Sono le 7:00 di un giorno che a chi sta leggendo non deve - TopicsExpress



          

Sono le 7:00 di un giorno che a chi sta leggendo non deve importare, specie quando tutti i giorni si appiattiscono nella loro monotonia. Eccomi in stazione, non penso ti interessi quale, forse ti può interessare sapere che su 300 metri di banchina circa 50 sono coperti da una tettoia che mi costringe a salire in fondo completamente fradicio ogni santa volta che piove cioè otto/nove mesi l’anno e non c’è cosa più fastidiosa di aspettare la polmonite in stazione tenendo una sigaretta bagnata tra le dita che si mescola alla pioggia e ti lascia quel retrogusto di stagno sulle labbra che ti guasta il retrogusto del primo caffè. Ecco il treno delle 7:30 o quello che ne resta; un faro spento, vetri imbrattati da qualche stronzo, due porte rotte si e una no, il solito tipo che vende rose trascinandosele dentro a un secchio.. Questa ragazza davanti a me che non riesce ad evitare coreografie ginniche per salire sul treno con la testa già incollata al cellulare. Salgo e mi scasso su qualche poltrona in un posto da solo a quattro così posso accamparmi per il viaggio e aspetto di passare via con un po’ di musica nelle cuffie senza sentire altro che le vibrazioni e lo sferragliare de treno in movimento.. Tasto play,si parte.. TUTUM TUTUM-TUTUM TUTUM… “PROSSIMA FERMATA…” TUTUM TUTUM-TUTUM TUTUM… Siamo da poco partiti e un uomo con un accento vagamente meridionale con molta cordialità si abbassa leggermente cercando il mio sguardo; -“Mi scusi, è libero?” -“…si, certo certo ..” Sistema da solo le sue grosse valigie di ottima fattura se pur usurate sugli scaffali, strofina entrambe le mani sulla giacca per levarsi grossolanamente la polvere di dosso, fissa fuori e si siede prestando un’attenzione chirurgica a non colpirmi le gambe per non infastidirmi. Non posso fare a meno di respirare da subito nell’aria un profumo di biancheria pulita, un odore particolarmente candido provenire dallo spostamento d’aria e dai vestiti di quell’uomo sul metro e sessanta con pochi capelli neri pettinati che contrastano con i suoi occhi verdi quasi grigi che stanno fissando fuori dal finestrino il Sole che timidamente si affaccia.. Pochi istanti dopo mentre sistema gli effetti personali sulla pensilina sotto il finestrone,gli scivola il portafogli che si apre e mi lascia intravedere prima uno poi due e infine tre figure; erano una bambina ,un bambino e una donna, avrei potuto fissare per minuti quelle foto dato che mentre rovistava nelle tasche non se ne era ancora accorto, così lo raccolsi e glielo poggiai sulla mensolina. Di tutta risposta l’uomo mi fissò e mi ringraziò subito esclamandomi -“Chi non ha testa ha buone gambe! Speriamo per me!” con un bel sorriso di contorno, quasi cercando la mia simpatia. Io gli risposi al sorriso con un -“Si figuri, ci mancherebbe..” Dieci minuti dopo il Sole era salito anche se non faceva caldo sentimmo il servizio ristoro arrivare con la sua campanella così ci voltammo entrambi e prendemmo due caffè. -“Sa, questo caffè non somiglia per nulla a quello di mia moglie..” esordì l’uomo. Io sorridendo annuì . -“Si, insomma non è malaccio, ma quello che ti gusti in casa al mattino giù da me ha tutto un altro sapore..” Stavolta con tono di amarezza. A quel punto volevo capire se quei pochi indizi erano stati centrati e molto educatamente cercai uno sguardo mentre sorseggiavamo quel caffè bollente e finalmente gli chiesi di dove fosse. -“Sono siciliano, della provincia di Palermo, il paese è piccolo e nella zona non c’è molto lavoro così ho preferito emigrare in Germania come operaio in fabbrica e sto tornando per l’appunto a lavorare dopo una ventina di giorni di ferie.” -“Ah ma quindi lei è da solo la..” -“Si si, un po’ per l’ambiente, un po’ per le spese, ma non penso sia un granchè meglio della mia terra dove so che i miei figli sono coccolati dalla mia famiglia, li vedo molto poco ma qualche sacrificio si deve pur fare.” -“Ah cavoli..si ho notato i due bambini che spuntavano dal portafogli prima..” -“Si si, sono loro; il più grande 8 anni Salvatore, la più piccolina Giovanna 6 anni, dovesse vederli come crescono.. Salvo come lo chiamiamo in casa è un piccolo tutto fare; disegna, monta e smonta qualsiasi cosa, qualche volta mi scombina il televisore anche se in realtà quel telecomando per me rimane sempre un mistero, l’altra è un peperino e si punzecchia col fratello perché già fa la donnina di casa” -“Mia moglie poi è tutta un programma, è più giovane di me di 9 anni, il prete non voleva sposarci all’epoca per questa differenza, è una donna infaticabile, protettiva e devota alla famiglia ,purtroppo ci vorrebbe tutti insieme e per un certo periodo per venirci incontro li feci anche venire in Germania con me ma per tanti motivi scegliemmo ancora questa soluzione, i tedeschi hanno ancora il vizietto di storpiarci i cognomi!” -“Capisco, comunque piacere: Giovanni!” porgendogli la mano. -“Ah! ti chiami come me; Giovanni anche io!” Sorridendo compiaciuto. Il treno era ormai giunto a Lodi, ma era una di quelle volte dove la durata del viaggio si dilata e ti fa perdere un po’ l’orientamento e magari pensi di essere verso una fermata ma in realtà sei già dopo o ancora prima. La conversazione andò avanti, mi raccontò che non aveva sempre fatto l’operaio; in paese era ben voluto, molti anni prima era uno dei pochi che conosceva Palermo e accompagnava tante persone per la grande città e molto spesso portava in paese medicine a quelli non sapevano spostarsi. Mi raccontò che da piccolo verso dodici anni perse suo fratello maggiore e si trovò a portare lui il carretto di farina dal mulino a casa per la sua famiglia sottolineando che all’epoca non c’era veramente nessuna comodità e camminava per chilometri e per intere giornate sotto Sole e pioggia.. Ad un certo punto mentre ascoltavo cominciai ad avvertire una sensazione di freddo appena sotto il petto che continuava a crescere, ma tentavo di mantenere un atteggiamento stoico di fronte a quell’uomo che mi aveva raccontato quasi tutta la sua vita compressa come se ne conoscessi già i dettagli. Cominciavo a sudare e avvertivo fastidio allo stomaco, alle gambe e alle mani, era come una scossa bollente che si propagava in tutto il corpo, come quando un evento ti coglie impreparato e non ci puoi fare nulla. Come se qualcuno scivola e cade appena di fronte a te e non riesci a trattenerlo per tempo. Lui notando scompiglio in me si fermò e cambiò totalmente impostazione; ora era immobile davanti a me e mi sorrideva come se conoscesse la diagnosi. Il suo viso si illuminava a tratti tra le luci che sfrecciavano dentro la galleria. Era buio adesso, il treno rallentò un’istante che mi sembrava eterno, respiravo affannosamente quando sentii una mano sulla mia stringermi le dita, come se fossi piccolo, come quando sei bambino e giochi a disegnare col dito sulla mano di tuo nonno che ti risponde accarezzandoti la testa mentre ti dondola sulle ginocchia. Sentivo il freddo scomparire ma non riuscivo a dire e fare niente; adesso ero li; ero piccolo e stavo bene. “PROSSIMA:FERMATA MILANO ROGOREDO” Mi svegliai e aprì gli occhi sobbalzando Ero arrivato e faceva freddo. Giovanni Bonafede
Posted on: Thu, 20 Jun 2013 18:42:56 +0000

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