Se non si possono fare i processi ai boss della mafia allora è - TopicsExpress



          

Se non si possono fare i processi ai boss della mafia allora è tutto un fallimento. Il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, lancia lennesimo allarme sulla situazione della giustizia in Calabria, sotto accusa finiscono i tempi dei processi che assumono contorni improponibili legge sul banco degli imputati Il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, lancia lennesimo allarme sulla situazione della giustizia in Calabria. E lo fa prendendo spunto dalloperazione della squadra Mobile di Catanzaro che ha permesso di porre in stato di fermo sette persone, due delle quali ancora irreperibili. Sotto accusa finiscono i tempi dei processi che assumono contorni improponibili. Al centro della vicenda cè la storia di un collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Vincenzo Ceravolo. Prima le estorsioni, commesse a suo danno tra il 1994 e il 2001, poi il coraggio di denunciare, fino a fare finire sotto processo i suoi due aguzzini. Condannati in primo grado nel 2004, in secondo grado a gennaio 2009. A dicembre 2010, però, la decisione della Cassazione di annullare quella sentenza e rimandare tutto in Appello. Ma da allora, tre anni dopo, il rinvio non è stato nemmeno fissato. Così, a dodici anni dalla denuncia presentata dallimprenditore vibonese, nessuno è mai stato giudicato per quei reati. A rendere noto il calvario giudiziario del collaboratore di giustizia sono stati proprio il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, e laggiunto, Giuseppe Borrelli. Perché mentre la giustizia prosegue nella sua lentezza, o nella paralisi, il suo percorso, limprenditore vibonese ha subito tra il 2003 e il 2013 ben 33 intimidazioni contro le sue aziende. Quindi, il tentativo di avvicinarlo per indurlo a ritrattare. Un tentativo interrotto dalla squadra Mobile di Catanzaro con i provvedimenti di fermo emessi dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Si tratta di personaggi ritenuti a vario titolo responsabili di tentata estorsione, rapina, lesioni, violenza e minaccia, tutti aggravati dalla metodologia mafiosa. La ricostruzione degli inquirenti ha permesso di evidenziare le incongruenze del sistema giudiziario. A dodici anni dalla denuncia che mandò in carcere Pantaleone Mancuso, capo cosca della potente consorteria di Limbadi (Vibo) e Nazzareno Colace, per le estorsioni a Ceravolo, un emissario del clan, Raffaele Fiumara, avrebbe avvicinato il fratello del collaboratore di giustizia per convincerlo a ritrattare e, come è stato riferito, ritornare di nuovo amici. Ed è su questi tempi interminabili e sui rischi per i collaboratori di giustizia e per i processi che si sono soffermati i vertici della Procura distrettuale antimafia. Borrelli ha detto: Non è colpa di nessuno, ci sono carichi di lavoro e una situazione complessiva insostenibili, ma così si evidenzia linsufficienza degli organici per i dibattimenti. Gli arresti hanno un senso - ha spiegato Borrelli - se ci sono i processi e le condanne altrimenti ci prendiamo in giro. Non si può gestire un testimone di giustizia per dodici anni, senza che possa comparire in aula e dimostrare la sua attendibilità. Così i processi finiscono male. Tesi ribadite dal procuratore Lombardo, il quale ha sottolineato che la lentezza dei processi pone il problema della custodia cautelare ingiustificata e che dovrebbe essere necessaria solo per i tempi necessari alle attività probatorie. Never Ending gli imprenditori rompono il silenzio Non ci sono solo le denunce degli imprenditori Ceravolo di Vibo Marina, testimoni di goustizia storici contro il clan Mancuso, alla base delloperazione Never Ending. Parte delle accuse è supportata dalla denuncia di un altro imprenditore del Vibonese, già in passato testimone di giustizia per essere stato vittima di usura ed estorsione da parte di elementi della criminalità vibonese. Si tratta di Francesco Vinci, operatore di Pizzo Calabro (Vv), che, con le sue dichiarazioni, ha permesso lemissione del decreto di fermo, emesso dalla Dda di Catanzaro ed eseguito dalla squadra mobile del capoluogo, a carico di sette persone. Si tratta di Rocco De Maio, 43 anni, Eugenio Gentiluomo, 59 anni, Massimo Patamia, 43 anni, Carlo Riso, 35 anni, tutti di Gioia Tauro, Domenico Pardea, 46 anni, di Pizzo, Antonio Vacatello, 49 anni, di Vibo Marina, e Raffaele Fiumara, 60 anni, di Francavilla Angitola. Tutto ha inizio quando Eugenio Gentiluomo riesce a contattare Francesco Vinci per il disbrigo di pratiche burocratiche necessarie per ottenere delle certificazioni per limbarco sulle navi. Vinci indirizza Gentiluomo verso una scuola di Taranto specializzata nel settore, ma essendoci dei ritardi, Gentiluomo avrebbe preteso da Vinci la restituzione di 6mila euro anticipate ad una signora di Taranto. Da qui tutta una serie di presunte minacce e violenze da parte degli odierni indagati ai danni di Vinci, che sarebbe stato anche aggredito fisicamente. Minacce andate avanti dal maggio scorso sino al 12 ottobre. Fra gli indagati anche il boss di Nicotera Marina, nel Vibonese, Pantaleone Mancuso, 52 anni, detto Scarpuni. Mancuso è indagato, unitamente a Raffaele Fiumara, 60 anni, Francavilla Angitola, nel Vibonese (ritenuto a capo dellomonimo gruppo e già coinvolto negli anni 90 nelloperazione antidroga sullasse Sicilia-Usa denominata Pizza connection), del reato di violenza aggravata dal metodo mafioso per aver cercato di costringere gli imprenditori Giampiero e Vincenzo Ceravolo a ritrattare le loro accuse nei confronti del boss. Dopo lannullamento con rinvio da parte della Cassazione della condanna a Mancuso per estorsione ai danni dei Ceravolo, imprenditori ittici di Vibo Marina, Raffaele Fiumara su mandato di Mancuso avrebbe cercato, secondo laccusa, di avvicinare Giampiero Ceravolo per convincerlo a ritirare la denuncia recandosi o direttamente da Mancuso a Nicotera oppure da un avvocato di Tropea. Lepisodio si sarebbe verificato nel novembre dello scorso anno a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo. Pantaleone Mancuso, a differenza di Fiumara, non è stato raggiunto dallodierno decreto di fermo firmato dai pm della Dda di Catanzaro, Carlo Villani e Simona Rossi, in quanto già detenuto poiché coinvolto nelle operazioni antimafia inerenti alla faida fra i Patania di Stefanaconi ed i clan di Piscopio, frazione di Vibo.
Posted on: Sat, 26 Oct 2013 09:55:15 +0000

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