Sono una ragazza di 13 anni e quest’anno faccio l’ultimo anno - TopicsExpress



          

Sono una ragazza di 13 anni e quest’anno faccio l’ultimo anno delle medie. Sono una vittima di bullismo e razzismo. Vi racconterò un po’ della mia storia. Non sono nata in Italia e abito qui da soli 3 anni. Per facilitare la scrittura chiamerò lo stato dove sono nata X, perché preferisco non raccontare troppo. Ho iniziato le scuole elementari un anno in anticipo, a 5 anni, perché sapevo leggere da quando ne avevo 3 e mezzo. Sì, sono precoce. Ero una bambina avventurosa, interessata a tutto e a tutti. Ero molto curiosa e sempre allegra. Non avevo mai paura. Ogni giorno percorrevo le strade della mia città e aiutavo gli animali che vedevo: anatre affamate, pecore scappate, rane sdraiate sul dorso. Ero particolare, forse speciale, ma in alcuni aspetti anche una bambina normalissima, avevo bisogno di affetto, di sentirmi protetta e la cosa che ho sempre odiato da quando avevo quell’età è litigare. Ma così iniziai le scuole elementari. E da lì iniziò l’inferno. Faccio tantissima fatica a parlarne e infatti descriverò soltanto le cose principali. Ogni giorno dopo scuola un gruppetto di ragazzi mi aspettava per picchiarmi, spingermi e farmi cadere. Non avevo amici. Nessuno voleva parlare o giocare con me. Tutti mi insultavano. Perché? Perché ero più brava a scuola di loro? Perché gli insegnanti mi adoravano? Perché affrontavo situazioni in modo diverso, forse più maturo? Credo che quelli siano stati i motivi principali, ma la verità non la saprò mai. In quel mio primo anno mi chiusi sempre più in me. Non sapevo difendermi, avevo paura. In quell’anno distrussero la bambina coraggiosa e allegra che ero prima. Quella bambina scomparve completamente, per poi non tornare mai più. Ad un certo punto, alla fine della prima, una mia compagna di classe diventò la mia amica. Mi proteggeva da tutti e tutti obbedivano a lei. Giurammo di aiutarci per sempre, di essere migliori amiche per tutta la nostra vita. Mi diede una collana, con un orsetto e metà cuore, lei ne aveva una identica e si incastravano perfettamente. La portai sempre con me e ancora adesso la porto, ma in tasca, come un ricordo doloroso, però la porto. Continuarono a prendermi in giro, certamente, ma ogni volta che mi facevano cadere, c’era lì la mano della mia amica per tirarmi su e poi abbracciarmi. Era bellissimo avere una persona alla quale raccontare tutto, segreti, pensieri, ecc. Le raccontavo tutto e lei (almeno così pensavo) raccontava tutto a me. Questa amicizia durò per due anni. Un giorno, in terza elementare, dopo le vacanze, andai a scuola con un regalo per la mia amica. Non l’avevo vista per due settimane intere perché ero andata in Italia. Però arrivai in ritardo e tutti erano già in classe. Quindi misi il regalo nella cartella, l’avrei data durante l’intervallo. Suonò la campanella dell’intervallo, uscii dalla classe. Chiamai la mia amica, lei si girò, mi vide, fece una smorfia e continuò a camminare. Io non capii cosa stava succedendo e corsi da lei, ma un ragazzo di quinta mi fermò e mi sbatté contro il muro. Mi sputò in faccia e mi diede un pugno nello stomaco. Ero abituata a tutto questo, ma non a quello che successe dopo. La mia amica era lì davanti a me, io ero per terra, piegata dal dolore. Lei mi guardò, non disse nulla. Poi girò la testa dall’altra parte e camminò tranquillamente all’altalena. E sì, quello è stato il punto in cui ho perso tutto. Avevo perso la mia amica, avevo perso il mio tutto, avevo perso l’unica ragione per continuare, ma, più importante: avevo perso la fiducia. Avevo perso la fiducia in tutto e in tutti. Tutto era nero. Quello che era la fine della nostra amicizia, è stata l’inizio della lotta, la lotta senza fine. Entro una settimana, tutta la scuola sapeva i miei segreti e la mia ex amica cominciò a picchiarmi, ad insultarmi. E quello che mi faceva lei, faceva mille volte più male. Perché sapevo che quelle braccia che in quel momento mi picchiarono, un giorno mi abbracciavano, mi aiutavano. Cambiai scuola, lì non è che mi prendevano in giro. Mi lasciarono un po’ da parte. Ma a me non importava. Io avevo finito con questo mondo schifoso. Non mi fidai più di nessuno e giurai a me stessa che la mia amica doveva morire. Urlai in faccia agli insegnanti quando cominciarono a parlare della povertà in Africa perché, così gridavo, non possiamo aiutare persone che sono lontane 10000 chilometri di distanza, se non sappiamo neanche aiutare le persone che sono qui. Dopo un anno, mi trasferii in Italia. Per me questo cambiamento significò speranza, speranza in una vita migliore. I miei mi avevano raccontato che in Italia tutte le persone erano aperte, gentili, simpatici. Finii metà della quinta in Italia, troppo poco per poter capire cosa mi aspettava alle medie. A partire dalla seconda settimana delle scuole medie, tutti mi presero in giro. Videro che ero già distrutta, ero una vittima facile, troppo facile. Non mi ricordo neanche tutto quello che mi hanno fatto. Spesso tornavo a casa zoppicando e piangendo. Dopo un anno cambiai scuola. Andai in una scuola media un po’ più lontana da casa mia e più grande. E sono ancora lì, finendo l’ultimo anno. Da due anni ho finalmente trovato una classe decente. Ora ho delle amiche. Da poco vado anche a scout, dove mi trovo proprio bene. Scout per me è importantissimo, ci sono tantissime persone alle quali tengo moltissimo. Ora è tutto passato. Ho ripreso a ridere, a scherzare. Sembro felice. SEMBRO. Ma io ogni giorno devo ancora lottare. Lottare contro i ricordi, contro il passato, contro le mie paure e insicurezze. Io non mi fido ancora di nessuno. E sì, il mio corpo ride, la mia anima non ne è ancora capace. E solo chi mi guarda dritto negli occhi vede quell’ombra del passato. Solo chi mi guarda dritto negli occhi vede che sto ridendo ma dentro di me sto piangendo. Peccato che in questo mondo nessuno pensa di guardare negli occhi. Ho pensato spesso al suicidio, ci sono spesso dei periodi (a volte anche una settimana intera) che non mangio o non bevo. Tutto il giorno rido, tranne la sera tardi, quando ormai nessuno mi vede. Allora piango. Ho così tanto bisogno di persone che mi stiano vicine in questo momento, in questo momento di lotta e guerra. Ho paura di non riuscire mai più ad essere quella bambina coraggiosa ed allegra che ero prima. Non credo che mai riuscirò ad essere così spensierata come allora. Faccio una fatica enorme a pensarci e a parlarci, allora perché ho scritto questo? Perché, se una volta dovrete prendere una decisione, scegliere tra la strada facile e quella giusta, provate a pensare a me, una ragazza come tutte, che ha solo il modo di pensare un pò diverso, che non ha neanche potuto scegliere. La mia strada ha per caso incontrato quella del bullismo ed ora è tortuoso, buio, pericoloso. Io non ho avuto scelta, avevo una strada difficilissima, l’ho percorsa e sono comunque sempre andata avanti, anche se a volte non volevo più. Quando dovrete scegliere, pensate a me. Spero che vi ricordiate questo racconto per sempre, perché è importante. E quando voi sarete belli comodi nei vostri letti la sera tardi, pensate a me e a tutte le altre vittime di bullismo che in quel momento stanno lottando, lottando contro le loro paure, contro il loro passato. Ed a volte persone mi chiedono com’è questa lotta senza fine, cosa succede dentro di me. Io dico sempre che è come camminare in un tunnel buio buio, vedere finalmente una luce infondo ed abbassare velocemente la testa per paura che sia un treno. È questa la lotta senza fine.
Posted on: Sat, 02 Nov 2013 16:36:54 +0000

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