Poema storico e romantico: Catherine, la Fanciulla di Nanterre - TopicsExpress



          

Poema storico e romantico: Catherine, la Fanciulla di Nanterre (Canto IV) Canto IV: Intermezzo narrativo - L’Incontro nella Foresta Insonne e inquieta passava la Notte, tentò più volte di chiudere gli occhi, eppur facendolo, sognava i tocchi e le carezze, ed i baci d’Amor, e si voltava nel letto in più versi, ed il cuscino parevale un sasso - e le lenzuola ricolme di lasso - e lamentavasi nel sen il cor; e le sembrava che stesse su’i margini d’un rovo in spine, dappresso l’ortiche… e ‘l cruor e l’anima l’aspre e nemiche spire venefiche le consumâr. Un tocco infausto d’ortica e d’aconito, era una foglia che avvolsele ‘l seno, le punse ‘l core… versava un veleno… e le vesciche in su’i nervi spuntâr; erano gli acidi, ed erano gocce d’un cedro siculo, nappo sì amaro, ed eran duoli d’un sonno men caro, d’un più gradevole e dolce desir…. E in questa Notte la dama miserrima non chiuse un occhio, non stese i suoi nervi, chè i suoi sogni le furono impervi, chè non restavale se non morir. Stonati accordi di molle violino ella sentiva in sul vento vagare, ed eran gridi d’un placido mare fatto d’affanni, di gran dispiacer: resti d’ossame e di teste insepolte, tedi di ronde dannate al Dimonio… e l’ombra orrenda d’un reo matrimonio a lei meschino si fece veder. Giunse l’aurora, ed ella vestendosi si dondolava tra’i spenti sbadigli, andò al verone, mirava i bei tigli, e dalla camera poscia n’uscì, e andò a un cembalo ed una sonata dell’austro musico mesta cantava, e di Gossec che tanto sì odiava l’onor marziale in tal guisa ferì; e quando giunse dall’alte sue camere il padre orribile, muta sen stette, ma quest’infame qual ciel di saëtte - bieco guardandola - l’interrogò…. Ed ella dissegli bianca e pallente e mesta in core che nulla sapeva, disse che niuno di Notte volgeva a lei e alla fuga; ma l’uomo sbraitò. Ciononostante la giovin madama sempre dicevagli la buon menzogna, né si sentiva svenir da vergogna, e tante iscuse ancor ripetè. Eppur il padre, che più non credevale, che a sera - dissele - dovea incontrare il gran Maggior cui la vôl maritare, poscia n’andava, ed ella gemè. Passaron l’ore, passò mezzogiorno. Poscia che ebbe mangiata una magra pietanza a pranzo, vestita da sagra, la triste dama andò a passeggiar, e pe’i bei vicoli d’empia cittade e tra’i palagi e presso le chiese v’eran gendarmi, maëstri di offese, che tutto e ovunque baldanti guardâr, e in sulla piazza ‘l coperto patibolo s’ergeva infausto tra armati custodi, e sovra d’esso, per furti e per frodi, forse per niente, in molti morîr, ed ai suoi piedi, tra l’orride pietre, truci sen stavano tracce di vene, e di capelli, e l’orride pene de’i giustiziati parevansi udir; e a Catherine, che cotanto gemeva, parve opportuno voltar in campagna, lungi dal sangue e dall’umile lagna che affisse l’aura in sul ferro fatal. Ma da lontan si vedeva Parigi, a lei sembrava un funebre spettro, e là regnava d’un dèmon lo scettro… l’ombra di Satana in su’i mortal. Allor ai boschi, ai verdi fusti e agli apici delle conifere e delle betulle, n’andava inquieta ed in alto ed in sulle foglie soffrenti lo sguardo posò, e in sotto ‘l Sole grondava ben rorida d’acre sudore, e non s’asciugava; ed ogni goccia febbrile bagnava il collo e ‘l seno di lei che l’urtò. Ella fermavasi poscia a un laghetto e si sedeva in sull’argine asciutto, tra le campanule e tra l’aspro frutto d’un noce acerbo, e udiva i ruscel, e contemplava le selve limitrofe, e non volèa che giungesse la sera, ed ascoltava posare la fiera, e ‘l trillo allegro de’i docili augel, e poi si sciolse le vesti e discinta e poscia scalza scendeva nel lago: come una timida ninfa dal vago e bianco corpo, in sull’acque nuotò, ed era bella, e allegra e sbracciata; e la camicia dipinta di crema fradicia stava, e priva di tema, l’ombra del seno, del ventre mostrò. Quand’ella emerse dall’acque sì placide, stette mezz’ora nell’arida attesa che l’asciugasse il Sole, e distesa guardò le nuvole bianche e legger, e ricompose le vesti serafiche, il fazzoletto in sul core e in sul seno, ma ancor sen stavano l’acque in sul fieno del biondo crine, sovran di Nanterre. Ora - di colpo - udiva ‘l galoppo e i duri zoccoli, le ferree briglie d’un palafreno che l’agili triglie in sul laghetto si mise a turbar, e poscia un attimo, da un pio sentiero, un cavalier che n’andava felice giunse, e l’elmetto dall’alta cervìce tolse, e l’amato i Ciel le portâr. Ell’era gaudia, e balzavasi e pronta gli andava incontro; ed egli fermava il ner destriero e poi lo legava a un verde pioppo, e allor l’abbracciò, e colle mani la docile ischiena le accarezzava, e ‘l collo e le spalle, ed eran lor dell’ale di farfalle, e un miel, un dardo che Amore schioccò, ed avvolgevala col suo mantello, e le lisciava i biondi capelli, ed il suo ciglio perdevasi ai belli occhi d’Oceano, azzurro di Dei…. Ed ella lieta n’andava a sorridere, e lo fissava perduta in desiro, chiedeva un bacio… e un bacio, e un giro d’altri bei baci, e mill’altri; ed ei palmi di dita passavale in viso, e poi sfioravale ‘l picciolo naso, e lentamente, il labbro ben raso alle sue labbra ridente posò… ed ella alzava le braccia ed al collo del dolce amato le mani n’avvinse, ed una volta baciata lo strinse in altri baci… un altro invocò, e gli mirava lo sguardo e ‘l recondito animo, e gli occhi, e l’irte basette, e lo baciava e in sulle dilette guance n’andavano l’echi a soffiar…. Ed all’orecchio la dama diceva dolci discorsi di gaudio e d’Amore, sentiagli al sen i palpiti del core, e continuavagli ‘l labbro a baciar, e poscia dissegli del padre osceno l’ultima offesa e l’ordine bruto; ed ei sentivala pallente e muto, sclamò: «’Sta sera, vedrete sol me!», ed imprudente giurava d’ucciderle il drudo odiato con un colpo di spada, disse: «Che viva! Ma tosto sen vada da voi lontano, chè amarvi non deê!»… ed ella in spasimi, Amore giurandogli, sclamò: «Badate che niuno vi colga! Al reo mio padre ‘l velame si tolga, dirò d’amarvi… non voglio ‘l Maggior. Ma non venite, badate, ‘sta sera o getterete la Vita al carnefice. Colla menzogna colui che l’Artefice masson adora, lontano terrò!». «E voi sperate?» le chiese ‘l tenente: «Con qua’i parole farete l’inganno?». «Dirò che sono in preda a un malanno, ed in mia camera sempre starò». «A mezzanotte?» aggiunse l’amato, dolce alludendo all’intimo incontro. «Sì, con cautela…. Fuggite lo scontro col padre mio, col Maggiore masson»; e poscia un attimo ancora di baci e ognor d’abbracci, di bei giuramenti, e dopo un’ora di labbri ridenti… dopo un istante di casta passion, essi si diedero l’addio fuggente; ed ei slegava l’oscuro destriero, e galoppando avvolto in mistero, per molte volte voltavasi a lei… ed ella estatica sempre lo scorse finchè si perse in sull’atro orizzonte, e se n’andava con lucida fronte vêr la sua villa, sperando imenei.
Posted on: Fri, 28 Jun 2013 18:32:58 +0000

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