia aggiunse: «A sòn di bastone lo scovo io istessa. Me’l dice ‘l padrone: è mio dovere que’ ratti accoppar»; e Catherine, che n’andava a mentire, sclamò: «Chetatevi!.... Io sol l’uccido!», e la sua vittima, invero, l’infìdo era ‘l crudele, e beffardo Maggior, e, infatti, in mente pensò che qualora non fosse stato idoneo ‘l liquore, gli avrebbe spinto ripien di furore forse un pugnale nel mezzo del cor; ed or la giovine scorse una donna commossa e tremula che all’improvviso, gettò un coltello, e che ‘l bianco suo viso e l’ansio ciglio tremando coprì… e la fanciulla così le chiedeva: «Oh cara amica, qual è vostra pena?», e quella disse: «La Morte balena sopra ‘l mio capo che un uom maledì». «Orsù, spiegatemi! Che cosa accadde?». «Ahimè, incontravo quel lurido drudo, sì… quel zerbino; e formido e crudo mi strinse i polsi, e in sul sen mi toccò». «Ciel, quale audacia!» la giovin sclamava, e la domestica diceva: «E tosto io mi librai, e in sul suo volto scomposto la mia mancina furente tonò… e allor fuggivo, e quegli in furore mi giurò Morte, l’acciar e vendetta, ed un patibolo forse m’aspetta, ed impunito quel folle n’andrà. Ora m’è vana la spene, e la Sorte già mi trascina nel regno de’i morti… qui non ho dritti, non trovo più porti, e indarno è forse implorare pietà»; e Catherine che ascoltava adirata, a questa misera diè de’ danari, e poi ordinava: «Fuggite i miei lari, v’è ancor del tempo per farvi fuggir!», e allor la serva pigliava quest’oro, e tosto e celere fuggìa, e un coltello la damigella prendeva, e quello colle sue vesti ben volle coprir.
Posted on: Sat, 19 Oct 2013 18:07:03 +0000

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