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Poste e telegrafi[modifica | modifica sorgente] Anni 50: il Largo di Castello con il Palazzo dei Ministeri Reali (Palazzo San Giacomo). Al centro della piazza si può notare lorologio elettrico di città, collegato ai cavi delladiacente Officina dei Telegrafi Elettrici[100] Francobollo da 1 grano della Posta di Sicilia (1859) Il telegrafo Henley a due aghi impiegato nelle Due Sicilie, dotato di generatore magneto-elettrico Mappa disegnata nel 1842 dal cartografo Benedetto Marzolla riportante le Strade Regie percorse dal servizio postale in quellepoca Al contrario di quanto accadde per la costruzione delle nuove strade ferrate al di fuori della Campania, la costruzione di nuove linee telegrafiche fu fortemente voluta da Ferdinando II in tutto il regno. Nel regno luso del telegrafo ottico di tipo Chappe era attestato fin dal 1802, tuttavia la prima linea telegrafica elettrica napoletana fu costruita e messa in funzione solo nel 1853 tra Napoli e Terracina. Nei primi mesi del 1858 il sovrano fece redigere un nuovo regolamento per limpianto ed il servizio dei telegrafi elettromagnetici, adottando i più moderni sistemi di Henley e Morse. Inoltre furono notevolmente incrementate le stazioni telegrafiche aperte ai privati, in quanto la maggior parte delle stazioni erano fino a quel momento impiegate per le sole comunicazioni istituzionali e con lestero. Il territorio del regno fu ripartito in sette divisioni telegrafiche, suddividendo gli uffici che vi operavano in tre classi. La tassa minima si applicava ai telegrammi da 25 parole, il prezzo aumentava dopo altre 25 parole, poi ogni 50 parole, senza calcolare gli indirizzi. Questo sistema venne poi in parte ripreso dal servizio telegrafico del Regno dItalia. Il 25 gennaio 1858 venne inaugurata la linea telegrafica elettrica sottomarina tra Reggio Calabria e Messina, ed il 27 fu messa a disposizione dei privati. Nel 1859 vennero posizionati inoltre i cavi sottomarini tra Modica e Malta e tra Otranto e Valona, in collegamento con le linee telegrafiche dellEuropa centro-orientale. Seguirono numerose inaugurazioni di nuove stazioni e linee telegrafiche fino alla fine del regno, che trovò le Due Sicilie dotate di 86 stazioni e di 2.874 km di linee.[101] I francobolli postali furono istituiti con un decreto del re del 9 luglio 1857. Il decreto imponeva di affrancare i giornali, le stampe e la corrispondenza in generale, con la facoltà di far pagare le spese postali e laffrancatura al destinatario. Furono create sette serie di francobolli: da mezzo grana, da uno, da due, da cinque, da dieci, da venti e da cinquanta grana. I fogli erano soggetti a bolli di uno o due grana, a seconda della destinazione della lettera. I bolli si annullavano con un timbro nero, riportante la parola annullato. La prima emissione di francobolli per le Poste Napoletane avvenne il 1º gennaio 1858. I nuovi francobolli erano di vari colori e generalmente riportavano incisioni su filigrana rappresentanti il busto di Ferdinando II o i simboli del reame (3 gigli, cavallo sfrenato e trinacria). Con decreto del 28 febbraio 1858 la circolazione dei francobolli fu estesa anche alle Poste Siciliane.[101] Tradizionalmente le spedizioni postali via terra avvenivano 4 volte alla settimana da Napoli per le regioni continentali (e viceversa) e sei volte per lestero (confine pontificio). LOfficina Centrale della Posta nel Regno delle Due Sicilie era situata a palazzo Gravina (Napoli). Con il decreto del 1857 furono istituite anche delle spedizioni postali rapide tra Napoli e Lecce, Napoli-Teramo e Napoli-Campobasso (e viceversa). Con ordinanza del 19 gennaio 1858 si stabilirono nuovi orari per le 6 linee principali: il tragitto per le Puglie doveva compiersi in 50 ore allandata e al ritorno, quello per le Calabrie in 80 ore, quello per gli Abruzzi in 28 ore, quello per il Molise in 13, quello per Sora in 15 e quello per Terracina (confine pontificio) in 14 ore. Generalmente questi tragitti per linterno del regno avvenivano sulle grandi Strade Regie, o in alcuni casi su strade provinciali minori, contemplando ben precise fermate per il cambio dei cavalli e stazioni di sosta per i passeggeri. È da ricordare infatti che il metodo più usato per viaggiare allinterno delle Due Sicilie era quello delle corse postali, che quindi contemplavano anche il trasporto di passeggeri.[101] Si faceva largo uso dei trasporti via mare: era impiegato un buon servizio postale su navi a vapore per raggiungere le isole e lestero. Marina mercantile e commercio internazionale[modifica | modifica sorgente] Il regno era dotato di unimportante marina mercantile. Sia il commercio che lindustria (ed il nascente turismo di massa) infatti, concentrati principalmente nelle città costiere, si servivano dei trasporti marittimi forniti dalle numerose compagnie di navigazione e dallo stesso Stato che, oltre a solcare il Mediterraneo, compivano anche rotte oceaniche (soprattutto per raggiungere i paesi dellEuropa del nord)[102]. Ad esempio, la società Sicula Transatlantica, dagli armatori palermitani De Pace, si dotò del Sicilia, un piroscafo a vapore di costruzione scozzese, che collegò Palermo a New York in 26 giorni, divenendo la prima nave a vapore italiana a giungere nelle Americhe[103]. Il Ferdinando I, prima nave a vapore del Mediterraneo (1818) Nel 1734, anno in cui Carlo di Borbone assunse il titolo di re delle Due Sicilie dopo lepoca vicereale, le marine mercantili napoletana e siciliana versavano in pessime condizioni. I porti minori erano chiusi al traffico e le esportazioni ridotte al minimo. Per far fronte a questa situazione re Carlo fece emanare una serie di norme e disposizioni atte a rendere finalmente efficace la navigazione mercantile nel suo Stato. Furono stabiliti regolamenti moderni per i marinai ed i padroni e fu incrementata la cantieristica e l’istruzione professionale nelle aree di più lunga tradizione marinara (come nella penisola Sorrentina e nellarcipelago Campano). Il nuovo corso della marineria mercantile napoletana e siciliana fu determinato inoltre dal potenziamento della Marina Militare (che provvide a debellare la pirateria araba e balcanica), ed inoltre dall’eliminazione dei privilegi doganali per i legni inglesi, francesi, spagnoli e olandesi che procuravano problemi all’erario nazionale. A metà Settecento i legni delle Due Sicilie ripresero a commerciare con i principali porti del Mediterraneo, con occasionali viaggi oltre le Colonne d’Ercole.[104] Messina, importante porto commerciale, come appariva prima di essere distrutta dal sisma del 1908 Con l’avvento al trono di Ferdinando IV sul trono di Napoli si consolidarono le norme introdotte sotto il regno di Carlo di Borbone, furono potenziate le strutture al servizio della marineria mercantile e furono sottoscritti nuovi trattati di commercio con i paesi nordafricani, gli stati anseatici del Baltico e con l’Impero russo, permettendo alle navi delle Due Sicilie di poter transitare per i Dardanelli ed il Bosforo per raggiungere i porti del Mar Nero. In quegli anni inoltre furono consolidati i rapporti commerciali con tutti gli Stati del Mediterraneo, con il Regno Unito, il Portogallo, l’Olanda, la Danimarca e la Svezia.[104] La seconda metà del XVIII secolo segnò per il Regno delle Due Sicilie la ripresa di una coscienza marinara, contrassegnata dal sorgere di tutte quelle attività che decretarono l’inizio dell’evoluzione verificatasi dopo il Congresso di Vienna, in cui il processo di trasformazione della società napoletana impresse alla sua economia una spinta in senso borghese. Durante il decennio francese le strutture economiche e sociali del regno si rafforzarono, si consolidò la borghesia, erede del baronaggio feudale ormai abolito, e soprattutto si formò una nuova coscienza politica. Tornato sul trono Ferdinando I di Borbone si conservarono le normative di epoca napoleonica, si diedero premi ai legni che esportavano nei mari più lontani, nacquero le prime compagnie di assicurazione e si incrementarono le costruzioni navali nazionali. Negli anni ’10 dell’Ottocento la bianca bandiera delle Due Sicilie, la prima in assoluto di uno Stato italiano, cominciò a sventolare regolarmente anche nei porti americani del nord e del sud (è da ricordare a questo proposito lapertura della prima ambasciata degli Stati Uniti in Italia, avvenuta a Napoli il 16 dicembre del 1796), nelle Antille e nelle Indie.[104] Nel 1817 ci fu una conquista tecnologica destinata a cambiare il modo di navigare: il principe di Ottajano Luigi de Medici, ministro delle finanze, decise che il reame avrebbe dovuto dotarsi di navi a vapore per la navigazione mercantile. Le navi a vapore, che in quegli anni muovevano i primi passi nei fiumi inglesi e francesi, si ritenevano all’epoca inadatte all’utilizzo in mare aperto. Fu proprio nel Regno delle Due Sicilie che probabilmente si decise per la prima volta di utilizzare navi a vapore per la navigazione marittima. Così si commissionò al cantiere di Stanislao Filosa, presso il forte di Vigliena a est di Napoli, la prima nave a vapore del Mediterraneo: il Ferdinando I, di 213 tonnellate, varato il 24 giugno 1818 e affidato all’alfiere di vascello Giuseppe Libetta. Il primo viaggio fu tra Napoli e Marsiglia, passando per Genova, Livorno e Civitavecchia: fu il primo viaggio in mare aperto di una nave a vapore in Europa.[104] Con il regno di Francesco I si ebbe un ulteriore consolidamento della flotta mercantile delle Due Sicilie: furono aumentati i vantaggi per chi esportava in America, fu incrementata la costruzione di navi a vapore (si organizzò anche un servizio postale e di collegamenti su navi a vapore, il primo di questo genere in Italia) e furono contratti nuovi accordi commerciali. In particolare si ricorda l’accordo con la Sublime Porta che permise il libero transito delle navi di bandiera borbonica nel Bosforo.[104] Il faro di Punta Carena a Capri Avviso pubblicitario della compagnia Messaggiera Marittima, 8 ottobre 1857 Morto Francesco I, salì sul trono delle Due Sicilie il figlio Ferdinando II, il sovrano che diede l’impulso maggiore al potenziamento della marina mercantile nel reame. Sotto il suo regno si registrarono molti primati: la prima nave da crociera a vapore del Mediterraneo (il Francesco I, 1832), la prima nave a vapore in ferro con propulsione a elica (il Giglio delle Onde, 1847), il primo transatlantico a vapore tra Napoli e New York (il Sicilia, dei fratelli palermitani De Pace, nel 1854), il primo moderno sistema di fari in Italia (a partire dal 1841). Inoltre furono ampliati ed ammodernati quasi tutti i porti delle Due Sicilie, tra cui quello di Napoli (in cui fu costruito nel 1852 il primo bacino di raddobbo italiano), furono costruiti nuovi porti (come quello di Nisida e di Bari) ed istituite nuove scuole nautiche ed ospedali. Anche le esportazioni videro un significativo aumento: nel 1830 il capitano Ignazio Tedesco di Termini Imerese concepì un nuovo metodo di attraversare lAtlantico che consisteva nel navigare fino al Tropico del Cancro, evitando le vecchie rotte, in modo da sfruttare i mari più calmi ed i venti più favorevoli, accorciando in questo modo notevolmente il tempo per raggiungere le coste americane (ed in particolare i porti nord-americani, che rappresentavano un meta importante per i commerci del regno). Aumentarono anche i traffici per il Mar Nero, il Baltico, lAmerica Latina, la Scandinavia, il nord-Africa, si consolidarono le esportazioni nel Regno Unito. Il capitano Vincenzo di Bartolo, al comando dell’Elisa (249 tonnellate), fu il primo italiano a raggiungere con una nave di uno Stato preunitario il Sud-est asiatico: dopo aver lasciato le Antille e sorpassato il Capo di Buona Speranza, attraversò tutto l’Oceano Indiano fino a raggiungere lisola di Sumatra. Limpresa del di Bartolo aprì la via ai commerci per le Indie orientali, la bandiera con i gigli borbonici prese a sventolare sui mari della Sonda, spesso luogo di scontro con i pirati locali, registrando una presenza stabile nei porti di Singapore e Samarang. In quegli anni, si ebbe un continuo e costante accrescimento delle esportazioni e delle importazioni e, di conseguenza, una costante crescita delleconomia del regno. Nel 1846, si eliminarono o abbassarono molti dazi protezionistici: con il decreto del 9 marzo si ribassava il dazio su tessuti, lavori in seta e in metallo, prodotti chimici e medicinali; con quello del 21 novembre si abbassò il dazio di esportazione sullolio di oliva. Successivamente, il decreto del 26 marzo 1847 abolì il dazio dimportazione sulla corteccia di quercia, necessaria per le concerie[105]. Nel 1847, i bastimenti delle Due Sicilie furono i più numerosi nei porti nord-americani, fra quelli degli stati italiani preunitari, le importazioni e le esportazioni crebbero ancora ed il tonnellaggio della marina mercantile superò, sempre in quellanno, le 200.000 tonnellate[104]. Vincenzo Di Bartolo, pioniere della navigazione mercantile nelle Indie Orientali Le rivolte del 1848 segnarono una battuta d’arresto per i traffici del regno, tuttavia dopo qualche anno la marineria delle Due Sicilie riprese la sua crescita. Nel 1852 i bastimenti napoletani iniziarono a commerciare anche con Calcutta, e gli eventi della successiva Guerra di Crimea furono sfruttati dalle compagnie di navigazione regnicole, che aumentarono notevolmente i propri capitali mettendo a disposizione le proprie flotte per i trasporti militari. Nel corso degli anni ’50 la consistenza della flotta mercantile delle Due Sicilie raggiunse il suo apice, nei cantieri della penisola sorrentina furono costruiti i primi bastimenti da 1.000 tonnellate, i quali conquistarono un altro primato per uno Stato italiano preunitario: raggiunsero il Madagascar e le isole minori dell’Oceano Indiano. Si ebbe poi un susseguirsi di trattati commerciali: nel 1845 con la Russia, nel 1846 con il Regno di Sardegna, Stati Uniti dAmerica e Danimarca, nel 1847 con la Prussia, nel 1848 con il Belgio e Paesi Bassi, nel 1851 con lImpero Ottomano, nel 1852 con il Granducato di Toscana, nel 1854 con lAustria e lo Stato Pontificio e nel 1856 con la Spagna e la Svezia.[106] Con decreto del 18 dicembre 1854 si stabilì inoltre che le disposizioni dei trattati si applicavano sia alle provenienze dirette che indirette.[107] Il primato delle relazioni di import-export delle Due Sicilie spettava alla Francia e allInghilterra: negli studi effettuati sulla Statistica Generale Commerciale delle Due Sicilie conservata allarchivio di Stato di Napoli si trova, per lindicativo anno 1857, che per il 40,6% dei commerci di esportazioni/importazioni si ebbero con legni francesi e per il 32,1% con legni inglesi.[108] Il commercio estero delle Due Sicilie si basava principalmente, per quanto concerne la composizione merceologica, in prodotti agricoli: olio, seta, grano, liquirizia, robbia, canapa e lana rappresentavano il 75% dello stock.[109] Tra il 1859 ed il 1860, morto Ferdinando II, furono compiute altre aperture liberiste da Francesco II, che consistevano nel diminuire drasticamente i dazi d’importazione. Tuttavia queste misure non ebbero mai effettiva applicazione, perché con l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia furono introdotte anche nell’ex stato borbonico i regolamenti del Regno di Sardegna. Nel 1859 la marina mercantile delle Due Sicilie contava in totale quasi 12.000 imbarcazioni e navi per complessive tonnellate 320.000 circa[104]. Tonnellaggio e numero di imbarcazioni[modifica | modifica sorgente] Nonostante i progressi evidenziati in campo tecnologico, tra il 1818 ed il 1824, si registrò, per tonnellaggio e numero di imbarcazioni, una esigua crescita della marina mercantile del regno: ciò è imputabile al privilegio di bandiera concesso ad Inghilterra, Francia e Spagna[110]. In base a tale privilegio, le merci trasportate su vascelli battenti bandiere di questi paesi beneficiavano di una riduzione sui dazi, pari al 10%, che, influendo sul prezzo finale delle merci, faceva in modo che tali bastimenti fossero preferiti per gli scambi commerciali[111]. A partire dal 1823, però, il governo varò alcuni provvedimenti normativi i cui risultati divennero evidenti negli anni successivi: tali disposizioni, infatti, ebbero un effetto propulsivo per lindustria cantieristica. Questultima, inoltre, poté beneficiare anche della disponibilità, sul territorio dello Stato, delle materie prime di cui necessitava e di un basso costo del lavoro. Così, tra il 1825 ed il 1855, si registrò una forte crescita della marina mercantile, tanto da risultare raddoppiata rispetto al 1824. In particolare, tra il 1834 ed il 1860, fatta salva una interruzione avutasi nel quinquennio 1851-1855, tale crescita fu costante[110]: nelle province continentali, si passò dalle 5.328 unità per 102.112 tonnellate del 1834 alle 9.847 unità per 259.917 tonnellate del 1860, con un incremento del 148,80% per le unità ed un incremento del 254,50% per il tonnellaggio. Fino al 1850, poi, tale crescita costante, per il naviglio, fu estremamente regolare e si tradusse in incremento annuo del 10%. La crescita del tonnellaggio, invece, sempre fino al 1850, crebbe in maniera irregolare, facendo registrare valori compresi in una forbice tra lo 0,50% ed il 12,50%, poiché condizionata dalle differenti tendenze nella produzione delle diverse tipologie di naviglio[112]. Dal punto di vista amministrativo, il litorale del regno era organizzato in diciassette Commissioni marittime; undici erano quelle dei dominii al di qua del Faro: Napoli, Gaeta, Salerno, Paola, Pizzo, Reggio, Taranto, Barletta, Manfredonia, Pescara e Giulia; sei erano quelle dei dominii al di là del Faro: Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Girgenti e Trapani[113]. Dalle commissioni dipendevano le dogane, presso le quali dovevano essere registrate le imbarcazioni, e le marine di allestimento (queste ultime, che ammontavano a 91, distribuite lungo le coste dello Stato, erano siti in cui erano costruiti i natanti o, comunque, custoditi)[114]. Il Corriere siciliano di Vincenzo Florio (1852) LElettrico di Vincenzo Florio (1859) Imbarcazioni registrate presso le Commissioni Marittime siciliane al 1859 Bastimenti suddivisi per Commissione Marittima Commissione marittima Numero Tonnellaggio (t) Palermo 256 20.492 Messina 279 14.036 Catania 254 11.551 Noto 136 2.512 Girgenti 313 2.765 Caltanissetta 69 1.129 Trapani 517 8.970 TOTALE 1.814 61.455 Alla Commissione marittima di Napoli era iscritta la massima parte del naviglio di tutto il reame; a tale commissione, dalla quale dipendeva tutto il litorale della provincia partenopea, le sue isole e lisola di Ponza, benché questultima fosse inclusa nella provincia di Terra di Lavoro, facevano capo 17 marine dallestimento, suddivise in tre classi di rilevanza[114]. Commissione marittima di Napoli Marine di allestimento suddivise in classi di rilevanza[114] Località Classe Località Classe Località Classe Napoli 1 Torre del Greco 3 Ischia 3 Castellammare 1 Torre Annunziata 3 Forio 3 Pozzuoli 2 Portici – Granatello 3 Casamicciola 3 Procida 2 Massa 3 Ventotene 3 Piano di Sorrento 2 Vico 3 Ponza 3 Sorrento 3 Capri 3 Nei dominii al di qua del Faro, per tonnellaggio, alla commissione di Napoli, seguivano le commissioni di Barletta, Gaeta, Salerno e Reggio; mentre, per quanto concerne la portata media dei legni registrati presso ciascuna commissione (dato ottenuto rapportando il tonnellaggio complessivo con il numero delle unità di naviglio), le commissioni di Napoli, Barletta e Gaeta risultavano sempre le più rilevanti, seguite, però, da Manfredonia e Pescara. Considerando i singoli porti, invece, quello di Napoli faceva registrare il tonnellaggio maggiore, mentre il porto di Procida era quello con il maggior numero di navi di grande stazza destinate alla navigazione di lungo corso. I legni presso il porto di Torre del Greco, invece, erano composti prevalentemente da battelli destinati alla pesca del corallo[112]. Ruolo dequipaggio del piroscafo Duca di Calabria della Società Calabro-Sicula (1852) Notizie sul bastimento a vapore Ferdinando I a Genova (1818) Tipologia e tonnellaggio di tutte le imbarcazioni registrate nei Reali Dominii al di qua del Faro Dato al 31 dicembre 1860[115] Bastimenti di maggior portata Imbarcazioni di minor portata Tipo Numero Tonnellaggio (t) Tipo Numero Tonnellaggio (t) Piroscafi 17 3.748 Cutters 6 123 Barks 23 10.413 Bombarde 12 1.124 Brigantini 380 106.546 Velacciere 17 1.251 Brick-schooners 211 33.067 Bovi 120 4.678 Navi 6 2.432 Paranze 1.332 29.860 Golette 13 1.246 Sciabecchi 8 379 Polacche 2 488 Bracciere 33 1.131 Mistici 113 5.051 Speronare 2 23 Traboccoli 30 1.282 Tartane 98 7.831 Pielaghi 231 13.958 Marielle 13 551 Feluconi 108 1.784 Scogliere 8 719 Pinchi 3 389 Schifazzi 1 18 Martingane 180 11.584 Yachts 2 355 Barche 3.586 14.782 Gozzi 3.292 5.083 TOTALE 1.317 191.988 TOTALE 8.530 67.908 Al momento dellunità dItalia la marina mercantile borbonica superava quella del Regno di Sardegna per stazza delle navi e per investimenti di capitali. Tuttavia negli anni successivi allunificazione si assistette ad un progressivo smantellamento della flotta meridionale: i nuovi governi italiani puntarono decisamente sulle industrie e sui cantieri del nord, in particolare liguri, sostenendoli con lintervento politico, con generosi anticipi di capitale e con altre sovvenzioni statali. La penuria di investimenti nel Mezzogiorno e la progressiva perdita del potere economico limitarono in quegli anni la trasformazione della flotta mercantile del sud in senso moderno. A questo trend negativo resistettero solo alcuni tra i maggiori armatori napoletani, della penisola Sorrentina ed i Florio in Sicilia (grazie al sostegno dei parlamentari siciliani). Le altre compagnie di navigazione napoletane scomparvero gradualmente, oppure assunsero una dimensione locale che comportò un loro ridimensionamento[104]. Relazioni commerciali[modifica | modifica sorgente] Il porto di Gallipoli nel 1790 Laumento del numero di imbarcazioni componenti la marineria del regno, il contestuale incremento del loro tonnellaggio (in particolare per le navi di maggiore portata) e la crescita del movimento complessivo delle navi napoletane nei porti del reame, in particolare nel ventennio 1838-58, si configurano come indicatori dello sviluppo fatto registrare dai commerci nelle Due Sicilie[116]. Inoltre, a partire dal 1830, grazie al miglioramento delle condizioni economiche del regno, si intensificarono ulteriormente le relazioni commerciali, stabilite dopo la Restaurazione, tra il regno ed i mercati esteri[117]. Nello specifico, il commercio internazionale del Regno delle Due Sicilie avveniva quasi esclusivamente via mare e gli unici scambi via terra con altri stati erano rappresentati da quelli con lo Stato pontificio. Nel periodo 1837-1855, ad esempio, i traffici marittimi in entrata rappresentarono il 99,5% del totale delle importazioni ed il 96% del totale delle esportazioni[118]. I maggiori partner commerciali del regno erano Gran Bretagna, Francia ed Impero austriaco: il commercio estero del reame, per inciso, era caratterizzato dalla concentrazione di un gran numero di scambi verso pochi paesi. Per quanto concerneva le importazioni, la Gran Bretagna si attestava come maggior fornitore, mentre per le esportazioni, fino al 1847, il primato spettò alla Francia, seguita dallAustria; successivamente, questi due stati furono scavalcati, in diverse occasioni, dal regno britannico che si attestava come il principale importatore di prodotti delle Due Sicilie[118]. In particolare, gli stati più industrializzati, come, appunto, Inghilterra e Francia, importavano dal regno borbonico materie prime e prodotti agricoli[119]. Per quanto concerne, invece, i flussi economici per il trasferimento di beni e servizi, la bilancia dei pagamenti faceva rilevare saldi attivi, che erano determinati per la maggiore dai servizi, in particolare turismo e noli, e dalle esportazioni dai dominii insulari. Se, infatti, per le province continentali, le esportazioni erano inferiori alle importazioni, per la Sicilia, invece, erano le esportazioni a superare le importazioni: lisola, dunque, aveva una bilancia commerciale attiva che dava un contributo rilevante al saldo positivo della bilancia dei pagamenti[120]. Commerci marittimi con legni Napoletani Numero dei porti di approdo divisi per stato nellanno 1852[121] Stato Numero di porti Stato Numero di porti Stato Numero di porti Stato pontificio 34 Impero Ottomano 8 Danimarca 2 Impero austriaco 29 Spagna 7 Svezia 2 Regno Unito 21 Paesi Bassi 6 Prussia 2 Stati Sardi 21 Impero russo 6 Ducato di Modena 2 Francia 15 Isole Ionie 5 Principato di Moldavia 1 Granducato di Toscana 13 Tunisia 3 Confederazione germanica 1 Grecia 9 Stati Uniti 3 I traffici commerciali avvenivano in gran parte attraverso navi battenti bandiera borbonica e ciò in special modo per le esportazioni. I dati rilevati nel periodo 1837-1855 evidenziano, per le importazioni, un andamento irregolare della preminenza dei battelli regnicoli, mostrando un picco del 74%, nel 1839, ed una punta minima del 49,3%, nel 1849. Per le esportazioni, invece, i dati sono nettamente favorevoli alle navi meridionali, oscillando essi tra un minimo del 57,6% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo battelli napoletani, nel 1841, ed un massimo dell80,4% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo navi regnicole, nel 1845[118]. Per gli scambi con Francia ed Austria, invece, i vascelli napoletani, prevalevano sia nei commerci in entrata, sia nei commerci in uscita: in particolare, nel ventennio 1838-1858, vi fu un graduale calo che avvantaggiò ulteriormente i bastimenti del Regno: i movimenti commerciali con legni austriaci passarono rispettivamente, per importazioni e per esportazioni, dal 5,7% e 5,1% all1,9% e all1,6%; mentre le transazioni avvenute a mezzo vascelli francesi calarono dal 2,3% e 2,2% allo 0,2% e allo 0,1%[121]. Nel 1852, le navi battenti bandiera napoletana approdarono nei porti di 22 diversi stati per un totale di 192 porti[121]. Più in generale e, quindi, prescindendo dalla nazionalità delle imbarcazioni, il numero di legni che entravano vuoti (per caricare merci) o uscivano vuoti (dopo aver scaricato merci) dai porti del regno era considerevole, ad esempio, anche nel 1848, anno in cui si verificò in Europa unapprezzabile flessione dei commerci, dovuta ai moti della primavera dei popoli, vennero mantenuti, grossomodo, valori che poco si discostavano da quelli registrati lanno precedente: nei porti delle Due Sicilie, infatti, entrarono vuoti 588 vascelli per 41.006 tonnellate ed uscirono vuoti 631 legni per 38.987 tonnellate[122]. Commercio estero per abitante in alcuni stati europei e loro colonie (1858)[123] Stato Imp. + Esp. (in ducati) Commercio per abitante Regno Unito e colonie 2.004.000.000 71,18 Francia e sue colonie 1.278.960.000 35,48 Impero austriaco[124] 434.000.000 11,03 Regno di Sardegna 202.320.000 40,13 Impero Ottomano (parte europea) 192.000.000 12,39 Spagna e sue colonie 153.000.000 9,58 Regno delle Due Sicilie 60.000.000 6,52 Granducato di Toscana 57.600.000 31,70 Stato Pontificio 28.320.000 9,06 Secondo gli studi di Augusto Graziani, immediatamente prima dellUnità, il commercio estero del Regno delle Due Sicilie era, per lammontare complessivo del controvalore di importazioni ed esportazioni, il secondo tra gli stati preunitari italiani, ma, nel dato pro capite, il più basso (anche nel raffronto con gli stati coloniali e con la parte europea dellImpero Ottomano). Nel quadro italiano, le province napolitane e siciliane commerciavano, infatti, per 60.000.000 di ducati (il saldo della bilancia commerciale era generalmente attivo)[119], superando in valori assoluti lo Stato Pontificio, con 28.320.000 ducati, e la Toscana, con 57.600.000 ducati; e seguendo il Regno di Sardegna, con 202.320.000 ducati (il regno sabaudo era il maggiore acquirente di prodotti del Regno delle Due Sicilie tra gli stati italiani del tempo[125]), e, con 434.000.000 ducati, lImpero austriaco (che includeva anche il Lombardo-Veneto)[123]. Gli scambi commerciali con il Regno Unito, tra il 1816 ed il 1845, furono condizionati dal privilegio, riconosciuto alla marineria inglese, di una riduzione del 10% del dazio sulle merci trasportate da navi britanniche. Per effetto di ciò, la marina inglese, da sola, muoveva circa tre quarti di tutte le merci importate nelle Due Sicilie su navi non regnicole. Il grosso delle importazioni dalla Gran Bretagna, infatti, era rappresentato da minerali di rame, ferro, lana, velluto e pesce secco e salato, ovvero merci sulle quali gravavano forti dazi; di conseguenza, il privilegio di cui godevano le navi inglesi favoriva il ricorso a tali battelli per gli scambi commerciali tra i due stati, incluse le esportazioni; anche per queste ultime, infatti, si registrò in quel periodo il primato dei vascelli anglosassoni[126]. A partire dal 1845, con la stipula del Trattato anglo-napoletano, il privilegio britannico su dazi fu soppresso in applicazione dellarticolo 7 del trattato stesso. Labolizione della disparità di trattamento fiscale comportò un forte incremento delle esportazioni verso la Gran Bretagna, tanto che tale stato divenne, per gli anni 1849-50 e 1854-55, il primo importatore di merci dalle Due Sicilie, superando Austria e Francia. Grano, seta, semi, robbia ed oli erano i prodotti maggiormente esportati verso il regno britannico. In particolare, il porto di Gallipoli si affermò come il più importante del Regno per quel che concerneva lesportazione dellolio, principale produzione agroalimentare della provincia di Terra dOtranto[126]. Notizia dellarrivo a Odessa dei brigantini napoletani La Stella e La nuova Pietà il 26 giugno 1853 Le esportazioni verso la Francia avevano come destinazioni diversi porti transalpini e riguardavano perlopiù oli, grano, pollame, zafferano e canapa. Al fine di eludere i dazi doganali, però, molte esportazioni destinate alla Francia passavano per il porto franco di Genova. In sostanza, approfittando delle riduzioni di dazio accordate alle flotte nazionali, le merci erano trasportate con vascelli napoletani sino al porto della città ligure e, poi, prese in carico da navi francesi giungevano a Marsiglia, loro effettivo porto di arrivo. Le importazioni dalla Francia, invece, avevano come destinazione principalmente il porto di Napoli e riguardavano lavori di moda, tessuti vari, cuoi, medicinali e porcellane. Nel 1845, il governo di Napoli concesse a diverse produzioni francesi consistenti riduzioni daziarie: le importazioni dalla Francia si mantennero su valori intorno ai 5 e i 6 milioni di ducati, per, poi, aumentare nel biennio 1856-58, quando lo Stato doltralpe si attestò come principale fornitore delle Due Sicilie[127]. LImpero austriaco assorbiva in media il 20% delle esportazioni del Regno delle Due Sicilie. In particolare, lo Stato austriaco acquistava prevalentemente merci sottoposte a dazio, quali, ad esempio, gli oli. Altre produzioni destinate allImpero erano rappresentate da grani, semi e frutta secca[128]. Le esportazioni verso lAustria seguirono un andamento costante fino al 1848, anno in cui fu registrato un incremento, che non subì flessione se non nel 1853. Gli scambi tra i due stati avvenivano quasi esclusivamente a mezzo di imbarcazioni napoletane, sia per le esportazioni, sia per le importazioni. Questo aspetto è spiegabile considerando che la marina mercantile imperiale era composta perlopiù da imbarcazioni di media stazza che erano adatte per i traffici con i porti più vicini dellAdriatico. Lo Stato delle Due Sicilie importava dallAustria prevalentemente legno e lavori in cristallo e vetro; mentre attraverso il porto franco di Trieste, giungevano nelle Regno, provenienti da altri stati, prodotti coloniali[129]. Gli scambi commerciali tra le Due Sicilie e gli stati italiani incidevano in maniera sempre minore sul totale del commercio estero del Regno di Sua Maestà Siciliana. In particolare, le esportazioni, che nel periodo 1837-41 incidevano per il 20% sul totale nazionale, calarono al 15% nel periodo 1854-58. Il dato, poi, dovrebbe essere ulteriormente ridimensionato se si considera che molte merci trasportate, a mezzo di battelli napoletani, dai porti franchi di Genova, Livorno e Civitavecchia erano, in realtà, di provenienza estera e facevano scalo in quei porti esclusivamente per usufruire delle riduzioni daziarie[129]: così, ad esempio, dalla Toscana, oltre alla locale vena ferrea, venivano importati principalmente prodotti coloniali[116]. Lo Stato toscano, comunque, era lunico Stato italiano a vantare, nei confronti delle Due Sicilie, uneccedenza di esportazioni rispetto alle importazioni. Inoltre, quantunque, le navi napoletane, sia per le importazione che per le esportazioni, assorbivano la maggioranza dei traffici commerciali con gli stati italiani, il Granducato era tra essi quello che partecipava in misura maggiore con navi proprie ai traffici con lo Stato borbonico. Fino al 1858, il regno sabaudo si attestò, tra gli stati italiani del tempo, come il maggiore acquirente di prodotti del Regno delle Due Sicilie. Lo Stato Pontificio, invece, partecipava ai traffici commerciali con il Regno delle Due Sicilie, sia via terra, sia via mare, in questultimo caso, i trasferimenti avvenivano quasi esclusivamente a mezzo di legni napoletani[116]. Forze Armate e spese militari[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Esercito delle Due Sicilie e Real Marina del Regno delle Due Sicilie. Le forze armate del Regno delle Due Sicilie si suddividevano in Real Esercito ed Armata di Mare di Sua Maestà, coordinate dal Ministero della Guerra e della Marina. Il Real Esercito (ramo Guerra del ministero) nel 1860 contava circa 70.000 soldati di professione e a ferma prolungata, 20.000 soldati di leva e circa 40.000 riservisti (ultime 5 classi di leva pronte al richiamo), al comando diretto del sovrano che ricopriva il grado di Capitano Generale. LArmata di Mare (ramo Marina del ministero) invece poteva fare affidamento su circa 6.500 marinai di professione, 2.000 marinai di leva, più di 90 navi a vela e 30 navi a vapore, al comando del conte dAquila Luigi Di Borbone.[130] Gli uffici del Ministero di Guerra e Marina presentavano annualmente lo stato discusso dellesercizio finanziario successivo (ossia il bilancio di previsione), che veniva in seguito sottoposto allattenzione del re. Le spese militari negli anni cinquanta ammontarono in media a quasi 13 milioni di ducati annui, cifra corrispondente a più di un terzo degli investimenti pubblici totali annui. Tale rilevanza delle spese militari nel bilancio pubblico era sintomo non solo della grande attenzione per le forze armate dimostrata dagli ultimi governi borbonici, ma anche dellimportanza dellindotto militare nel tessuto economico del reame. Infatti, oltre ai molti stabilimenti statali per la produzione di armamenti, era necessario avere un adeguato indotto che fornisse materiali ed equipaggiamenti di vario genere alle forze armate. Le spese e la qualità dei materiali poi venivano controllate da organi preposti a questa funzione (Intendenza e Amministrazione di Esercito e Marina).[131] Cultura[modifica | modifica sorgente] Gioacchino Rossini fu uno dei musicisti più attivi nella Napoli borbonica Intestazione del Real Teatro di San Carlo di Napoli Francesco de Sanctis da giovane, insegnante alla Scuola Militare ed alla Reale Accademia Militare Il Regno delle Due Sicilie ereditava le secolari tradizioni dei regni di Napoli e Sicilia, ed il loro patrimonio culturale. Vivace era la vita culturale e artistica nelle maggiori città del reame, numerosi erano i teatri e le istituzioni culturali (in particolare i teatri avevano un ruolo di primissimo piano nella vita mondana). A Napoli era situato il Real Teatro di San Carlo, uno dei più grandi e antichi dEuropa, il cui si esibirono Vincenzo Bellini, Saverio Mercadante, Gaetano Donizetti, Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi, e le più acclamate voci dellepoca. Figura di spicco di questo ambiente fu Vincenzo Torelli, giornalista ed impresario teatrale, proprietario della rivista Omnibus, noto al tempo per il ruolo che rivestì nella gestione dei teatri napoletani e per le relazioni che intraprese con numerosi attori, compositori e musicisti. In quegli anni si impose anche la canzone napoletana, i cui brani più celebri furono Te voglio bene assaje (1839) e Santa Lucia (1849) di Teodoro Cottrau. Le bellezze del Golfo partenopeo (una delle mete principali del Grand Tour) furono di ispirazione in quegli anni a pittori napoletani, come Giacinto Gigante, e stranieri, come Pitloo, che furono tra i fondatori della scuola di Posillipo. Nella formazione artistica svolse un ruolo importante lAccademia di belle arti di Napoli. La ricchezza di testimonianze archeologiche (il cui esempio più eclatante erano gli Scavi archeologici di Pompei, riorganizzati alla fine degli anni cinquanta dal celebre archeologo Giuseppe Fiorelli) diede vita ad uno dei musei archeologici più importanti del mondo, il Museo archeologico nazionale di Napoli, allora chiamato Real Museo Borbonico. Nel regno si formarono esimi intellettuali, come umanisti del calibro di Carlo Troja e Francesco de Sanctis, e scienziati del calibro di Stanislao Cannizzaro e Ferdinando Palasciano, molti dei quali diedero un contributo fondamentale agli avvenimenti del 1848.[132] Tra le accademie più importanti si ricordano lAccademia Pontaniana, la Società Reale Borbonica, i Reali Istituti dIncoraggiamento, lAccademia Medico-chirurgica, la Regia Scuola di Veterinaria ed Agricoltura ed il Real Collegio di Musica di San Pietro a Majella. Anche lUniversità di Napoli si distingueva per i suoi meriti scientifici. Di quel periodo si ricorda Michele Tenore, direttore dellOrto botanico di Napoli ed uno dei padri della moderna sistematica botanica, il chimico Raffaele Piria, scopritore dellacido salicilico e lingegnere Luigi Giura, autore di diverse opere architettoniche, tra le più note il Ponte Real Ferdinando e il Ponte Maria Cristina. Istruzione pubblica[modifica | modifica sorgente] Manuale di Chimica scritto da Raffaele Piria, Napoli 1840 Verbale di un esame elementare (1859) Nel Regno delle Due Sicilie listruzione pubblica era strutturata su Scuole Primarie, Scuole Secondarie, Reali Collegi, Reali Licei e Regie Università degli Studi, sotto la supervisione del Ministero degli Affari Ecclesiastici e dellIstruzione Pubblica. In Sicilia la gestione dellistruzione pubblica era affidata al Luogotenente Generale per conto del Dipartimento dellInterno. Listruzione primaria, nonostante fosse disciplinata da norme minuziose varate durante il decennio francese, era erogata in maniera ineguale sul territorio, soprattutto nelle zone rurali del reame. Secondo le statistiche del periodo successivo alla Restaurazione, la Basilicata risultava la provincia con il più basso indice di scolarizzazione del regno[133], mentre la città di Napoli quella col più alto numero di scuole elementari pubbliche (circa 2 per quartiere). Un aspetto positivo riguardava lapplicazione di criteri meritocratici nel sistema scolastico, ove uninadeguata preparazione culturale e una scarsa etica professionale, che potessero compromettere il funzionamento dellistruzione pubblica, portavano alla destituzione di un determinato docente.[134] A partire dal 1850 si iniziarono ad intravedere lievi miglioramenti: il governo borbonico attuò riforme che permisero linserimento di nuovo personale in molte scuole del regno, che fino ad allora erano rimaste sotto organico.[135] I sindaci (Decurioni) dovevano provvedere (assieme agli Intendenti di Provincia ed ai vescovi) a comporre una terna di insegnati per le scuole primarie, che si cercò di collocare in tutti i comuni del reame in strutture preesistenti (soprattutto presso monasteri soppressi). Listruzione pubblica elementare era gratuita, soggetta a regolari ispezioni e condotta secondo il metodo del mutuo insegnamento (o lancasteriano), ma, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, essa era ancora riservata ai soli maschi e non aveva carattere obbligatorio. Listruzione elementare femminile gratuita invece era gestita in grandissima parte e con scarsa efficacia dalle diocesi. I bambini appartenenti alle classi sociali più agiate venivano generalmente istruiti in istituti privati, presenti in buon numero nelle principali aree urbane.[136] Degni di nota furono inoltre i due istituti pubblici per sordomuti e quello per ciechi a Napoli, i primi del genere in Italia.[137] Listruzione secondaria era posta su basi più solide. Le scuole superiori, distinte in Reali Collegi e Scuole Secondarie, erano situate nei capoluoghi di provincia e nelle città principali. Nel 1860 si potevano contare almeno un Collegio Reale per ogni capoluogo di Provincia e 58 Scuole Secondarie, queste ultime erano scuole superiori che a differenza dei Reali Collegi impartivano anche insegnamenti di tipo tecnico e professionale[138]. Anche per quanto riguarda listruzione secondaria esistevano collegi (per gran parte religiosi) ed istituti tecnici privati, principalmente in Sicilia.[24] A Napoli era situata lUniversità della capitale, la principale del regno. DallUniversità di Napoli dipendevano inoltre i Reali Licei, situati a LAquila, Chieti, Bari, Salerno, Cosenza e Catanzaro, abilitati a rilasciare i titoli di studio per esercitare le professioni liberali (principalmente mediche e giuridiche)[138]. Le università siciliane erano tre: quella di Palermo, quella di Catania e quella di Messina. In Sicilia erano presenti inoltre tre Licei Reali.[24] La nascita della questione meridionale[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Questione meridionale. Resti delle fonderie di Ferdinandea PIL pro-capite di Nord e Sud (celeste) dal 1861 al 2004 secondo Daniele-Malanima[139] Perduta lindipendenza i settori produttivi dellex reame borbonico entrarono in una profonda crisi[140]. Finché il nuovo Stato non avviò una politica di industrializzazione (1878) le ripercussioni dellannessione prima e le politiche doganali adottate poi, segnarono la fine delle non più protette imprese meridionali rispetto alla concorrenza europea ed italiana[141]. Secondo le ricostruzioni di Nitti[142] le consistenti ricchezze del regno, oltre a contribuire in modo preponderante alla formazione dellerario nazionale, furono destinate prevalentemente al risanamento delle finanze di regioni settentrionali compromesse dalla sproporzionata spesa pubblica sostenuta dal Regno di Sardegna in quegli anni, cioè allo sviluppo delle province del cosiddetto triangolo industriale[143][144]. Il debito pubblico piemontese crebbe nel decennio precedente al 1860 del 565%, producendo come effetto un aumento delle tasse (furono introdotte negli stati sardi 23 nuove imposte negli anni cinquanta dellOttocento), la vendita dei beni demaniali (come lo stabilimento siderurgico di Sampierdarena) e la necessità di contrarre grandi prestiti, rimettendo in questo modo le sorti dello Stato sabaudo nelle mani di alcuni grandi banchieri (come i Rothschild)[145]. Al contrario nello Stato borbonico, riporta Giacomo Savarese (Ministro e Consigliere di Stato nel 1848), il debito pubblico corrispondeva al 16,57% del PIL ed esistevano solo 5 tasse tramite le quali le rendite pubbliche in quegli anni aumentarono da 16 milioni a 30 milioni di ducati per effetto del crescere della ricchezza generale.[146] Stima del numero di emigranti nei periodi 1876-1900 e 1901-1915, divisi per regione di provenienza[147] La Majella, dopo lunità teatro di feroci scontri tra le truppe sabaude ed i lealisti che sulle sue cime costruirono anche fortificazioni (Blockhaus) Recenti ricerche[148] hanno evidenziato come prima dellUnità non esistessero sostanziali differenze economiche tra sud e nord in termini di prodotto pro capite e industrializzazione[92][149] e come il divario cominciò a presentarsi invece negli ultimi anni dellOttocento, allargandosi da quel momento in poi fino a creare lattuale dualismo tra centro-nord e Mezzogiorno, allorigine della cosiddetta questione meridionale messa in evidenza proprio in quel periodo da politici e studiosi del sud come Sidney Sonnino, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Francesco Saverio Nitti e Antonio Gramsci. Le difficoltà economiche e le speranze deluse del proletariato meridionale negli anni successivi allUnità dItalia furono allorigine della lotta armata che infiammò le campagne dellex regno borbonico, definita lotta al brigantaggio. La povertà portò inoltre alla formazione di un massiccio flusso migratorio, assente in epoca preunitaria[150]. Il declino economico del sud divenne percepibile anche a causa delle diverse proporzioni che assunse il flusso migratorio tra le varie parti del paese: se nel periodo 1876-1900, su un totale di 5.257.911 espatriati, la gran parte degli emigrati allestero furono abitanti delle regioni centro-settentrionali (il 70,8% partì dal centro-nord e il 29,2% dal centro-sud)[151], in quello 1900-1915, su un totale di 8.769.785 esuli, la tendenza si invertì ed il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con una riduzione degli emigrati settentrionali e una crescita di quelli dal Mezzogiorno (il 52,7% partì dal centro-nord e il 47,3% dal centro-sud)[151]: in particolare, su meno di nove milioni di emigrati, quasi tre milioni provenivano da Campania, Calabria e Sicilia[147]. Giustino Fortunato Carlo Cafiero Lo stesso Giustino Fortunato, benché avesse posizioni molto critiche nei confronti delle politiche borboniche e fosse un fervido fautore dellunità nazionale, sostenne che il danno maggiore inflitto alleconomia del Mezzogiorno dopo lunità dItalia fu causato dalla politica protezionistica adottata dallo Stato italiano nel 1877 e nel 1887, che a sua detta determinò il fatale sagrifizio deglinteressi del sud e lesclusivo patrocinio di quelli del nord, in quanto cristallizzò il monopolio economico del nord sul mercato italiano[152]. A supporto di questa tesi ci sono gli studi condotti dallo storico dellagricoltura italiana Emilio Sereni, il quale individuava lorigine dellattuale questione meridionale nel contrasto economico tra nord e sud che si venne a creare in seguito allunificazione dei mercati italiani negli anni immediatamente successivi alla conquista militare del reame, affermando che: Il Mezzogiorno diviene, per il nuovo Regno dItalia, uno di quei Nebenlander (territori dipendenti), di cui Marx parla a proposito dellIrlanda nei confronti dellInghilterra, dove lo sviluppo capitalistico industriale viene bruscamente stroncato a profitto del paese dominante[153]. Gradualmente le manifatture e le fabbriche del Mezzogiorno decaddero: lindustria locale cedette sotto i colpi combinati dellindustria forestiera e soprattutto di quella settentrionale, che grazie a politiche protezionistiche venne messa dai governi del tempo nelle condizioni ottimali per poter conquistare il monopolio del mercato nazionale[154]. Il sud quindi fu avviato ad un processo di agrarizzazione, e la massa di lavoro che gli operai e le popolazioni contadine impiegavano in altri tempi nelle lavorazioni connesse allindustria restò inutilizzata, provocando un marasma non solo industriale ma anche agrario. Se nelle campagne il malcontento delle masse contadine prendeva la via della rivendicazione legittimista, nei centri industriali del vecchio reame si verificò in quegli anni la nascita di nuclei socialisti ed anarchici (è da ricordare che le prime sezioni italiane ad aderire allInternazionale nacquero a Napoli e a Castellammare pochi mesi dopo la nascita dellorganizzazione a Londra[155]) a cui aderirono operai e giovani intellettuali di estrazione borghese (come Carlo Cafiero, Emilio Covelli, Francesco Saverio Merlino, Errico Malatesta ed Antonio Labriola).[156] Questo processo avvenne gradualmente nei primi decenni di vita del Regno dItalia, e già nel 1880 lindustria italiana era ormai per gran parte concentrata nel triangolo industriale. La questione meridionale emerse durante il processo di formazione e di assestamento del mercato nazionale. Essa, con i suoi vizi dorigine, acquistò unacutezza sempre maggiore nel corso dello sviluppo capitalistico delleconomia italiana, complicandosi a mano a mano di nuovi fattori sociali e politici.[1
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 20:30:23 +0000

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