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TAVOLO sugli SPAZI DELLA CITTA’ Mai come in questi anni di recessione economica, il recupero degli spazi inutilizzati è un pezzo importante di risposta all’emergenza abitativa, alla mancanza di spazi sociali e culturali, alla negazione del diritto allo studio, alla precarietà e alla cementificazione dei territori. Affidamenti, requisizioni, convenzioni, acquisizioni in uso: queste sono le strade per rigenerare il patrimonio inutilizzato - pubblico e privato – e per restituirlo alla cittadinanza. Ma non solo. Bisogna predisporre strumenti che superino il modello di trasformazioni decise dall’alto, mettendo a punto nuove forme partecipate di gestione degli spazi e di innovazione amministrativa. Nel tavolo Spazi della città proporremo l’organizzazione di una campagna sul riuso degli spazi in dismissione, per riprenderci il patrimonio comune che i Comuni volgiono svendere e privatizzare e per condividere buone pratiche sulla rigenerazione degli spazi e sulle politiche abitative. Il tavolo discuterà del contenuto di documenti di indirizzo, interrogazioni e delibere per la rigenerazione del patrimonio immobiliare abbandonato pubblico e privato, per l’emergenza abitativa e per l’uso pubblico delle caserme e delle aree militari in dismissione nell’ambito delle opportunità offerte dal federalismo demaniale. A cura di Repubblica Romana e Sinistra per Roma Indice dei documenti 1) Bozza delibera per rigenerazione del patrimonio pubblico e privato abbandonato 2) Interrogazione su procedura di trasferimento di beni demaniali 3) Demanio militare: delibera comunale per il censimento e il riuso delle aree militari in dismissione 4) Bozza di lavoro sulle politiche abitative 1) Bozza delibera per rigenerazione del patrimonio pubblico e privato abbandonato Premesso che: • Per effetto delle progressive e reiterate trasformazioni urbane, siano esse esito di pianificazioni o meno, interi fabbricati o parti di essi vengono svuotati dalle loro attività, creando nei tessuti consolidati sensibili distorsioni edilizie, nelle volumetrie come nelle destinazioni, in ordine alla sottrazione di spazi precedentemente utilizzati, che, disperdendo via via la loro funzione originaria, risultano tanto residuali quanto inservibili; • Si tratta di stabili di diverse tipologie e di diversa fonte proprietaria: caserme e forti, teatri e sale cinematografiche, scuole e ospedali, magazzini, mercati, depositi, rimesse, impianti sportivi, centrali di servizi vari, stabilimenti industriali, volumi abitativi e/o commerciali, ecc.; • I suddetti fabbricati accantonati, quali che siano le ragioni del loro abbandono, quali che siano le loro condizioni strutturali, comunque in prevalenza degradate, rappresentano ormai un elemento morfologico tanto rilevante quanto deprivante, che connota il paesaggio urbano non certo in maniera edificante; • Al riguardo tende a crescere nella cittadinanza un sentimento di disappunto, oltreché un riflesso risentito, nel constatarne il mancato utilizzo, considerato uno spreco inammissibile, soprattutto in presenza di diffuse esigenze sociali che in tali spazi inutilizzati potrebbero trovare piena soddisfazione, attraverso la creazione di servizi d’ogni genere, sociali, culturali, sportive, ecc., così come di occasioni per attivare risorse ed energie finalizzate allo sviluppo economico, all’acquisizione di reddito e alla produzione di lavoro. Osservato che: • Il riprodursi di tale fenomeno di residualità immobiliare, traendo origine dal mutare delle esigenze del ciclo produttivo/riproduttivo, che sempre più tende a contrarre le volumetrie a esso necessario, o anche a trasferirle in ambiti più convenienti, si colloca nel più generale contesto dell’attuale modello economico, che considera le risorse patrimoniali al pari di qualsiasi altro bene, e cioè valutabili secondo i soli valori di mercato: principio ormai vigente anche laddove trattasi di proprietà pubbliche; • Deriva da tale principio l’esplicito intendimento di sfruttare il patrimonio dismesso e/o inutilizzato in termini di valorizzazione immobiliare, comprensiva, se necessarie, di varianti urbanistiche, attraverso processi di compravendita e successive sanatorie e/o riconversioni edilizie; • Al contrario, si va estendendo una sensibilità popolare sulla salvaguardia di beni considerati comuni, che contrasta tale tendenza di natura puramente commerciale – una sensibilità che ha avuto la sua vistosa manifestazione nella celebrazione del referendum sull’acqua pubblica nella primavera del 2011 – una tendenza accumulatoria, se non proprio speculativa, contro cui si rivendica pertanto la possibilità di un diverso utilizzo del patrimonio edilizio, svincolato dalle dinamiche di mercato, al fine di svilupparvi attività collettive, civiche o sociali che siano. • S’intuisce che si è di fronte non soltanto a un contenzioso funzionale, ma a un più in generale contrasto politico tra spinte private ed esigenze pubbliche, che peraltro non raramente origina vertenze e conflitti su scala urbana e territoriale, attraverso ripetute e sempre più diffuse occupazioni di stabili, con le relative richieste di sgombero, a volte attuate anche con esecrabile asprezza. Considerato che: • Il contesto economico in cui si sviluppano le contraddizioni succitate tende a determinare condizioni politiche che sempre più difficilmente permettono agli organi decisionali di svolgere il proprio ruolo di terzietà tra interessi e bisogni, al punto da escludere qualsiasi prerogativa d’indirizzo urbanistico in attrito con le convenienze economiche delle proprietà immobiliari; • Tale ostacolo ai poteri istituzionali di esercitare la propria funzione d’indirizzo politico si manifesta anche laddove la titolarità patrimoniale dei beni dismessi riguarda le stesse amministrazioni pubbliche, sempre più inclini a comportamenti non dissimili da quelli utilizzati dagli attori privati; • La progressiva spoliazione delle prerogative istituzionali in materia di gestione del patrimonio deriva soprattutto dal più generale orientamento politico, sviluppatosi nell’ultimo scorcio storico, di rinunciare a esercitare alcun ruolo pubblico nell’economia di mercato, sostanziato in particolare dalle ripetute manovre finanziarie in coerenza con le leggi di stabilità economica attualmente vigenti, frutto di accordi politici su scala continentale; • Per effetto di tali determinazioni tutte le amministrazioni pubbliche sono dunque chiamate, in alcuni casi obbligate, a recedere dalla titolarità di possedere beni e svolgere servizi, e anzi a eseguire le necessarie dismissioni attraverso processi di alienazione e messa all’incanto; • In difformità da quanto esposto, la vigente normativa consente ai Comuni di procedere in autonomia nella gestione del proprio patrimonio immobiliare, così come, a determinate condizioni, nell’uso e nella destinazione di quello privato, si ritiene di esercitare tali prerogative al fine di soddisfare le esigenze sociali, culturali ed economiche della cittadinanza, riservando a tale scopo la quota di edilizia dismessa che si renderà necessaria, attraverso procedure che qui di seguito vengono stabilite. Patrimonio immobiliare pubblico 1). Ai sensi del Regolamento di contabilità dello Stato (Rd 2240/23, articolo 3, comma 1) e in conformità con la corrente normativa sulla concorrenza e sulla trasparenza, anche di diritto comunitario, la procedura di assegnazione a privati di un bene pubblico prevede atti di evidenza pubblica. In quest’ambito ordinario, individuati quei beni suscettibili di riconversione per scopi sociali, si dispone la pubblicazione di bandi per l’attribuzione degli immobili selezionati in uso gratuito, in cambio di specifiche utilità di natura sociale, culturale, economica, ecc. Bandi che, con tutta evidenza, devono contenere una scala di criteri coerenti con le finalità di offerta di servizi collettivi e premianti verso realtà, rigorosamente no-profit, di comprovata esperienza nella gestione dei servizi suddetti. Esperita la procedura di bando, nell’atto concessorio conseguente l’amministrazione stipula una convenzione con il soggetto vincitore, in cui vengono stabiliti in maniera dettagliata i contenuti dell’offerta e le modalità di controllo sull’efficacia e qualità degli stessi. 2). In sostituzione delle procedure d’evidenza pubblica, o quanto meno in attesa che si perfezionino, nei casi in cui si ritiene indispensabile la riconversione per usi comunitari del proprio patrimonio, o di parti di esso, si ricorre all’emissione di un’ordinanza sindacale urgente e contingibile, ai sensi degli artt. 50 e 54 del Tuel (Dl. 267/00). Tale dispositivo, che rientra nelle facoltà del sindaco, può consentire ad adeguati e riconoscibili soggetti terzi l’uso provvisorio del bene immobiliare individuato, in cambio delle funzioni di custodia e guardiania del bene stesso. Nonostante veda limitata nel tempo la sua efficacia, e comunque nelle more della predisposizione di apposito bando, permette tuttavia d’intervenire positivamente in quelle circostanze che richiedono l’immediatezza nell’avvio delle attività di valorizzazione comunitaria. Consente cioè all’amministrazione di corrispondere all’obbligo di conservazione del proprio patrimonio, laddove giaccia in condizioni estremamente degradate, di deperimento fisico e dunque di de-valorizzazione del bene. Fino a creare rischi per la salute e la sicurezza della cittadinanza. Patrimonio immobiliare privato In base alla fonte di diritto primario rappresentata dalla Costituzione, i limiti alla proprietà privata appaiono chiari e, ai fini della presente deliberazione, assolutamente decisivi. All’articolo 41, secondo il quale “l’iniziativa economica è libera, ma non può essere in contrasto con l’utilità sociale”, ovvero “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”; e all’articolo 42, che non riconosce le garanzie sul diritto proprietario, laddove non “assicura lo scopo della funzione sociale”. Siamo di fronte a principi giuridici in stretta connessione con i casi di svuotamento delle attività che non raramente si riscontrano nella nostra città, dove sono sempre più frequenti processi di dismissione produttiva che lasciano in abbandono consistenti volumetrie, che tali cronicamente restano per lungo tempo. Non sfugge che in alcuni casi di chiusure o delocalizzazioni produttive si nascondano scopi accumulatori e speculativi, e comunque non giustificabili da crisi finanziarie o insuperabili difficoltà di competizione sul mercato, talché configurino quella devianza costituzionale sulla manchevolezza di “utilità sociale”. In questi casi, laddove si evidenzino le necessità di riconversione in senso comunitario, l’amministrazione comunale dispone di strumenti giuridici e istituzionali in grado di acquisire l’uso o il possesso dei suddetti stabilimenti abbandonati, al fine di consentire a soggetti terzi di svolgervi attività produttive in continuità con la destinazione preesistente, così come attivare servizi sociali e culturali. Si può dunque procedere all’acquisizione al patrimonio comunale attraverso l’istituto dell’esproprio, oppure, con modalità più diretta, con un’ordinanza di requisizione. Prerogative entrambe garantite dai precetti giuridici costituzionali sulle autonomie locali, per i sindaci in particolare, confortate a più riprese da recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 1556 del 16/10/07 e seguenti). 2) Interrogazione su procedura di trasferimento di beni demaniali PREMESSO che la legge 5 maggio 2009, n. 42 recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale e pubblicata nella G. U. il 6 maggio 2009, n. 103, ha dato attuazione all’articolo 119, comma 6, Cost., secondo cui i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato; che il decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 recante la disciplina in materia di attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, ha dato attuazione dellarticolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, regolando così il cd. federalismo demaniale; che l’art. 56 bis del Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 comma 1, legge 9 agosto 2013, n. 98, pubblicato nella G. U. del 21 giugno 2013 n. 144 S.O. ha semplificato la procedura di trasferimento di beni demaniali agli enti locali; CONSIDERATO che ai sensi della suddetta previsione normativa le domande di attribuzione devono essere proposte dagli enti locali all’Agenzia del Demanio entro il 30 novembre 2013; che ai sensi dell’art. 2 comma 4 del d. lgs. n. 85/2010 ciascun ente può indire forme di consultazione popolare, in base alle norme dei rispettivi statuti; SI CHIEDE - Di conoscere quali immobili potrebbero essere trasferiti dal demanio statale al patrimonio della Città di --; - Di conoscere quali sono le intenzioni della Giunta rispetto alla procedura di trasferimento e le eventuali ragioni per le quali la domanda non è stata presentata; - Di indire immediatamente una procedura di consultazione ai sensi dell’art. 2 comma 4 del d. lgs. n. 85/2010 per verificare la sussistenza di un interesse del territorio all’attribuzione del bene I Consiglieri Comunali 3) Demanio militare: delibera comunale per il censimento e il riuso delle aree militari in dismissione La Giunta del Comune di -- PREMESSO che la crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha diffuso impoverimento e disoccupazione, ponendo all’ordine del giorno il problema della povertà materiali, e indebolito il sistema di welfare, con la conseguente esplosione dell’emergenza abitativa e dell’aumento degli sfratti per morosità e la dilagante disoccupazione giovanile, a cui si accompagna, d’altra parte, per chi entra nel mondo del lavoro, l’isolamento professionale; che, di conseguenza, occorre trovare risposte rapide ed efficaci all’emergenza abitativa, le quali non si risolvano nell’edificazione di nuove case per l’edilizia pubblica, soluzione assai costosa che comporterebbe l’ulteriore consumo di territorio; che, allo stesso modo, occorre sostenere attraverso l’assegnazione di spazi e luoghi fisici quei giovani intenzionati ad esercitare in modo indipendente la propria professione e ad attivare percorsi lavorativi innovativi in grado di creare sviluppo locale ed esperienze di mutualismo, recuperando e promuovendo anche le attività artigianali; che la Città non può fare a meno di spazi culturali, artistici e di socialità che consentano alle tante associazioni presenti sul territorio di promuovere le proprie attività, aprendo spazi di aggregazione, di confronto e di produzione di sapere a vantaggio di tutta la collettività; che lo smantellamento del welfare studentesco richiede un piano di intervento per garantire agli studenti il diritto allo studio, provvedendo a servizi essenziali quali la fornitura di posti letto e la ristorazione; CONSIDERATO che diversi immobili appartenenti al patrimonio immobiliare pubblico ed in particolare al demanio militare, tra cui caserme, alloggi, depositi, risultano oggi abbandonati a seguito del mutamento delle esigenze difensive nazionali e dell’organizzazione del personale militare e sono soggetti all’incuria e al degrado; che la legge 5 maggio 2009, n. 42 recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale e pubblicata nella G. U. il 6 maggio 2009, n. 103, ha dato attuazione all’articolo 119, comma 6, della Costituzione, secondo cui i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato; che il decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 recante la disciplina in materia di attribuzione a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio, ha dato attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, regolando così il cd. federalismo demaniale; che l’art. 56 bis del Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 comma 1, legge 9 agosto 2013, n. 98, pubblicato nella G. U. del 21 giugno 2013 n. 144 S.O. ha semplificato la procedura di trasferimento di beni demaniali agli enti locali; che, ai sensi dell’art. 13 del vigente testo unico sull’ordinamento dei Comuni e delle Province, il Comune ha competenza generale per quanto concerne “tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione del territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”; che, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, i Comuni hanno poteri regolamentari “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”; DELIBERA 1) di censire gli edifici pubblici abbandonati ed inutilizzati presenti sul territorio comunale, compresi i complessi che appartengono al demanio militare e verificarne le condizioni; 2) di costituire una commissione partecipata anche dai cittadini per la valorizzazione in senso sociale, culturale ed ecologico dei beni immobili trasferibili al patrimonio dell’ente, ferma restando la possibilità di ricorrere alla procedura di consultazione di cui all’art. 2, comma 4, del d. lgs. n. 85/2010; 3) di richiedere all’Agenzia del Demanio l’attribuzione di questi edifici da destinare ad uso diretto o indiretto della collettività; 4) di coinvolgere nel procedimento le circoscrizioni del decentramento comunale, in maniera tale da attuare una riconversione di questi spazi non soltanto ecologica, ma anche funzionale alle reali esigenze del territorio, e le associazioni e i gruppi anche non formalmente costituiti attivi sul territorio. 3) Bozza di lavoro sulle politiche abitative Case senza gente e gente senza casa La questione abitativa è un paradosso interamente creato dal libero mercato. In Italia vi sono grosso modo 29 milioni di abitazioni, di cui quasi 5 milioni non utilizzate, e 25 milioni di famiglie (Censimento 2011). In totale le unità immobiliari sono 67 milioni, più di una per ogni abitante. Pur tenendo conto che la distribuzione di abitazioni e famiglie non corrisponde del tutto (seconde case, alloggi in paesi spopolati, ecc.) appare evidente che in Italia esistono già sufficienti vani costruiti per accogliere l’intera popolazione. Perché allora il problema del diritto alla casa si ripropone costantemente? Sempre secondo l’Istat i senza casa nel 2011 ammontavano a 72.000 famiglie, il triplo di dieci anni prima. La bolla immobiliare Negli ultimi 30 anni il valore delle abitazioni a valori correnti è raddoppiato (+70% negli ultimi 10 anni). (Banca d’Itlaia), mentre il costo di costruzione è cresciuto solo del 40%. Gli affitti sono aumentati del 30% negli ultimi 10 anni a fronte di una inflazione del 23%. Si è cioè creata una bolla immobiliare sostenuta dalla domanda di case creata dalla mancanza di alloggi a basso prezzo (pubblici o privati). La crisi attuale, che ha fatto crollare il mercato immobiliare, ne è la conseguenza: non ci sono più persone in grado di pagare i prezzi richiesti, con conseguente crollo dell’industria edilizia e disoccupazione, oltre alla creazione di una patrimonio enorme di alloggi costruiti e invenduti e allo spreco di suolo conseguente. Le politiche di liberalizzazione E’ infatti da 20 anni che sostanzialmente non si costruiscono più case popolari. Gli ultimi provvedimenti per l’edilizia pubblica risalgono agli inizi degli anni ’80, la scelta è stata quella di affidare al mercato la risposta alla domanda di alloggi. Il mercato degli affitti è stato liberalizzato nel 1998, con l‘abolizione dell’equo canone. Nello stesso periodo si è tolto l’obbligo agli enti previdenziali e assicurativi di investire in alloggi, facendo venire meno quella che era una sorta di social housing italiana. L’assenza di case popolari o/o ad affitto accessibile ha costretto tutti quanti potevano all’acquisto spingendo così i prezzi in alto. L’alto costo dei mutui e il credit crunch ha chiuso anche questo. Ciò non è una semplice conseguenza di politiche sbagliate, ma una scelta. Sin dal dopoguerra la Democrazia Cristiana ha puntato sulla diffusione della casa in proprietà come fattore di stabilizzazione del proprio blocco sociale. Il corollario è che le case popolari si sono fatte solo in situazioni di emergenza o sotto la spinta di forti movimenti di lotta come lo sciopero generale per la casa del 1969, che ha generato il piano decennale per la casa e l’equo canone. Confronto Europa Negli altri paesi europei si è seguita un’altra strada: In Francia una legge obbliga alla costruzione di case popolari per il 20% della edilizia residenziale. In Germania il governo stanzia 500 milioni l’anno per la costruzione di case popolari. Gli sfratti e i pignoramenti Vengono convalidati circa 70.000 sfratti all’anno, di cui l’80% per morosità. Quasi 30.000 sono eseguiti dalla forza pubblica. Il restate sono per finita locazione spesso in questi casi richiesti da persone che, non potendo accedere al mercato delle abitazioni libere, hanno dovuto comprare case abitate. In questi casi ogni sfratto è una duplice tragedia, per chi ha comprato, magari indebitandosi e non può abitare e chi Ma la crisi attacca anche chi ha pensato di potersi comprare una casa. Nel 2012 sono aumentati del 20% i pignoramenti per non pagamento del mutuo con 46.000 famiglie colpite. L’Adusbef stima in 350.000 le persone a rischio insolvenza. La povertà La questione abitativa non è solo conseguenza della povertà (disoccupazione, cassa integrazione, riduzione degli stipendi, sono causa di morosità o di impossibilità di accesso al mercato), ma è anche uno dei principali fattori di povertà.(la quota di reddito che anche chi ha casa deve destinare all’affitto o al mutuo è crescente). Secondo la Caritas il costo delle case è il principale fattore di povertà, insieme alla disoccupazione. L’immigrazione Una parte consistente della domanda di case popolari è costituita oggi da lavoratori immigrati che essendo frequentemente in condizione di precarietà abitativa e non avendo alle spalle risparmi familiari hanno particolare difficoltà nell’accesso al mercato. La questione abitativa quindi non riguarda solo una fascia marginale di poveri, in gran parte immigrati, come si vorrebbe far credere, ma riguarda circa 10 milioni di famiglie che non hanno casa, sono strozzate da affitti e mutui, o non possono permettersi alloggi adeguati (convivenze, alloggi troppo piccoli, alloggi inadeguati). La questione abitativa oggi La questione abitativa si pone quindi oggi essenzialmente come questione di controllo del mercato e di utilizzo del patrimonio esistente. E si deve basare innanzi tutto sulla ripresa dell’iniziativa pubblica. E’ importante ricordare che l’aumento dell’offerta di case a canone sociale non serve solo per dare casa alle fasce più povere, ma ha un effetto anche sul mercato inducendo una riduzione degli affitti per tutti. E’ inoltre importante ricordare che un intervento adeguato sulla casa, volta a ridurre sostanzialmente la quota di reddito assorbita dalla rendita, avrebbe effetti sistemici importanti sulla povertà e sulla stessa economia. Le basi costituzionali di tali politiche sono negli articoli 42 e 43 della Costituzione. Sarebbero necessarie politiche che 1. Obblighino a mettere sul mercato le case vuote, 2. Regolamentino il costo degli affitti, 3. Riducano i valori immobiliari 4. Mettano gli enti locali nelle condizioni di poter utilizzare gli immobili vuoti (pubblici e privati) a fini abitativi. Gran parte di queste politiche non sono nei poteri degli enti locali, ma alcune sì. I comuni non possono obbligare ad affittare, ma possono utilizzare la leva fiscale per spingere in questa direzione. In questo senso la prossima attuazione della service tax potrebbe essere una occasione da utilizzare. I comuni non possono regolamentare gli affitti, ma possono utilizzare le previsioni della legge sulla cedolare secca per ridurre i canoni degli alloggi affittati in nero (ricavando contemporaneamente entrate dall’evasione fiscale). I comuni non possono ridurre i valori immobiliari, ma possono utilizzare il piano regolatore per ottenere un effetto di contenimento della rendita urbana. Infine i comuni possono utilizzare lo strumento della requisizione delle case sfitte, anche se in particolari circostanze. Si può pensare a una iniziativa basata su due punti: Programma pluriennale di recupero a fini abitativi del patrimonio edilizio esistente (piano di edilizia economica e popolare sul costruito) Per soddisfare il bisogno di offerta di alloggi a basso costo non è necessario (e non è desiderabile) un consumo ulteriore di suolo. La proposta di recupero dell’esistente si intreccia con l’idea più generale di riappropriazione del patrimonio inutilizzato come bene comune (vedi le riflessioni della iniziativa napoletana sui beni comuni, la proposta di uso pubblico delle caserme dismesse, la proposta di recupero del patrimonio e affidamento a realtà sociali). Il programma dovrebbe prevedere - la ricognizione del patrimonio inutilizzato esistente (pubblico e privato - abitativo e non abitativo). Patrimonio pubblico. Il federalismo demaniale è una occasione da sfruttare. Il patrimonio dello stato è in corso di cessione ai comuni, che non ne stanno approfittando. (Vedi caserme dismesse, ma non solo). Patrimonio degli Enti previdenziali. La legge 61/89 prevedeva l’obbligo per gli enti previdenziali di segnalare mensilmente e mettere a disposizione dei comuni il patrimonio abitativo disponibile. La disposizione è caduta in disuso, ma non risulta essere stata mai abrogata. Occorrerebbe verificarne la vigenza. Patrimonio privato sfitto e invenduto. Il censimento autogestito potrebbe essere la forma di iniziativa - un piano partecipato di utilizzo per individuare le destinazioni non abitative - un programma di recupero che utilizzi diversi strumenti: Varianti di piano regolatore per i cambi di destinazione necessari Politiche fiscali di tassazione dello sfitto Requisizione e acquisizione a costo di costruzione degli alloggi invenduti. Assegnazione a cooperative di auto recupero. - finanziamento con imposta di scopo Una iniziativa immediata di graduazione degli sfratti e per il passaggio da casa a casa attraverso la requisizione di alloggi sfitti: La legge di riforma dell’IMU permette la costituzione di commissioni graduazione sfratti, misure di accompagnamento, ma nessun comune lo sta facendo. La nostra richiesta dovrebbe essere quella di - istituire la commissione di graduazione - Utilizzo dei poteri del Sindaco in qualità di ufficiale sanitario per assicurare il passaggio da casa a casa, in mancanza di altre disponibilità, attraverso la requisizione degli alloggi vuoti Riportiamo a questo proposito il commento dell’Unione Inquilini Il decreto sull’IMU contiene la seguente norma: 5. È istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei Comuni ad alta tensione abitativa che abbiano avviato, entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, bandi o altre procedure amministrative per lerogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delleconomia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le risorse assegnate al Fondo di cui al primo periodo sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con il medesimo decreto sono stabiliti i criteri e le priorità da rispettare nei provvedimenti comunali che definiscono le condizioni di morosità incolpevole che consentono laccesso ai contributi. Le risorse di cui al presente comma sono assegnate prioritariamente alle regioni che abbiano emanato norme per la riduzione del disagio abitativo che prevedono percorsi di accompagnamento sociale per i soggetti sottoposti a sfratto anche attraverso organismi comunali. A tal fine le prefetture-uffici territoriali del Governo adottano misure di graduazione programmata dellintervento della forza pubblica nellesecuzione dei provvedimenti di sfratto. Al di là della irrisorietà della cifra stanziata come si evince dal testo si evince chiaramente, si stabiliscono due azioni coordinate: da un lato, le Regioni debbono approvare norme per la riduzione del disagio abitativo che prevedano percorsi di accompagnamento sociale...anche attraverso organismi comunali; dallaltro, i Prefetti adottano misure di graduazione programmata della forza pubblica nellesecuzione dei provvedimenti di sfratto. Le due azioni, quella delle azioni di accompagnamento sociale e quella delle misure di graduazione sono tra loro connesse dallespressione a tal fine che pone, quindi, un nesso di causalità tra lazione di rilascio e lo svolgimento del percorso di accompagnamento sociale. Una coerente applicazione di queste norme consente la costituzione di commissioni di graduazione degli sfratti a livello comunale che permettano di mettere in relazione i suddetti percorsi di accompagnamento sociale con leventuale azione di rilascio. Si pongono, cioè, le basi, anche giuridiche, per richiedere che lo sfratto venga eseguito alla fine di un percorso che individui una soluzione alternativa per il nucleo familiare coinvolto. Uno sviluppo, del tutto compatibile e coerente con le norme approvate, è la richiesta di interventi di requisizione degli alloggi sfitti e/o delle residenze degli inquilini morosi incolpevoli, fino al momento in cui i percorsi di accompagnamento sociale hanno sortito leffetto di trovare una soluzione alloggiativa alternativa. In pratica, abbiamo unarma in più da utilizzare al fine di fornire uno sbocco politico ai picchetti anti sfratto: comuni e prefetti non possono più dirci che non possono intervenire in quanto ormai la legge affida ad essi una specifica responsabilità Vorremmo fosse chiaro a tutte le compagne e i compagni che questo testo, approvato alla Camera dei Deputati, subito dopo la giornata sfratti zero del 10 ottobre e prima della manifestazione del 19 ottobre e divenuto legge il 24 ottobre, è una nostra conquista, osteggiata con molta forza dalla Confedilizia e dalle altre associazioni della proprietà. Non possiamo pensare, però, a una automatica e coerente applicazione nei territori di quanto ora previsto, sia per le resistenze e pigrizie sedimentate, sia perché sicuramente le controparti interverranno pesantemente. E assolutamente necessaria, pertanto, una gestione di movimento della nuova normativa. E chiaro, infine, che questa iniziativa dal basso non è per nulla in contraddizione con la richiesta del blocco generalizzato di tutti gli sfratti, compresa la morosità incolpevole, che continuiamo a chiedere con grande forza a governo e parlamento in questo scorcio di fine anno (come è noto lattuale proroga, limitata alla finita locazione scade il 31 dicembre). Anzi, liniziativa territoriale e la conquista, sulla base delle nuove norme approvate, di moratorie territoriali aiutano il risultato di una sospensione generalizzata che, allo stato attuale, visti lorientamento del governo e della maggioranza parlamentare, sembra preclusa.
Posted on: Tue, 26 Nov 2013 08:36:22 +0000

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