RICORDATI DI ME MA DIMENTICA IL MIO DESTINO Noioso pomeriggio di - TopicsExpress



          

RICORDATI DI ME MA DIMENTICA IL MIO DESTINO Noioso pomeriggio di Novembre questo, pioviggina. E’ il clima giusto per scrivere qualcosa: quando c’è il sole esco e vado in giro, se piove scrivo. Ricordate l’Eneide a scuola: che palle! Avete ragione, non era la sola cosa pallosa da studiare. Però, se avevi la mente un attimino aperta, se non eri completamente “de coccio” come dicono a Roma, qualcosa alla lunga rimaneva, e magari riaffiora ora e la rivivi in modo diverso. Certo, se t’avessero parlato di Didone ed Enea in modo differente, forse ti saresti appassionato alla loro storia, ma dipende sempre dalla fortuna: se incontri un insegnante che ti fa appassionare alle cose è un discorso, altrimenti devi essere fortunato ad imbatterti in quelle facce e in quei nomi tanti anni dopo. Lo spunto di questo post parte da lontano: qualche anno fa lessi “Barnum 2”, una raccolta di articoli di Alessandro Baricco, pubblicati per la Stampa di Torino. In uno di questi lo scrittore piemontese raccontava di aver assistito a una rappresentazione del “Didone ed Enea” di Henry Purcell, compositore inglese del seicento, ad Alghero. Sono andato a ritrovarle oggi pomeriggio quelle due pagine perché da qualche giorno mi ronzava in mente una frase che non riuscivo a ricordare bene: cercavo di rammentare la frase che Didone pronuncia prima di morire. L’avrete capito, è una storia triste, ma è normale, sono le storie tristi a restare più impresse nella memoria: quelle allegre ti sollevano per un attimo il morale, ma poi le dimentichi. Ad ogni buon conto ho ritrovato quella frase, ma prima vi racconto chi erano quei due. Didone era una regina fenicia, figlia del re di Tiro, costretta a fuggire in Africa. Giunta sulle coste libiche chiese al re Iarba di concederle un po’ di terreno su cui stabilirsi. Il re, pensando di fare il furbo le rispose che le avrebbe concesso tanta terra quanta ne avrebbe occupata con una pelle di bue. Le donne, lo sappiamo, sono più furbe di noi uomini e l’astuta Didone, come era prevedibile, riuscì a fregare Iarba: tagliò a strisce sottilissime una pelle di bue e riuscì a cingere un pezzo di terreno sufficiente a fondarvi Cartagine. Fin qui qualche ricordo scolastico affiora! Come nei migliori film, allimprovviso giunge dal mare lui, il bello della situazione: Enea, eroe troiano in fuga dopo la distruzione di Troia. E come nelle migliori sceneggiature Didone sbrocca per Enea. Ma Enea, nonostante amasse anch’esso Didone, per ordine di Zeus, deve ripartire per fondare Roma. E’ ovvio che Didone s’incazzi e lo maledica: è il minimo sindacale, Didone era una donna con gli attributi. La regina non riesce a distogliere Enea dal suo proposito di partire e decide di uccidersi con lo stesso pugnale regalatole da Enea. Il compositore inglese immagina l’ultimo dialogo tra Didone e la sua ancella Belinda, che si conclude con quella bellissima frase che non ricordavo e che ho ritrovato nell’articolo di Baricco: “Remember me, but ah! forget my fate”. Anche se alla fine non si muore per amore, bisognerebbe avere il coraggio e la lucidità di pronunciare quella frase alla fine di un rapporto, o di un amore impossibile, senza lasciare alcuno strascico: “Ricordati di me ma dimentica il mio destino”. Vi propongo il “Lamento di Didone” di Henry Purcell When I am laid in earth May my wrongs create No trouble in thy breast; Remember me, but ah! Forget my fate. youtu.be/kCm4MrKYrKY
Posted on: Fri, 15 Nov 2013 16:19:35 +0000

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