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Pubblicato in "Bota Sot" Sergio Paolo Foresta lettera ad Anton Nike Berisha Caro Anton, tra un letto e un altro d’ospedale mi sono accompagnato al tuo La sete pietrificata. Avevo già avuto modo di una qualche anticipazione nella prima fase di traduzione poi sospesa. Devo dire che quest’ultima di Albana Alia l’ho trovata molto buona. Perciò mi congratulo con te per la scelta e con lei per il lavoro svolto. Ho seguito il viaggio di Gjin Bardhela nei suoi oscuri timori. Nell’ansia di ricerca del punto agognato e poi perduto. Fino al centro degli affetti e delle persone che ci furono cari per esserci appartenuti in qualche modo e che ritornano sotto forma di memoria, rimanendo a far parte del nostro essere, specialmente nei momenti particolarmente struggenti della nostra esistenza. È un cammino letterariamente di volta in volta omerico, virgiliano, dantesco, puskiniano, alla Edgar Lee Masters. È insomma il tentativo del recupero di lacerti di vita anche di coloro che ci hanno preceduto, degli avi, degli ascendenti, e pure delle nostre stesse vite attraverso loro. È la ricerca dei passi verso la terra promessa, dove ci sono i sogni, gli amori, gli ideali che ci hanno aiutato a crescere. Bene? Male? Oppure siamo rimasti invischiati nel “camusano” mito di Sisifo? Inchiodati ad una sorta di supplizio di Tantalo? O alla fine abbiamo ottenuto quel che desideravamo? Forse no, o magari troppo tardi, per quanto siamo stati inquieti. (Non a caso l’epigrafe di Lessing...) Quando dovremo partire abbandonando tutto, saremo, come scrivi, la quercia troncata; non saremo più custodi del tempio, guardiani della casa. Perfino il custode protettore più vigile ed attento, più nobile e glorioso, diventa infine un “pugno d’uomo” e finisce nella profondità della terra. La verità è che ci illudiamo che questo ruolo di custode e di guardiano ci sia stato assegnato per sempre e perciò difettiamo di quella fede salda che invece dovrebbe farci intendere che questa che viviamo quaggiù non è la vita vera. E per quale ragione tendiamo a credere che infine questa sia l’unica vera vita? Soltanto perché è la sola che fin qui conosciamo! Tu lo scrivi: noi non apparteniamo solamente a noi stessi, neppure quando siamo piantati al centro di questo palcoscenico terreno. Ed è altrettanto vero che il silenzio è il primo passo verso la morte. Scrivi anche che il potere creò le colpe e i colpevoli! Parafrasando: l’essere nati, e l’aver poi incontrato questa vita come unica possibile che ci sia stata data, ha generato colpe e colpevoli. Concordo: per noi scrittori è massima verità: quando la scrittura diventa necessaria, vizio principale e piacere immenso, solo la morte potrà metterle fine. Sì, Anton, niente di nuovo sotto il sole. Abbiamo vissuto inquieti. Cerchiamo almeno di morire sereni. Ti abbraccio con amicizia fraterna, Sergio. Catanzaro, 28 maggio 2013
Posted on: Thu, 26 Sep 2013 16:24:53 +0000

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