Quanto contano l’ambiente e il job design Stili di leadership, - TopicsExpress



          

Quanto contano l’ambiente e il job design Stili di leadership, forme di organizzazione e modalità di lavoro, oltre ad ambienti favorevoli al benessere delle persone. Tutto questo impatta sulla performance di aziende e lavoratori di Gabriele Gabrielli 06 NOVEMBRE 2013 LImpresa Sempre più frequentemente usiamo e ascoltiamo la parola benessere . Ne discutiamo in famiglia, nella società civile, nelle imprese e nel lavoro. Viene evocata in discussioni pubbliche e dibattiti televisivi, è oggetto di inchieste e servizi giornalistici. Anche in politica si usa molto; la troviamo richiamata nei programmi di governo, al centro e sul territorio. Dietro quest’uso intenso si cela la volontà d’individui, comunità e leadership a ricercarne i presupposti e le condizioni per un suo esteso sviluppo a tutti i livelli: personale, organizzativo, sociale. Le dimensioni del benessere, infatti, sono molte. A livello teorico disponiamo di molteplici definizioni a seconda della prospettiva di analisi scelta. Per semplificare e privilegiando la prospettiva dell’agire organizzativo, possiamo dire che la ricerca del benessere ha a che fare con la costruzione di un ambiente produttivo e con la progettazione del lavoro che siano rispettosi della qualità della vita, perché indirizzati ad assicurare benessere fisico, psicologico e sociale della persona e dei gruppi sociali. La sua natura multidimensionale appare così con tutta evidenza perché capace di includere la sicurezza e la salute, la qualità delle relazioni personali, il clima di una comunità, per richiamarne soltanto alcune. Le organizzazioni rappresentano dunque un campo di grande rilievo per sviluppare benessere. È qui che si pensa, si disegna e si struttura l’insieme delle modalità attraverso cui prende forma quella particolare collaborazione che chiamiamo lavoro. Cosa significa fare management Leader e capi di un’impresa infatti – secondo la prospettiva economica e manageriale – sono responsabili del raggiungimento di obiettivi organizzativi; a tal fine combinano e ri-combinano in modo efficiente ed etico (Kreitner, Kinicki, 2004) le risorse di cui dispongono: fra queste ci sono anche le capacità, le competenze, la motivazione, l’impegno e l’intelligenza emotiva delle persone. Fare management significa organizzarne il loro apporto, progettandone le modalità di espressione, i contenuti del lavoro, le relazioni e le finalità. Fare management significa anche rispondere delle conseguenze in termini di performance. Si tratta di un campo molto vasto al cui interno viene tessuto quel manufatto complesso, variopinto e unico, che è la “convivenza organizzativa”. Francesco Avallone (2003) la definisce come “quel particolare vivere insieme che realizziamo nei luoghi di lavoro dove non solo spendiamo buona parte del nostro tempo di vita, ma investiamo molte energie, emozioni e speranze”. Con il tempo, e grazie agli studi condotti a partire dalla metà del secolo scorso, si è acquisita maggiore consapevolezza dell’importanza di numerosi fattori che agevolano od ostacolano la creazione di benessere organizzativo. Alla sua formazione nel tempo, infatti, concorrono diverse variabili le cui relazioni non appaiono univoche. I riflessi economici del benessere La progressiva attenzione riposta nei fattori soft dell’organizzazione, che ha rotto il monopolio culturale e operativo delle variabili hard assicurato per decenni dalle teorie dell’organizzazione scientifica del lavoro e del c.d. fordismo, ha contribuito a chiarire che la ricerca del benessere è un bene per le organizzazioni anche in chiave economica. Il benessere organizzativo, in altre parole, porta frutto alla bottom line . Insomma, c’è differenza – anche sotto questo profilo – tra imprese che hanno e producono un diverso benessere organizzativo. Ci sono studi che evidenziano ricadute significative per le imprese a livello di risultati economici, della reputazione che possono avere nei mercati finanziari e in quelli delle risorse umane, ma anche sul piano delle preferenze di acquisto dei clienti che sono influenzate dalla percezione di avere di fronte un’impresa attenta al benessere. Per questo le imprese private, le organizzazioni no profit, le istituzioni e le organizzazioni pubbliche sono interessate a conoscere cosa si pensa di loro e se producono benessere per se stesse e per le persone che vi lavorano. Significativa, in tal senso, è la testimonianza rappresentata – nel settore pubblico – dall’impegno del Consiglio nazionale delle ricerche che ha promosso l’ Indagine sul benessere organizzativo nel Cnr . Quest’iniziativa viene definita “un progetto di ricerca-azione” che trova spiegazione – si legge nell’introduzione del rapporto – in una consapevolezza: “Il miglioramento delle performance di un’organizzazione, sia essa profit o di natura pubblica non può prescindere da una attenta gestione e motivazione del suo personale”. Gli strumenti contro il malessere D’altro canto, oggi disponiamo di numerosi strumenti di analisi capaci di indagare le diverse componenti che possono concorrere a determinare il concetto multiforme di benessere organizzativo, come per esempio il clima, la fiducia, il commitment e l’engagement delle persone. Da ultimo, come noto – e non certo per importanza – si è aggiunta anche l’attenzione allo stress lavoro correlato . Un fenomeno preoccupante di malessere che nasce in ambito lavorativo, la cui frequenza è associata alle “crescenti pressioni che un contesto organizzativo ipercompetitivo, instabile e frammentato pone sulle spalle dei lavoratori” (Sammarra, Profili, 2012). I progressi della ricerca sociale – insieme alla lettura dei tratti evolutivi che caratterizzano la nostra epoca riguardo ai modelli culturali e alle aspettative delle persone, allo sviluppo della tecnologia, ai modelli di business e dell’economia – sottolineano con forza che occorre ridisegnare l’impegno di leader e manager in questa direzione e a più livelli. A cominciare dalla previsione di un rafforzamento degli investimenti culturali e formativi, finanziari ed economici per accrescere consapevolezza sul punto. Le imprese che perseguono obiettivi di benessere organizzativo – nella prospettiva tradizionale della responsabilità sociale – guadagnano due volte. Comportandosi eticamente nella gestione degli affari, infatti, ossia rispettando le prerogative delle persone e più in generale della comunità, traggono anche un vantaggio economico. Alla ricerca di un modello alternativo Si potrebbe andare oltre però – osserva l’economista Bernardo Bortolotti – e uscire da questa logica strumentale ricercando un modello alternativo “in cui il comportamento sociale delle imprese […] si basa sulla convinzione che vi sono limiti morali all’attività economica. Doing good for doing good , quindi”. C’è un’altra leva molto importante che può essere utilizzata in questa direzione, quella della progettazione dell’organizzazione del lavoro. Forse l’abbiamo un po’ trascurata o utilizzata prevalentemente nella prospettiva dell’efficienza. Oggi però, grazie anche ai progressi degli studi sociali e alle ricerche sul campo, ne riscopriamo la sua significativa valenza. Forme di organizzazione del lavoro attente alla persona, alle sue attitudini e vocazioni, esigenze e preferenze, alla motivazione intrinseca – infatti – possono dare un contributo decisivo al benessere. Insieme agli stili di leadership e alle modalità di lavoro: coinvolgimento, condivisione, lavoro di gruppo e cooperazione, infatti, hanno una voce in capitolo molto significativa. Senza dimenticare, nel campo del job design, la rilevanza che ha l’ambiente. Del resto anche qui ci sono ricerche (Politecnico Milano, 2013) che evidenziano come siano numerose le imprese che stanno riprogettando interi edifici per creare “ambienti maggiormente aperti, flessibili e orientati alla collaborazione e al benessere delle persone…”.
Posted on: Thu, 07 Nov 2013 22:03:48 +0000

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