Predica 21. Domenica dopo Trinitatis 20 ottobre 2013 – Pastore - TopicsExpress



          

Predica 21. Domenica dopo Trinitatis 20 ottobre 2013 – Pastore Dr. Jens-Martin Kruse Comunità Evangelica Luterana di Roma XXI Domenica dopo Trinitatis, 20 ottobre 2013 Predica: Giovanni 15, 9-12(13-17) e leggenda di S. Uberto Pastore Dr. Jens-Martin Kruse 9 Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. 10 Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. 13 Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici. 14 Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. 15 Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. 16 Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. I Le leggende dei santi, cara Comunità, sono espressione di arte della narrazione. Può darsi che il loro valore sia basso, come fonti storiche. Ma per la fede possiedono rilevanza se l’evento trasmesso stimola a riflettere sulla verità della fede. Così accade nel caso della leggenda di S. Uberto, che la cristianità festeggia il 3 novembre e in cui onore abbiamo oggi al culto l’ensemble di corni da caccia Schleswig-Holstein, che gli conferirà un aspetto musicale speciale. Uberto era un missionario che, nel VII sec., annunciava il Vangelo di Gesù Cristo nei villaggi delle Ardenne. Dev’essere stato molto convincente, perché quando il suo amico Lamberto, Vescovo di Maastricht, fu assassinato nel 705, Uberto fu eletto a succedergli. Spostò la sede episcopale a Liegi, dove fece costruire una cattedrale per le reliquie dell’assassinato Lamberto. Nel 727, Uberto morì e fu sepolto nell’abbazia di Andage. 1) Una leggena racconta su di lui quanto segue. Un Venerdì Santo, quando Uberto stava uscendo a caccia col suo seguito, sua moglie lo mise in guardia e lo supplicò di non sconsacrare il giorno grave della morte del Signore. Egli sembrò toccato dal monito amorevole della sua pia moglie, ma alla fine vinse la voglia di andare a caccia. Col suo seguito numeroso, s’inoltrò nel bosco, inseguendo per campi e valli un cervo superbo. La leggenda continua. Ma interrompo per un momento la narrazione. Perché il comportamento di Uberto apre le porte all’interpretazione. Come Paolo, che era a caccia dei primi cristiani (Atti 9,1ff), anche Uberto è irrefrenabile nella sua febbre venatoria. Nonostante tutti i moniti, parte. La caccia è, per lui, più importante del meditare sulla e del confrontarsi colla morte di Gesù. Una caccia in cui, al centro, ci sono solo l’ego e l’appagamento della voglia del cacciatore, è una caccia senza rispetto. In cui l’essere umano vuole prendersi quel che vuole, quel che gli spetta. Questo genere di caccia non arreca mai quiete o pace dell’anima. Invece, diventa espressione dell’avidità umana. Anche oggi esiste questo genere di caccia: per esempio, quando si caccia per motivi esclusivamente commerciali, per ottenere zanne d’avorio o pelli di foca. O quando, negli allevamenti intensivi, il massimo numero di animali viene tenuto nello spazio minimo possibile. Anche in altri ambiti è così che, dove l’essere umano pone tutto sotto le proprie esigenze e i propri interessi, presto il diavolo si scatena. Lo abbiamo visto di recente: una finanza guidata dall’avidità può far vacillare interi stati e mettere a repentaglio l’esistenza di molte persone. Una tale caccia a ottenere sempre di più distrugge la cultura di una società umana e il creato come nostro spazio vitale. 2) In un’altra versione della leggenda, Uberto va a caccia e si getta in ogni genere di piacere mondano, come reazione alla morte della moglie, avvenuta durante il parto. Anche questo è, presso non poche persone, un motivo: l’andare a caccia della vita piena. Si cerca di dimenticare e ottundere il proprio dolore, la propria solitudine, il proprio fallimento. Il “non-poter.-resistere”, rispetto a una situazione dolorosa, spinge le persone non a porsi la verità della loro vita, ma a sfuggirla: mediante la fuga nei piaceri, nella droga, nel consumo, in mondi esperienziali sempre nuovi. Soltanto che anche questo genere di caccia non conduce alla pace, ma rovina la salute e la vita. II La svolta decisiva, nella vita di Uberto, arriva dall’esterno. La leggenda narra: Quando fu vicino al cervo ed era lì per scoccare la freccia, questo, all’improvviso si fermò, si voltò verso il cacciatore e in mezzo alle corna comparve una croce radiosa, luminosa e una voce disse: “Uberto, perché mi perseguiti?” Uberto tremò, gettò l’arco via da sé e, tra sé, implorò Dio di avere misericordia di lui. In quel luogo edificò la sua capanna di tronchi d’albero e canne, appartato dal mondo, nella quiete solitaria del bosco, conducendo una vita di penitenza. Uberto, dopo quest’incontro degno di considerazione, ritrova se stesso nella solitudine del bosco, come conseguenza scaturita dall’incontro colla Croce tra le corna del cervo. Guardandola, Uberto, all’improvviso, non vede solo l’animale, ma vede Gesù Cristo. In cerca della vita vera, gli entra nel campo visivo colui che, di sé, dice: “Io sono la via, la verità e la vita.” (Gv 14, 6). Quale che sia il contenuto della leggenda (il parallelo coll’esperienza dell’apostolo Paolo è evidente), essa fa notare tratti essenziali, decisivi per la nostra fede. 1) In primo luogo, nella vita ci sono sempre momenti in cui Dio mi si mette sul cammino e mi sfida a prendere conoscenza di lui e a dare forma alla mia vita nella responsabilità davanti a lui. Magari, non si tratta proprio della croce tra le corna di un cervo. Ma Dio si mostra. Come? Gesù ci ha aperto gli occhi a questo, dicendo: “… ebbi fame e mi deste da mangiare; … fui straniero e mi accoglieste; … fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi. … in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25,35-36.40). 2) In secondo luogo, si aggiunge che Gesù ha guardato a gente come Paolo e Uberto e come noi: distratta, non interpellabile per Dio, irremovibile, padrona di sé. Discepolato e sequela non si fondano né nella determinazione né nella dignità pubblica né nell’utilità di noi esseri umani. “Sono venuto a chiamare i peccatori, non i giusti” (Mt 9,13): così Gesù descrive la sua missione. L’amore, che ci viene donato in Cristo, non è meritato, non è cercato da noi; non è un amore acceso alla nosta amabilità; ma è un amore che ama, dove, in effetti, non c’è niente da amare. Gesù dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e deciso che andiate e portiat frutto e il vostro frutto resta” (Gv 15,16). Non veniamo scelti e accettati da Gesù così come siamo, ma benché siamo così come siamo. Ma, al tempo stesso, tale essere scelti e accettati significa che Gesù non ci lascia così come siamo, ma che ci trasforma mediante il suo amore. 3) E questo, infine, vuol dire che, lì dove il Risorto si mette sul cammino; dove entra nel mio “campo visivo”; lì la mia vita cambia dalle fondamenta. Perché l’incontro con Gesù toglie le persone dalla strada senza salvezza, che conduce solo nell’abisso e nella distruzione, e le pone in mezzo al grande movimento d’amore e salvezza di Dio, movimento che serve alla vita. Saulo, il persecutore di cristiani, per mezzo dell’incontro davanti a Damasco diventa Paolo, l’annunciatore di Cristo. Francesco il giovanotto viziato e ricco diventa uno che bacia i lebbrosi e che vive in modo coerente, nella povertà, il Vangelo. III “Restate nel mio amore!” (Gv 15, 9): questa è l’eredità che Gesù dà ai suoi discepoli, al termine del suo cammino terreno. In ciò, è importante che tale incitamento non è un appello, ma una promessa. Vale a dire, la promessa che l’amore di Gesù sarà conservato ai suoi discepoli, anche se il suo cammino conduce alla morte in croce. L’amore che non si separerà mai dai discepoli è quelle con cui ama Gesù. Restare nell’amore, quindi, significa restare nell’essere amati. Gesù chiarisce questo concetto con l’immagine della vite e dei tralci. Dice: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla.“ (Gv 15, 5). È un ragionamento che si segue bene: vite e tralci sono parti integranti, come radici e crescita, albero e frutto. È un’unità vivente. Solo così ha senso. Ma che cosa ne è di un tralcio staccato dalla vite? Si secca e viene gettato tra la legna per il fuoco. Senza legame col tronco, diventa privo di succo e di forza. La corrente vitale è legata alle fondamenta delle radici, al luogo saldo in cui si trovano. Proprio così si comportano la nostra fede e la vita. Il restare nell’amore è la premessa per portare frutto. L’amore di Gesù è come uno spazio in cui si entra e in cui si può dimorare. E l’amore è come una fonte cui si è legati, come i tralci dipendono dalla vite e ricevono da essa forza. La leggenda di S. Uberto ci mette questo davanti agli occhi. Senza il rapporto con Gesù Cristo, è uno mosso dai propri bisogni e si comporta come se fosse il Signore rumoroso di tutte le creature. Quando Cristo lo incontra nel segno della Croce, la sua vita cambia dalle fondamenta. S’inginocchia e fa silenzio. La sua ricerca, la sua aspirazione alla vita vera sono placate. Quel che ancora era importante, per lui, diventa all’improvviso qualcosa di collaterale. In cambio, ottiene lo sguardo libero per vedere quel che è imporante davvero. Da quel momento in poi, non è più uno che viene cacciato, ma è uno che viene condotto da Dio, uno che si fa guidare, nel proprio agire, da lui e dal suo amore. Senza Cristo, anche noi, come Uberto, restiamo sospesi in aria con tutti i nostri sforzi. Cacciamo inseguendo i fantasmi del nostro cervello. La nostra fede è priva di succo e la nosta azione è priva di forza. Crescita nella fede, nella speranza e nell’amore può esserci se restiamo in Cristo. Chi non è “in”, è “out”. Ma questo, cara Comunità, non può volerlo davvero nessuno. Perciò, nella vita del cristiano, non può esserci niente di più importante che confidare nella promessa di Gesù: “Restate nel mio amore!” Amen. Lettura > I Lettura: Efesini 6, 10-17 10 Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. 11 Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate star saldi contro le insidie del diavolo; 12 il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. 13 Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. 14 State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; 15 mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; 16 prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. 17 Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. II Lettura: Matteo 5, 38-48 38 «Voi avete udito che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. 39 Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; 40 e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. 41 Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera un prestito da te, non voltar le spalle. 43 Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico”. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? 47 E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? 48 Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste.
Posted on: Mon, 21 Oct 2013 15:03:37 +0000

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