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RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 1 Giuseppe Panella N. 17 RIFRAZIONI DEL SUBLIME. DALL’ ORRORE AL GROTTESCO (C) 2009 Giuseppe Panella RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 2 RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 3 « Sublime . Termine designante un tipo di esperienza estetica – fatta oggetto di ampia discussione – che è distinta da quella di bello. Nell’estetica co ntemporanea ogni riferimento al sublime è da tempo caduto in disuso. Già Benedetto Croce negava a ques to concetto una genuina valenza estetica, ravvisando in esso un esclusivo riferimento morale; ma neppure in questa sede la filosofia del nostro secolo ha ritenuto opportuno riservare al su blime sviluppi concettuali nuovi o fecondi» (Enciclopedia Garzanti di Filosofia) « Rifrazione. Deviazione dei raggi luminosi, rispetto alla direz ione originaria, che si verifica sulla superficie di separazione di due mezzi otticamente diversi quando i raggi passano dal primo al secondo mezzo» (Enciclopedi a Europea Garzanti) RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 4 1. Sul crinale dell’ombra: considerazioni inattuali L’esercizio della ricerca può insegnarci a evitare equivoci, non a fare scoperte fondamentali. Ci rivela le nostre impossibilità, i nostri limiti sev eri. Questa mia possibile ricostruzione teorica con variazioni sul tema del sublime può essere attribui ta ad un genere: la storia concettuale di figure (o momenti) dell’esperienza estetica e letteraria. Si tratta di un tentativo che ha bisogno di un terreno assai fertile di coltura per avere qualche possibil ità di successo dato che l’espressione prima utilizzata può essere considerata quasi un ossimoro : il concetto si forma attraverso astrazioni, la letteratura (la poesia, soprattutto) mediante le su e immagini, i suoi sogni, i suoi miti fondativi. La ricerca prova a convogliare e a far confluire, i n un unico alveo, diversi e maestosi fiumi. Il maestro di questo genere filosofico-letterario è st ato, in anni ancora non troppo lontani, Eugenio Garin. In quello saggistico, non temo di fare i nom i di Jorge Luis Borges, Paul Valéry e Miguel de Unamuno. Modelli forse irraggiungibili, naturalment e, ma pur sempre modelli di un tentativo di portare i concetti e la vita fino a un limite estre mo di tensione. Le pagine che seguiranno tentano di percorrere una via intermedia che non è ancora la “ via regia” della filosofia ma non vuole neppure rivolgersi soltanto al puro sensazionalismo della s crittura, al vuoto ricercare a vuoto l’effetto dell a parola bella perché vuota di senso e non riempibile se non di effimere alchimie verbali... «Se mi passo la mano sulla fronte, / se accarezzo l e costole dei libri, / se riconosco il Libro delle Notti, / se forzo l’ostinata serratura, / se mi sof fermo sulla soglia incerta, / se il dolore incredib ile mi annienta, / se ricordo la Macchina del Tempo, / se ricordo l’unicorno sull’arazzo, / se mi rigiro mentre sto dormendo, / se la memoria mi riporta un verso, / ripeto ciò che ho fatto innumerevoli / volte nell’assegnato mio cammino. / Io non posso es eguire un gesto nuovo, / tesso e ritesso la scontata favola, / ripeto un ripetuto endecasillabo , / dico quello che già altri mi dissero, / sento l e stesse cose nella stessa / ora del giorno o dell’as tratta notte. / In ogni notte si ripete l’incubo, / ogni notte il rigore del labirinto. / Sono la fatica di uno specchio immobile / o la polvere di un museo. / Solo una cosa non gustata attendo, / un regalo, un oro dentro l’ombra, quella vergine morte. (Lo spagnolo / permette la metafora) » Sono versi di Borges 1 e, se i primi endecasillabi mi appartengono come m etafora proiettiva, non credo, invece, nell’infeconda inutilità degli ultim i. Qualcosa, alla fine, resta sempre di ciò che con ta. Il proposito che mi ha spinto nell’elaborazione di questo testo ulteriore sul Sublime è stato quello d i rendere mobile, dinamico e luccicante ancora un con cetto che rischiava di riflettere soltanto la morta gora dell’erudizione e della curiosità scolas tica da Wunderkammer o di arrugginire sotto il peso di possibili interpretazioni troppo brillanti esibite per rendere ragione dell’opacità dello sfor zo concettuale. Se “ogni notte il rigore del labirinto ” riconduce il testo mutilo e segreto di Longino ai suoi epigoni più o meno grandi e innovativi, se, ci oè, la vicenda del Sublime si rinnova ogni volta che di esso artisti, critici letterari e cultori di estetica dimostrano di avere necessità e desiderio , doverlo dichiarare è diventato oggi indispensabile, snidandolo dove esso si nasconde o è fin troppo palese perché chi lo cerca sia poi in grado di ritr ovarlo (come è accaduto per la grande esperienza della scrittura novecentesca – da James Joyce a Tho mas Mann, da Gottfried Benn a Ezra Pound giù giù fino a Wallace Stevens, tutti autori in cui il Sublime conosce un più o meno effimero trionfo). Per questo motivo, la struttura di questo saggio po trà sembrare in alcuni momenti oscillante, sfocata, invece, in altri punti di riflessione, com e avviene quando si proietta la copia di certi vecc hi film, ma risulterà pur sempre saldamente incastonat a nella dura intelaiatura di un progetto di ricerca : il Sublime appartiene, infatti, alla dimensione p rofonda e non rimuovibile della conoscenza del rapporto tra soggetto e oggetto ed ogni tentati vo di liberarsene, sciogliendolo dialetticamente 1 J. L. BORGES, “Ecclesiaste, 1-9” in La cifra , trad. it. a cura di D. Porzio, Milano, Mondadori, 1988 2 , pp. 35-37. RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 5 come ha provato inutilmente lo Hegel dell’ Estetica 2 ) è destinato, invece, al fallimento del suo tornare, indenne, a funzionare comunque. Anche per una ragione ben precisa. Ogni esistenza in via di compimento, così come ogni progetto letterario e ogni tentativo di raggiungere il livello del “grande stile” (come vol eva Nietzsche) presuppone un momento di sospensione e di tregua. «Soltanto i giovani hanno tali momenti. Non parlo d ei giovanissimi. No. I giovanissimi, a dire il vero, non hanno momenti. E’ privilegio della prima giovinezza vivere oltre il presente, nella bella ininterrotta speranza che non conosce pause o intro spezione. Ci si chiude alle spalle il cancelletto della pura fanciullezza e si entra in un giardino i ncantato. Persino le sue ombre brillano di speranza , ogni svolta del sentiero ha le sue seduzioni. E non perché si tratti di un paese inesplorato. Si sa be ne che tutta l’umanità ha percorso quella strada. E’ i l fascino dell’esperienza universale, dalla quale c i si aspetta una sensazione personale o straordinaria – un po’ di noi stessi. Riconoscendo le orme dei predecessori si va avanti, eccitati, divertiti, fac endo tutt’uno della cattiva e della buona sorte – d el buono e del cattivo tempo, come si dice – la pittor esca sorte comune che serba tante possibilità per chi ha qualità o, forse, fortuna. Già si va avanti. Anche il tempo va avanti, finché si scorge innan zi a noi una linea d’ombra che ci avverte che la regio ne della prima gioventù, anch’essa, la dobbiamo lasciare indietro. Questo è il periodo della vita i n cui possono venire i momenti di cui ho parlato...» 3 . Una stasi, dunque, che non sia puro attendere, un i ndugio che non sia un mero trattenersi, un meditare che non risulti il puro impedirsi di cresc ere e di andare successivamente più avanti. Le secche tranquille dell’esistenza presuppongono s empre che la nave possa arenarsi da un momento all’altro; l’attesa senza tempo di ciò che sta per arrivare e che non si conosce ancora anche se, forse, non lo si vuole neppure portare al la luce, indica soltanto che qualcosa sta per accadere. Sarà il momento giusto, dopo aver tremato per l’angoscia di aver preso la decisione sbagliata; sarà il momento adatto per capire quali leve vadano mosse e quali non possono essere azionate ancora proficuamente. Ogni esistenza compo rta una serie di ricerche minuziose (lo stesso avviene di solito anche nella pratica teorica della letteratura e della filosofia): la prima di esse – che è fondamentale ma, in fondo, del tutto inutile – è offerta dalla sicura volontà di sopravvivere; nonostante l’orrore che esso comporta, si tratta pu r sempre dell’atto più puro che ogni uomo possa compiere senza vergognarsene. In esso, ciò che è or ribile è legato inseparabilmente al Sublime (e, infatti, in questo caso, essere diventa simile a resistere). La seconda – l’antica beffa giocata d a Platone all’Occidente – è la caccia alla propria im magine riflessa in un altro specchio, la sanzione definitiva del proprio essere autentico in una dive rsa esistenza: la richiesta di ricostituire l’unità spezzata dell’androgino, la prova di non risultare sempre uguali a se stessi. 2 Come scrive lo stesso Hegel: “La prima purificazi one radicale e la prima esplicita separazione fra c iò che è in sé e per sé e la presenza sensibile, cioè la singolarità emp irica dell’esterno, va cercata nella sublimità , che innalza l’assoluto oltre ogni esistenza immediata, realizzando così la liberazione dapprima astratta, che è nondimeno la base dello spirituale. Infatti il significato così sublimato n on è ancora concepito come spiritualità concreta, m a tuttavia è considerato come l’interno in sé essente e poggiant e, incapace per sua natura di trovare la sua vera e spressone in fenomeni finiti. Kant ha fatto una distinzione molt o interessante fra belle e sublime, e quel che egli ha detto nella prima parte della Critica del giudizio (§§ 20 sgg.) conserva sempre il suo interesse, non ostante ogni prolissità e la riduzione, posta a base, di tutte le determinazioni al soggett ivo, alle facoltà dell’animo, l’immaginazione, la r agione ecc. Questa riduzione deve essere ritenuta esatta nel suo princ ipio generale in rapporto a quel lato per cui la sublimità, come dice Kant, è contenuta non nelle cose della natura ma so lo nel nostro animo, inquantoché noi siamo coscient i della nostra superiorità sulla natura in noi e quindi anche fuor i di noi. [...] Il sublime in generale è il tentativo di esprimere l’infinito senza trovare nel regno dei fenomeni un oggetto che si mostri adeguato a questa rappresentazione. L’in finito, proprio perché è per sé posto fuori dell’intero complesso d ell’oggettività e interiorizzato come significato v isibile e privo di forma, rimane inesprimibile nella sua infinità e su periore ad ogni espressione per mezzo del finito“ ( G. W. F. HEGEL, Estetica , ed. it. a cura di N. Merker, trad. it. di N. Vac caro e N. Merker, Torino, Einaudi, 1993 11 , pp. 409-410). 3 J. CONRAD, La linea d’ombra , trad. it. di F. Arcangeli e G. Festi, Milano, Bo mpiani, 1980 2 , p. 11. RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 6 La terza indagine indispensabile è quella rivolta a lla definizione del proprio destino (ricerca che unifica le precedenti, senza però fonderle: si può volere l’Altro ma non ritrovare se stessi). A questo stadio si accede attraverso una scelta che è il segno di una maturità conseguita autenticamente: attraversare il mare d’ombra del no n-pensato è ciò che permette, poi, di passare indenni attraverso il deserto di ghiaccio del conce tto del proprio esistere. Nel momento di passaggio, allora, avviene sempre, tuttavia, che si indugi, per paura o per eccessiva precipitazione – quella rapidità nell’esecuzione che paralizza il pe nsiero. Come nel romanzo di Conrad citato sopra in cui le v ele della nave rimangono perfettamente immobili, così nella vita sembra che più nulla poss a accadere ancora. Calma estiva e bonaccia sono simboli di uno stesso malessere – di un indugiare che, paradossalmente, conduce alle stesse scelte di semp re. Gli errori più vecchi si mescolano ai nuovi e vengo no tenuti insieme raccolti dal collante dell’oblio. Mai come quando si attraversa la linea d’ombra si i mpara quanto l’oblio sia potente e la memoria ottusa. Solo allora, la sostanza del proprio destin o (intellettualmente avviluppato com’è a quello generale della specie) si sovrappone allo sforzo di dimenticarsene e lo sconfigge. Il Sublime è la linea d’ombra della teoria estetica – come quella che attende ciascun marinaio all’Equatore, essa attende pazientemente che le teo rie del Bello incappino in qualche punto debole, in una falla, in una dimentica beanza di sé. Solo a llora scatta la scelta del “nobile sentire”, del sentimento del dolore che risana, del terrore che a ppaga e dà piacere, dell’immaginazione che ricrea, senza averlo mai ri-conosciuto, un mondo co mpletamente diverso che si riflette nello spirito creativo e lo rincorre. 2. Il Sublime, l’Orrore, l’ Incommensurabile: le categ orie della prossimità tragica del mondo Il Sublime artistico, nel modo in cui sembra fin da l principio caratterizzare la Modernità, deriva direttamente dal processo di secolarizzazione del d ivino – alludendo ad esso e alle sue metamorfosi nella Natura, l’esperienza dolorosa a assolutamente necessaria della rivoluzione copernicana e della perdita di centro da parte dell’uomo viene decantat a attraverso le forme più disparate (e più terribil i) di manifestazione di questa crisi epocale. Secolari zzazione e prospettiva artistica continueranno (come si vedrà in seguito) ad intersecarsi e non so lo attraverso l’assunzione salvifica del Sublime 4 . Dopo la sua radicale ridiscussione nelle pagine del le lezioni hegeliane sull’estetica, il pathos della bellezza transiterà nella sua antitesi apparente e rifulgerà nell’apoteosi del grottesco. La figura di Cristo morto (già recitata come epicedio per l’uman ità da Jean Paul 5 ) risorgerà nella passione, 4 Cfr. R. BODEI, Le forme del bello , Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 83-84: “Una volta c rollato il rassicurante ordine dell’universo tolemaico centrato sulla Terra e sull ’uomo, il sistema copernicano appare come una minac cia, che spinge l’uomo – pascaliano “re spodestato” – all’esilio o alla prigione in un “carcere buio”, posto nella “pi ù profonda sentina” dell’universo. La sfida al cosmo non assume più il carattere di una orgogliosa esaltazione che sminuis ce il valore del mondo di fronte alla sconfinata grandezza del nostr o pensare e sentire. Subentra la paura, la percezio ne dell’incommensurabile inadeguatezza dell’uomo rispe tto a un ordine che, nella meccanica celeste e terr ena, si comprende ormai secondo perfette leggi universali, ma di cui non si afferra invece il senso che eventu almente ha per noi. La “ferita narcisistica” subita dalla specie u mana quando viene relegata alla periferia del “crea to” è risarcita solo in parte dalla maggiore attenzione a questo mondo prom ossa dalle arti, dalla nascente riflessione estetic a e dalle teorie scientifiche, che mostrano, come non mai, la piena razionalità del mondo fisico e, in prospettiva, di quello storico. A partire dal Seicento, scienza e arte sembrano così, a torto, procedere in direzioni divergenti: la pri ma rende intelligibile la realtà “materiale” (in quanto la matematica si a pplica ora con esattezza anche alla fisica, la qua le cessa così di essere una techne ); la seconda, a sua volta, che pare non tenere il passo con la scienza, ne elabora invece i traumi e ne utilizza i risultati, aprendo anch’essa nuove strade al pensie ro e alla sensibilità. In questa situazione, la nos tra unica dignità è, pascalianamente e kantianamente, quella di sfidare l‘universo, sapendo di essere destinati fisicamente alla sconfitta finale, ma di avere su ciò che ci distrugge una su periorità intellettuale e morale”. 5 Cfr. J. PAUL (Richter), Il discorso del Cristo morto , trad. it. di B. Bianchi, Milano, SE, 1997. RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 7 sempre rinnovata, sempre rassegnata, della facies ridicola e dolcissima 6 del clown , del saltimbanco, di Pierrot e di Gilles fino a stravolgersi nel dram ma inutile e necessario del professor Un-rath 7 . Sarà questa, probabilmente, l’ultima metamorfosi di Socrate: da Sileno a clown , da clown a saltimbanco, da saltimbanco a docile giocattolo nel le mani di una femme fatale (come accade al protagonista di L’Angelo azzurro di Heinrich Mann). Questo tragitto sarà percorso nel prosieguo dell’in dagine qui appena iniziata. Il punto di partenza rimane il Sublime: nella sua s toria e nella sua definizione concettuale è consacrata la parabola del Trascendente da acquisi zione certa a dolente nostalgia, da sicuro punto di approdo a lacerante necessità 8 . Dal Terrore come catastrofe politica e sofferenza senza 6 Il suo emblema è rappresentato dal volto devastato e sublime di Gwynplaine, l’Uomo che ride del roman zo omonimo di Victor Hugo del 1869. “E improvvisamente, in que ll’ombra, un raggio di luce colpiva Gwynplaine in p ieno viso. Si vedeva sbocciare il mostro dalle tenebre. La commoz ione della folla era indescrivibile. La risata sorg eva come un sole, tale era l’effetto. Il riso nasce dall’inatteso, e nulla poteva essere più inatteso di quello scioglim ento. Lo schiaffo di luce sulla maschera buffa e terribile produceva un’impre ssione impareggiabile. Tutti ridevano, dappertutto: in alto, in basso, sul davanti, in fondo; gli uomini, le donne, i vecc hi, i rosei volti dei bambini, i buoni, i cattivi, la gente allegra, quella triste, tutti; e nella via anche i passanti, che pu re non vedevano, udendo ridere, ridevano. E il riso finiva in un batter furioso di mani e di piedi. Calata la tela, si rich iamava Gwynplaine con frenesia. Era un successo eno rme. Avete visto Vittoria sul caos ? Tutti accorrevano a Gwynplaine. Gli spensierati v enivano per ridere, i tristi venivano per ridere, l e coscienze inquiete venivano per ridere. Una risata così irresistibile che qualche volta poteva sembrar e epidemica“ (V. HUGO, L’uomo che ride , trad. it. di C. Marini, Milano, Garzanti, 1976, p . 291). Sul tema del Grottesco in relazione al Sublime per quanto riguarda la scrittura di Victor Hugo, cfr. la buona antologia Sul grottesco , trad. it. e cura di M. Mazzocut-Mis, Introduzione di E. Franzini, Milano, Guerini e Associati, 1990 (contiene la celebre Prefazione alla tragedia Cromwell e alcuni passi del saggio dedicato a William Shakespeare ). 7 Il professor Unrat, ovvero La fine di un tiranno è il titolo di un celeberrimo romanzo di Heinrich Mann meglio noto come L’Angelo azzurro (dal titolo del film che Josef von Sternberg ne tr asse nel 1930 e che fu interpretato magistralmente da Emil Jannings nel ruolo di Unrat e di Marlene Dietrich in quello della sua amante-pa drona Lola- Lola; un remake del 1959 diretto da Edward Dmytryk con Curd Jürge ns e May Britt non conobbe eguale risonanza nell’immaginario collettivo nonostante la buona pro va dei due attori). Heinrich Mann ben sapeva che co sa era e doveva essere il Sublime se mette in bocca al suo protagon ista una frase del genere: “A questo punto la voce di Unrat si tramutò in una voce da sottosuolo: “Lei non è degno di acco starsi – con la sua misera e insulsa penna – ala su blime figura muliebre di cui stiamo per occuparci. Fuori ! Nello sgabuzzino!”” (H. MANN, Il professor Unrat – L’Angelo azzurro , trad. it. e cura di G. Schiavoni, Milano, Mondadori , 1991, p. 41). Unrat sta rimproverando il suo alli evo von Ertzum a proposito di quello che ha scritto su Giovanna d’Ar co, la protagonista del celebre dramma di Friedrich Schiller oggetto di un compito in classe). Su Heinrich Mann e il suo destino di scrittore, cfr. il lucido saggio di J. FEST, I maghi ignari. Thomas e Heinrich Mann , trad. it. di M. Bistolfi, Bologna, Il Mulino, 198 9. Di un certo interesse sono anche il saggio di F. CAMBI, “L’opposizione arte-vita fra ‘800 ne ‘900 in Heinrich e Thomas Mann”, in “Annali I.U.L.M . di Felte”, 5, 1981, pp. 31-67; la Nota di B. MAFFI alla sua traduzione del romanzo, Milan o, Rizzoli, 1953, pp. 5-10; la voce Heinrich Mann contenuta in L. MITTNER, Storia della letteratura tedesca. Dal realismo alla sperimentazione (1820- 1970) , Torino, Einaudi, 1971, pp. 1039-1049 e il poderos o volume di W. H. SOKEL, Demaskierung und Untergang Wilhelminischer Repräsentanz. Zum Parallelismus der Inhaltsstruktur von “Professor Unrat” und “Tod in Venedig” , Tübingen, Niemeyer, 1976. 8 R. BODEI, Le forme del bello cit. , pp. 84-85: “La “dignità” (termine che diven terà decisivo nella riflessione morale ed estetica) del pensiero e la nobiltà d’animo non è altro che la dignità del sublime: di fronte alle dimensioni e alle forze oscure del mondo, sono consapevole della mia nullit à (di mancare di valore nell’economia dell’universo ), del rischio di venire anzi schiacciato e annientato alla loro pote nza, di essere una canna piegata da tutti i venti, ma “canna che pensa”. Ed è proprio questo scatto di orgoglio, questo mode rno revanscismo del pensiero e dell’umanità contro la natura tutta, che suscita il sentimento del sublime. In quanto co nosco la mia insignificanza dinanzi al mondo, la mi a grandezza non consiste più nell’aderire mimeticamente al suo ordi ne, ma nel crearne un altro, nell’istituire un uman o “regno dei fini”, difficile e quasi impossibile da governare. Mi acco rgo di essere fuori posto, disarmonico e comunque n on integrato nel cosmo: vivo così la mia sproporzione immaginando un a disperata rivincita. Gran parte dell’estetica bar occa e protoromantica è, in effetti, un’estetica della spr oporzione, della dismisura, della disarmonia. Riman da a un ordine, a una proporzione e a un’armonia eventuali, celati, n el migliore dei casi, alla ragione e oscuramente in tuibili, invece, attraverso l’arte o la fede in un “Dio nascosto” qu ale garante del fatto che le cose abbiano, alla fin e, un senso. Alle vertigini provocate dallo sprofondare con lo sguard o nell’immensità dello spazio si aggiungono, a part ire dalla fine del Seicento, quelle prodotte dalla percezione dell’imm ensità del tempo, che la geologia scopre analizzand o la conformazione di rocce e minerali. Ci si accorge co sì che la Terra non è stata creata in sei giorni e che sicuramente RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 8 giustificazione per coloro che ne sono assoggettati al culto per le rovine, vera e propria epifania de l passato, il Moderno assimila il legato classico del la sublimità e lo trasforma in qualcosa che è radicalmente diverso dal Bello magniloquente e ampl ificato che l’Anonimo (per tradizione etichettato come lo Pseudo-Longino) aveva descritto e codificato nelle pagine per noi rimaste mutile del suo ambizioso trattato retorico. Eventi storici, allora, e/o trasformazioni materiali in profondità costellano il passaggio dalla concezione aristotelica del Bello come armonia e moralità a quella, protoromatica ( et ultra ) del Sublime come orrore e terrore, considerazione disumana dell’umano ed umana tensione verso una salvezza che non può arrivare se non dal “salto mortale” verso il Trascendente (come avviene nel caso di Höl derlin e di von Kleist, ma non soltanto per essi). René Girard lo ha dimostrato esaurientemente analiz zando la disperazione romantica che nasce dal rinnegare la trascendenza pur aspirandovi: «Dietro tutte le dottrine occidentali che si susseg uono da due o tre secoli vi è sempre il medesimo principio: Dio è morto, tocca all’uomo prendere il suo posto. La tentazione dell’orgoglio è eterna ma diventa irresistibile nell’era moderna poiché è orchestrata e amplificata in maniera inaudita. La “buona novella” moderna è intesa da tutti. Quanto p iù profondamente si scolpisce nel nostro cuore, tanto più violento è il contrasto tra questa merav igliosa promessa e la brutale smentita che le infligge l’esperienza. A mano a mano che si gonfian o le voci dell’orgoglio, la coscienza di esistere si fa più amara e solitaria. Eppure essa è comune a tutti gli uomini. Perché questa illusione di solitudine che acuisce la pena? Perché gli uomini n on possono alleviare le loro sofferenze condividendole con altri? Perché la verità di tutti è sepolta in fondo alla coscienza di ognuno? Tutti gli uomini scoprono nella solitudine della loro cos cienza che la promessa è fallace, ma nessuno è capace di universalizzare questa esperienza. La pro messa rimane vera per gli altri . Ciascuno si crede l’unico escluso dal retaggio divino e si sfor za di nascondere la maledizione. Il peccato originale non è più la verità di tutti gli uomini c ome nell’universo religioso, ma il segreto di ciasc un individuo, l’unico possesso della soggettività che ad alta voce proclama la sua onnipotenza e la sua padronanza radiosa. [...]. Le vittime del vangelo mo derno diventano così i suoi migliori alleati. Quanto più si è schiavi tanto più ci si accalora a difendere la schiavitù. L’orgoglio può sopravvivere solo grazie alla menzogna. Ed è la menzogna che man tiene in vita il desiderio triangolare. L’eroe si rivolge appassionatamente a questo altro che sembra fruire, lui sì, del retaggio divino. La fede del discepolo è tanto grande che egli si crede sempre s ul punto di carpire il segreto meraviglioso al mediatore. Da quel momento in poi ne gode in antici po. Si distoglie dal presente e vive nell’avvenire radioso. Nulla lo separa dalla divini tà, nulla, tranne il mediatore stesso il cui deside rio rivale è di ostacolo al suo desiderio» 9 . Il ragionamento di Girard è riferito all’intero “un iverso di discorso” del Moderno (in particolare, alla riflessione metafisica di Dostoevskij), ma tro va autorevole e drammatica conferma nella descrizione che von Kleist compie dell’orrore che la condizione umana gli sembra diventata dopo l’evento epocale della rivoluzione del 1789. Allo s tesso modo, ma sondandolo poeticamente, scomparirà, sebbene non così presto come ritengono i sostenitori dell’Apocalisse. Essa appare infatti il risultato dell’energia, tuttora operante, di immani forze cat astrofiche, di cataclismi accumulatisi in milioni d i anni. La consapevolezza di questi abissi del tempo provoca u no spavento che non è connesso soltanto alla consta tazione della potenza della natura., ma anche a quella della cadu cità e della fragilità di tutto, compreso l’uomo. I l mondo è immenso, ma finirà; esiste da tanto, ma sarà distrutto. Noi godiamo del discutibile vantaggio di saperlo, mentr e le pietre o gli animali lo ignorano. Diventiamo in tal modo coscien ti del contrasto tra l’aspirazione immotivabile di ciascuno a una felicità senza limiti e la fine annunciata di tutte le cose. La nascita del sublime moderno è così leg ata alla coscienza dei destini, insieme intrecciati e separati, della natu ra e dell’uomo che ha scoperto il “progresso”. Dal punto di vista del sublime, non si tratta tanto di sottomettere e umil iare la natura, ma anche (e per compensazione) di c onoscerla e innalzarla nella nostra considerazione, conservando ne intatta la potenza e la maestà”. 9 R. GIRARD, Menzogna romantica e verità romanzesca , trad. it. di L. Verdi-Vighetti, Milano, Bompiani , 1981 2 , pp. 51-53. RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 9 ammonisce, invece, sulla necessità del riscontro de ll’umano nel campo dell’evidenza del divino proprio Hölderlin nei versi iniziali del suo inno Patmos : «Vicino / E difficile ad afferrare è il Dio. / Ma d ove è il pericolo, cresce / Anche ciò che ti salva. / Nelle tenebre vivono / Le aquile e senza paura / Va la prole delle Alpi sopra l’abisso / Su lievemente costruiti ponti. / Ora, poi che ammassat e in cerchio / Stanno le vette del tempo / E i più amati abitano vicino, languendo / Sui monti più sep arati, / Oh, dacci acqua innocente, / Dacci ali a varcare di là / Con fedelissimo animo e ritornare. // Così parlavo quando / Più veloce ch’io non credessi e lontano / Dove mai sognato avevo / Di gi ungere, un Genio mi rapì / Dalla mia casa. Balenavano appena / Nel dubbio lume ove andavo / L ’ombrosa foresta / E le acque desiderose / Della mia terra; non più conoscevo i paesi. / Quand ’ecco, in fresco bagliore, / Misteriosissima / Nel fumo d’oro / Sbocciò crescendo rapida / Coi passi d el sole / Con gl’incensi di mille vette / l’Asia ai miei occhi...» 10 . Nella pesantezza della vita e nella levità della po esia risiedono i due poli della metamorfosi del Sublime in epoca romantica 11 . Di conseguenza, la Befriedigung è ridotta a sostanza della contraddizione tragica dalla crisi che risulta dall e trasformazioni sociali che esplodono con la double Revolution (la Rivoluzione Francese che è il trionfo del Poli tico e la Rivoluzione Industriale, sanzione, invece, dell’Economico) e l’ “appagamento ” si rivela, di conseguenza, soltanto una sosta di fronte alle macerie del passato, ascolto appassi onato della sua voce (come avviene in Hölderlin 12 e von Kleist), senza che si realizzi di nuovo la po ssibilità di ricondurre l’armonia nel sistema della storia e della poesia. La sospensione della morte è soltanto l‘attesa di qualcosa di forse ancora più spaventoso – la perdita di senso della vita che si manifesta attraverso la consapevolezza dell’esistenza dei limiti della ragione (come accad e nel Kant della prima Critica ) e dell’importanza del caso (come, invece, in von Kleist). La rappresentazione di questo processo come è esemp lificato nella stagione classica del Gothic Novel è stato brillantemente sintetizzato da Marshall Bro wn: 10 F. HÖLDERLIN, Poesie , trad. it. e saggio introduttivo di G. Vigolo, Tor ino, Einaudi, 1967 2 , pp. 156-157. La dimensione religioso-mistica della scrittura del po eta di Lauffen sul Neckar è confermata dall’uso ste sso delle fonti che affiorano da una lettura più in profondità del suo testo. Scrive, infatti, Vigolo nel suo saggio intro duttivo: “Ma nello stesso inno Patmos , vicino alle derivazioni sofoclee, pindariche e an che omeriche (Iliade, I, 197), pullulano le citazio ni bibliche ed evangeliche: “ Die Locken ergriff... (“Li prese ai capelli...”) nella nona strofa, viene da Ezechiele, VIII, 3: “ Manus apprehendit me in cincinno capitis mei:... et elevavi t me Spirits inter terram et coelum ”. Quest’ultima immagine dell’elevazione, del raptus visionario può ben corrispondere a quanto Hölderlin dice nella se conda strofe dello stesso inno, parlando del Genio che lo rapisc e nell’aria e lo porta velocissimo verso l’Asia. Ne l passo citato di Ezeciele, lo Spiritus: “ adduxit me in Jerusalem in visione Dei ”” (p. XLVIII). Sulla poesia hölderliniana e la sua pregnanza filosofico-concettuale, cfr. M. PEZZELLA, La concezione tragica di Hölderlin , con un saggio di R. Bodei ( L’esattezza delle parabole ), Bologna, Il Mulino, 1993 e S. GIVONE, La questione romantica , Roma-Bari, Laterza, 1992, in particolare il capitolo secondo dal titol o “Contraddizione e silenzio” (pp. 41-67). 11 Lo mostra bene nella sua acuta parafrasi di questo passaggio centrale per la mia analisi, R. BODEI ne l suo “Tenerezza per le cose del mondo”. Sublime, spropor zione e contraddizione in Kant e in Hegel” contenut o in Hegel interprete di Kant , a cura di V. Verra, Napoli, Prismi, 1981, pp. 214 sgg. 12 Sempre da Hölderlin: “ Lo spirito del tempo . Già da troppo tu domini sopra il mio capo, / Tu n ella oscura nuvola, dio del Tempo! / Troppo furore è intorno e angoscia, ov unque / Io guardi tutto va in frantumi o vacilla. / / Ah, come un fanciullo mi affisso al suolo sovente, / Cerco uno scampo da te nella grotta e vorrei, / Stolto, trova re un luogo / Dove non fossi tu che tutto sconvolgi! // Concedimi, inf ine, o padre, d’affrontarti / Con fermo ciglio ! No n hai dunque, per primo, lo spirito / Suscitato in me col tuo raggio, non m’hai / Splendidamente alla vita portato, o pa dre ! // – Ci germoglia da giovani viti sacro vigore, / In mite a ura si fa incontro ai mortali, / Quando silenti err ano nel boschetto, / Rasserenante un dio; ma tu, più potente, ridesti // La pura anima nei giovanetti e insegni / Sagge art i agli anziani; solo il malvagio / Si fa più malvagio, per finire più prest o, / Quando tu, o Scuotitore, lo ghermisci ” (F. HÖ LDERLIN, Poesie cit., p. 37). RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 10 «Supponiamo ora di considerare i romanzi gotici com e esperimenti mentali che provano i limiti non solo della sopportazione umana, ma più specificamen te della ragione umana. E’ dopo tutto tipico che i primi romanzi gotici dedichino molto più spaz io ai pensieri e alle sensazioni delle vittime, e (spesso) del demone persecutore, che non ai meccani smi della punizione e del tormento. Che resterebbe di un uomo, si chiedono questi romanzi, se ogni associazione umana, ogni comune percezione, ogni prevista regolarità di causa ed ef fetto fossero strappate via? Essi, in altre parole, si chiedono che cosa sia l’uomo in sé, privato dei sup porti esterni che condizionano le nostre esperienze di tutti i giorni. A quali risorse, amme sso che ne abbia, può attingere la mente in isolamento ? Qual è la natura della coscienza pura ?» 13 . La dislocazione del Sublime permette di affrontare la perdita di senso che l’improvvisa fine della relazione tra soggetto e oggetto, tra causa ed effe tto, tra percezione e percipiente potrebbe comportare; serve, in sostanza, a stabilire la natu ra effettiva della conoscenza quando venga deprivata dal supporto dell’esperienza. La sua funz ione è quella di andare oltre : comprendere completamente il “mondo misterioso al di là dei lim iti della ragione” 14 . O riuscire ad accettare il dominio del caso, padroneggiandone gli effetti, imp edendo che sia capace di sovrastare gli sforzi di comprensione razionale compiuti dalla mente umana. La Gothic Sublimity annulla il mito della completa decrittabilità del mondo reale e crea zone d’ombra al suo interno, alternandole a sprazzi di l uce. Le contraddizioni, intessute nel suo contesto socia le, emergono intatte a livello formale: la ragion pura non spiega l’insorgenza del Negativo e non sup era quei limiti che essa stessa si è data se non nella consapevole accettazione della verità antinom ica della conoscenza. Il soggetto che viene ad essere così costituito dalla sua stessa incapacità ad avere centro, a ricevere unità d’intenti e consapevolezza di sé dal baricentro dell’Io, non è più in grado di ritrovarsi come tale e mostra il proprio disagio (la propria Un-ruhe ) attraverso forme artistiche che non sono più rico nducibili al reame di Armonia. Ancora Marshall Brown: «Imprigionata nell’oscurità e tagliata fuori dall’e sperienza concreta, la vittima gotica rigenera dall’interno il proprio spazio e tempo, le pure for me kantiane dell’intuizione sensibile. Inseguita da i Doppelgänger e ossessionata dai demoni, ella mette alla prova l e categorie di quantità e qualità. Messa di fronte a poteri soprannaturali, la vittima esperimenta la nascita della casualità. Tagliata fuori dalle proprie radici, ella rimane categoricam ente legata all’universo per mezzo dei poteri trascendentali di ciò che Kant chiama la comunità. E soprattutto il mondo gotico rimane inspiegabile, così come il mondo di Kant, poiché è pervaso di contraddizioni. Il fato e il caso, il finito e l’in-finito, le persistenze di entità irre ali e l’annullamento di quelle reali: il gotico è prevalentemente il mondo dell’antinomia» 15 . Nella categoria (se di categoria in questo caso si può parlare – come io penso sia possibile a ragion veduta 16 ) di incommensurabile , l’antinomia si scioglie nella riflessione sul dom inio dell’immaginazione sulle cose. Costruendo la defini zione di un oggetto che non dovrebbe avere 13 M. BROWN, “Kant e i demoni della notte” in “Studi di estetica”, 4-5, 1984 ( Atti del Convegno Il Sublime: creazione e catastrofe nella poesia , 30-31 ottobre 1984), a cura di V. Fortunati e G. Franci, p. 160. 14 M. BROWN, “Kant e i demoni della notte” cit. , p. 161. 15 M. BROWN, “Kant e i demoni della notte” cit. , p. 163. 16 Sul concetto di incommensurabile in Kant, Derrida, Victor Hugo e Robert Musil, ho s critto con una certa ampiezza in “Raffigurazioni dell’incommensurabile. Il Mostruoso , il Colossale, l’Inquietante” contenuto nel mio Il Sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria , Firenze, Clinamen, 2005, pp. 123-146. RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 11 definizione, l’immaginazione supera l’ostacolo epis temologico rappresentato dalla contraddizione tra finito ed infinito e articola quest’ultimo into rno alle sue condizioni di possibilità: il possibil e diventa reale, il sogno acquista la dimensione e l o statuto dell’esperienza, l’inesprimibile viene descritto. Il Sublime nasce, allora, proprio dall’e spressione del disagio e della forza dell’Io che emergono da questo stato di cose; la ricerca della conciliazione parte dalla conferma della sua impossibilità. L’incommensurabile può essere misurato solo dai car atteri che contraddistinguono gli oggetti che ad esso fanno riferimento; la precisione dell’espre ssione nasce dalla vaghezza dei suoi termini. Non tanto l’impalpabilità e la scarsa precisione de ll’ineffabile sembra costituire la natura segreta d el Sublime, quanto la sua capacità di riordinare ciò c he la ragione lascia scompigliato, di organizzare ciò che i sensi hanno soltanto appreso confusamente , di regolare ciò che il gioco dell’immaginazione potrebbe liberare improduttivame nte. Il Sublime permette il dominio del e sul caso, il c he è l’orrore per la ragione. E’ quello che avviene in von Kleist dove è l’immagi nazione produttiva a filare le trame della razionalità, non l’intelletto o l’esperienza preced ente. La tragedia Penthesilea e Das Käthchen von Heilbronn , come lo stesso von Kleist riconosceva in una lett era del 1808, “vanno insieme come il + e il – dell’algebra “; allo stesso modo, Das Erdbeben in Chile e Der Zweikampf hanno la stessa funzione nell’ambito delle sue prove narrative. In essi, quella forma di controllo sulla casualità cui si accennava precedentemente ne rinnova, tuttavia, l’effetto perturbante e ciò che viene spiegato, alla fine, risulta tuttavia inspiegabile 17 . Pentesilea, regina delle Amazzoni, uccide ciò che a ma, sbrana ciò che teneramente avrebbe accarezzato, polverizza il suo bisogno d’amore in p reda alla furia incomposta del distruggere. Il trionfo del negativo avviene in presenza di un posi tivo: le due qualità non si elidono, ma coesistono. Non scarica psicopatologica, ma descrizione metafis ica, il dramma di Pentesilea è nell’irresolubilità dell’antinomia tragica, nella irriducibilità dell’a more e dell’odio, nell’incommensurabilità del sentimento alla ragione e della passione all’ ethos . “Tutta la sozzura e insieme tutto lo splendore dell a sua anima”: sono parole di von Kleist; tutta la carica disarmonica del pathos viene utilizzata per dimostrare l’inconsistenza del la prescrizione dell’armonia. In questa mancanza di compostezza, ne lla sua impudica esibizione e nella disperazione che l’avvolge, è la forza del Sublime kleistiano. Caterina di Heilbronn nasconde nella sua tenerezza la dedizione al sogno che l’ha destinata all’uomo della sua vita. Nella fedeltà a ciò che è intessuto di menzogna, la passionalità dei sentimenti si fa largo ridicolizzando la freddezza calcolatrice dell’intelletto. In un caso come nell’altro, l’impossibilità di sfuggire al destino è compensata dalla sicurezza con cui l’appello all’imponderabile è accettato come sola verità (ide ntico sarà il caso del protagonista del Prinz von 17 Ne è prova il finale del Principe di Homburg (un dramma del 1811 sfortunato e spesso negletto, mai pubblicato né rappresentato in vita dell’autore perché giudicato “inopportuno” dato il momento storico vissuto dalla Germania): “( Rombo di cannoni. Una marcia. Il castello si illumi na ) KOTTWITZ Viva, viva il principe di Homburg! UFFICIALI Viva! Viva! Viva! TUTTI Al vincitore della battaglia di Fehrbellin! ( un attimo di silenzio ) HOMBURG No, dite! E’ un sogno? KOTTWITZ Un sogno, che altro? DIVERSI UFFICIALI Al campo, al campo! TRUCHSS Alla battaglia! MARESCIALLO DI CAMPO Alla vittoria! Alla vittoria! TUTTI Nella polvere i nemici di Brandeburgo!” (H. von KLEIST, Il principe di Homburg , a cura di H. Dorowin, introduzione e traduzione di R. Rossanda, Venezia, Marsilio, 1997, p. 251). Come scrive la Rossanda nella sua Introduzione al testo di von Kleist: “ Il principe di Homburg è un’elegia sulla bella giovinezza che duole. Diffici le distinguere fra passione e ragione, capire il se nso per gli altri, dunque reale, dell’agire che dentro di sé, dunque i rrealmente? pare giusto. Perché la legge del cuore induce un ragazzo a sbagliare, Homburg a dover morire? Che ha a che f are con il retto e germanico sentire una legge così “sublime” da diventare “inumana”, come dirà Natalia all’Elettore ? Oltre a stare in quegli anni, come sta eternament e fra essere e dover essere, in un esercito in guerra il tema si d isegna in figure estreme. Così estrema è la contrad dizione che Homburg è sempre colto di sorpresa: “No, impossibil e, non è vero”. Non che sia il solo cui la realtà s i presenta sfuggente, ma questa che sembra in Kleist la condiz ione umana mette un giovane con le spalle al muro, lo nega. La maturità ne è il duro apprendistato “ (p. 22). RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 12 Homburg , vittima inconsapevole della collisione dei doveri , dove, tuttavia, lo scarto non è tra etica e realtà, tra morale ed effettualità, ma tra sogno e razionalità, impulso e riflessione). In von Kleist crolla la fiducia nella consequienzia lità di causa ed effetto: non c’è più virtù raziocinativa che possa resistere alla furia del te rrore dispiegato. Nessun imperativo, nessun sentimento di naturale pietà, nessuna considerazion e umanitaria reggono il filo sottile che collega bestialità e socievolezza 18 : la sorte di Jeronimo e Josepha, massacrati dalla folla che li considera colpevoli del terremoto che ha distrutto Santiago d el Cile 19 (nella novella omonima) fa da pendant alla vendetta che Pentesilea consuma su Achille. Il “bacio che è un morso ed il morso che è un bacio” (insanabile contraddizione contenuta nell’ eros ) è l’immagine che consegna poeticamente l’intera contraddizione del soggetto alla dilaceraz ione esterna. Gli abitanti di Santiago che trovano in un caso estemporaneo la causa di ciò che non rie scono a spiegare si accontentano di un simulacro di verità; la violenza degli elementi e quella dell e passioni si integrano nella catastrofe tragica e impediscono che si giunga al predominio della lampa nte chiarezza della razionalità. Il crollo è generale e, come Santiago è spazzata via dalla natu ra, così i due amanti sono vittime della ragione impazzita che li vuole colpevoli di ciò che non pos sono aver commesso. La paura e il fanatismo (due facce della stessa medaglia nella secolarizzaz ione in atto) rendono incommensurabili le cause con i loro effetti. Allo stesso modo, i protagonist i del duello che dà il titolo alla novella omonima sono giocati da un destino più grande di loro e viv ono una vicenda in cui sono importanti più o meno quanto le marionette nelle mani del loro burat tinaio 20 . 18 “Si raccontava che subito dopo la prima scossa la città era piena di donne che partorivano al cospett o di tutti gli uomini; che i monaci correvano intorno col crocefis so in mano urlando che era venuta la fine del mondo ; che a un drappello di guardie, il quale pretendeva in nome d el viceré che si sgombrasse una chiesa, si era risp osto che non esisteva più un viceré del Cile; che nei momenti pi ù paurosi il viceré aveva dovuto eriger patiboli pe r frenare le ruberie e i saccheggi; e un innocente che si era salvato at traverso una casa in fiamme, era stato acciuffato d al padrone per soverchia fretta e fatto impiccare senz’altro” (H. von KLEIST, “Il terremoto nel Cile”, in I racconti , trad. it. e cura di E. Pocar, Milano, Garzanti, 1979 2 , pp. 150-151). 19 Meravigliosa e inquietante è la descrizione del te rremoto di Santiago del Cile nel racconto omonimo d el 1807: “Jeronimo Rugera rimase rigido dal terrore, e come se la sua coscienza fosse stata infranta, ora per n on cadere si aggrappò al pilastro doveva aveva voluto morire. Il suolo gli traballava sotto i piedi, le pareti dell a prigione si spaccarono, tutto l’edificio s’inclinò per abbatter si verso la strada, e il crollo completo fu impedit o nella sua lenta caduta soltanto dalla caduta dell’edificio dirimpet to, dimodoché si venne a formare una volta fortuita . Tremando, coi capelli ritti, e con le ginocchia che gli si voleva no rompere sotto, Jeronimo scivolò sul pavimento in clinato verso l’apertura che il cozzo delle due case aveva prodot to nella facciata della prigione. Appena fu all’ape rto, tutta la strada già scossa crollò per un secondo movimento telluric o. Fuori di sé, non sapendo come si sarebbe salvato da quella generale rovina, correva oltre travi e rottami, men tre la morte lo insidiava da ogni lato, verso una d elle più vicine porte della città. Qui crollava ancora una casa che lanci ando all’intorno le macerie lo cacciava in una via laterale; là vi erano fiamme che lampeggiando tra nubi di fumo, erompevan o dai tetti e lo spingevano in un’altra; lì incontr ava il Mapocho straripato che gli andava contro e ruggendo lo tras cinava in una terza. Qua v’era un mucchio di ammazz ati, là s’udiva gemere ancora una voce di sotto le rovine; qui urli che scendevano da tetti in fiamme, lì lotte di uom ini e bestie contro le onde, qui un coraggioso si sforzava di recare ai uto, là un altro, pallido come la morte, alzava le mani tremanti al cielo, in silenzio” (H. von KLEIST, “Il terremoto nel Cil e”, in I racconti cit. , pp. 144-145). 20 E’ quello che si desume dal colloquio finale in ca rcere tra Federico von Trota e l’amata Littegarda: “Dio onnipotente!” esclamò messer Federico abbracciandol e le ginocchia; “ti ringrazio. Le tue parole mi rid anno la vita: la morte non mi fa più paura; e l’eternità, che dianzi si stendeva davanti a me come un mare di sterminat o dolore, mi risorge come un regno di mille soli luminosi !” – “ O infelice!” disse Littegarda ritraendosi, “ come p uoi prestar fede a ciò che dicono le mie labbra ?” – “Perché no?” dom andò Federico con ardore. – “Pazzo! folle!” esclamò lei. “ La sacra sentenza di Dio non è stata contro di me? Non fosti sconfitto dal conte in quel fatal duello e non ha egli dimostrato con la spada la verità della sua accusa contro di me?”. – “O dilettissima Littegarda” implorò il camerleng o, “preserva la tua mente dalla disperazione! Ergi come una roccia il s entimento che vive nel tuo cuore, aggrappati a ques ta e non vacillare, quand’anche la terra e il cielo dovessero crollare sotto e sopra di te! Tra due pensieri che confondon o la mente pensiamo il più comprensibile e razionale, e prima che tu ti reputi colpevole, crediamo piuttosto che nel duello che combattei per te io abbia vinto!”. – Dio, signore d ella mia vita” aggiunse in quel momento coprendosi il viso, “preserva anche l’anima ma dalla confusione! Non credo, e sia salva l’anima mia, di essere stato sconfitto dalla spada del mio avversario, poiché pur buttato sotto la polvere del suo piede sono risorto a nuova vita. Può avere la suprema saggezza RETROGUARDIA quaderno elettronico di critica letteraria a cura d i Francesco Sasso 36 In rete: Saggio pubblicato su Retroguardia 2.0 ( retroguardia2.wordpress/ ) e La poesia e lo spirito ( lapoesiaelospirito.wordpress/ ). Biobibliografia di Giuseppe Panella: retroguardia2.wordpress/biobibliografia-di-giu seppe-panella/ Saggi letterari in formato PDF pubblicati su Retroguardia 2.0: retroguardia2.wordpress/saggi-letterari-pdf/ Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblic ati su Retroguardia 2.0: retroguardia2.wordpress/category/panella-giuse ppe/ Ads not by this site Ads not by this site
Posted on: Mon, 28 Oct 2013 18:10:30 +0000

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