TRAGEROTIKON (ovvero le mirabolanti avventure di Giovanni - TopicsExpress



          

TRAGEROTIKON (ovvero le mirabolanti avventure di Giovanni inghiottito da un buco nero e finito nel passato) di Giovanni S. Prima che il fluire incoercibile della vita possa dissipare i ricordi, attenuare le emozioni o ingannare l’intelletto, ho deciso di mettere per iscritto la cronistoria della straordinaria avventura capitatami. Senza nulla omettere, farò una descrizione fedele delle incredibili peripezie, dei pericoli, delle mille tentazioni, delle fughe, degli inseguimenti, che mi hanno accompagnato ininterrottamente. Errabondo crononauta per imperscrutabile destino, affiderò quindi il mio manoscritto al mare del tempo, auspicando che un giorno esso riesca a farmi ricordare, finendo tra le mani di un lettore del futuro... o del passato. CAPITOLO 1 “Q uattordici teraelettronvolt! Ti giuro, ho la pelle d’oca: oggi è il giorno più bello della mia vita!” “Uhm, che idea del cavolo trascinarmi a Ginevra proprio il mercoledì di coppa e farmi perdere la partita dell’Inter. E tutto per assistere alla riedizione dello stupidissimo Big Bang. Tra l’altro è già successo quindici miliardi di anni fa e sappiamo pure come è andata a finire.” “E no, caro mio, per arrivare a riprodurre l’attimo esatto, o solamente il tempo di Plank, il periodo più breve che si può immaginare: un miliardesimo di un trilionesimo di un trilionesimo di un trilionesimo di secondo dopo il Big Bang, ce ne vuole ancora! Il Large Hadron Collider consentirà di ruotare le lancette dell’orologio all’indietro solo fino a un decimiliardesimo di secondo dall’origine dell’universo!” “E che ce ne frega a noi quello che è successo a quell’epoca! Non era neppure iniziato il campionato di calcio!” “Se smettessi di orgasmare alla vista di ventidue ragazzotti in mutande che corrono come disperati dietro a una palla, e t’interessassi un po’ di più a questi sublimi problemi cosmologici, potresti anche migliorare, sai! E per inciso all’Epoca della Grande Unificazione, o GUT, le forze forti, deboli ed elettromagnetiche erano unite in un’unica forza indistinguibile, e l’universo stava attraversando una rapida espansione. Le increspature dello spazio-tempo che si stava creando sono state prodotte proprio in quest’epoca di inflazione cosmica!” “Gut... mi arrendo! E andiamo a vedere questo cacchio d’esperimento. Chissà, magari al CERN hanno pure un televisore...” Mi trovavo a bordo della vettura del mio amico, il commercialista Anselmo Lomartire – io da tempo non guidavo più, troppo stress -, a meno di un chilometro ormai dagli edifici del laboratorio europeo per le ricerche nucleari, in una piccola foresta, nelle immediate adiacenze di Ginevra. L’ingrato, anziché rallegrarsi per il fatto che, facendo salti mortali, ero riuscito a procurarmi un invito che ci avrebbe consentito di presenziare a quel fondamentale test scientifico, per tutta la durata del viaggio non aveva fatto altro che rinfacciarmi di avergli fatto perdere, a sua detta, ‘la madre di tutte le partite’. “Una galleria di ventisette chilometri, seimila ricercatori, cinque miliardi di euro!” andavo declamando, con enfasi. “Queste cifre non ti procurano tutto un rimescolio?” “Veramente mi scappa da pisciare”, rispose quello spudorato. “Ci dobbiamo proprio fermare.” “Ma guarda che stronzo! Un iconoclasta scientifico, ecco quello che sei!” sbottai. “Eppoi ormai siamo quasi arrivati. Non puoi resistere?” “Uhm... credo proprio di no. Non temere, nessuno saprà mai che ho svuotato la vescica proprio nell’ingresso del ‘tuo’ superacceleratore LHC.” Mentre scuotevo mestamente la testa, accostò al ciglio della strada. “Cercati un albero e sbrigati!” gli gridai, guardandomi, preoccupato, in giro. Dispettoso, si mise a girovagare con calma alla ricerca della pianta adatta a ricevere la sua funzione corporale. “Porca putt... questo mi fa perdere il discorso introduttivo del direttore generale!” imprecai, scendendo a mia volta dalla vettura, deciso a sveltirgli l’inopportuna impellenza fisiologica. Nel frattempo il disgraziato si era talmente inoltrato nella boscaglia, fino a sparire alla mia vista. “Ah, pure tu qui!” mi accolse, serafico, quando finalmente riuscii a trovarlo. “Natura imprimit, eh...” “Cos’è, un improvviso attacco di pudore!” strillai, con gli occhi fuori dalle orbite. “Adesso hai bisogno di rifugiarti nel cuore della giungla per una pisciatina!” “‘Giungla’, puoi ben dirlo. Sembra quasi di essere sul set di Jurassic Park”, ripeté quell’anima pura, chiudendosi lo zip dei pantaloni. “Strano, non pensavo che in Svizzera potessero crescere piante tropicali come queste.” “Uhm, hai ragione”, convenni, perplesso. “In effetti non dovrebbero proprio essercene.” “Bah, sarà stato il calore sviluppato da questo mostruoso acceleratore mangiasoldi a farle nascere”, sentenziò, convinto. “Ma se non è stato ancora acceso. L’inaugurazione è proprio oggi. Hai già dimenticato? E poi è a cento metri sotto terra”, obiettai, detergendomi un copioso sudore. “Però devo riconoscere che, per essere dicembre, qua si muore di caldo.” “Cazzo!” gridò Anselmo, mentre un’anacronistica silhouette attraversava in volo planato la nostra visuale. “Cos’era?” “Non è possibile!” esclamai, smarrito. “M’è sembrato uno di quegli uccelli... un Archaeopteryx.” “Ma... ma... ma non dovrebbe essere estinto da tanto tempo?” balbettò il mio terrorizzato amico. “Viveva nel Giurassico, da duecentoquattro a centotrenta milioni di anni fa, insieme ai dinosauri”, confermai, sempre più confuso. “Miseria ladra, che stanno combinando i ‘tuoi’ scienziati del CERN? Perché non rientriamo a Milano? Magari ci fermiamo in qualche autogrill e riesco ancora a vedere la partita.” “Ma certo, gli scienziati!” proruppi, emettendo un sospiro di sollievo. “Che buontemponi! Per un attimo erano quasi riusciti a impaurirmi. Ci scommetto che anche questa rigogliosa vegetazione tropicale è artificiale... anche se in verità sembra maledettamente vera.” “Che stronzi! Giuro, non piscerò più nella loro foresta!” “Dai, cacasotto, andiamo alla macchina, fra dieci minuti è prevista la cerimonia inaugurale e subito dopo ci sarà il tanto atteso test”, declamai, dando un’occhiata veloce all’Hublot. “Oh, si è fermato!” “Bizzarro... anche il mio orologio non dà segni di vita”, disse Anselmo, che mi trotterellava accanto. “Strano, non mi sembrava che ci fossimo spinti così addentro nel bosco”, articolai intanto, con una certa qual preoccupazione. “Cazzarola, a me non pare neanche che siamo passati di qua”, aggiunse il sempre più tremebondo commercialista. Improvvisamente la fitta boscaglia si diradò e, mentre anche le gigantesche felci e gli equiseti sparivano, sbucammo in un pianoro punteggiato solo da qualche rada conifera. “Mannaggia a te!” sbraitai, mentre, disorientato, lasciavo vagare lo sguardo tutt’attorno. “Ma chi me l’ha fatto fare di portarmi appresso uno debole di reni, e per giunta interista! Ci siamo persi come polli a meno di un chilometro dal laboratorio europeo per le ricerche nucleari!” “Veramente io non ci volevo venire, sei stato tu a costringermi ad accompagnarti. E, come tutti gli esseri umani normali, ogni tanto devo pisciare”, replicò il tapino, offeso. “Quanto all’Inter, è la migliore squadra del mon... Gesù santissimo, guarda laggiù!” “Cacchio, questo è ancora meglio dell’Archaeopteryx!” formulai, imbambolato. “Un dinosauro... ma dove siamo capitati? Presto, scappiamo prima che si accorga di noi!” “Che allocco! Ma non hai ancora capito che pure questo è un modello, un automa, sia pur sofisticatissimo, creato da quei mattacchioni degli scienziati del CERN?” lo rimbrottai, faceto. “E, per inciso, questo robot è la copia fedele del Carcharodontosaurus, un sauropode ancora più massiccio del Tyrannosaurus: ottanta-novanta tonnellate.” “Però fa impressione lo stesso”, continuò quel pusillanime, che si era aggrappato al mio braccio e mi stava pure sgualcendo il paltò. “Sì, ai bambini e a qualche commercialista naif... stà a vedere”, replicai, espirando, rassegnato. Quindi, con incommensurabile magnanimità, uscii allo scoperto e cominciai a chiamarlo con decisione. “Vieni qua, bel cucciolone!” “Ma... che fai!” si strozzò Anselmo che, se non avesse svuotato soltanto da pochissimi minuti la vescica, se la sarebbe fatta sicuramente addosso. Il dinosauro intanto, girata la testa sgraziata nella nostra direzione, prese a venirci incontro con aria bellicosa; senza però emettere quei barriti terrificanti che si sentivano nei film. “Meraviglioso, si è accorto di noi!” esclamai. “I cibernetici devono averlo dotato di sofisticati recettori sensibili a luce e rumori. Chissà se riesce a percepire pure il nostro odore?” “‘Meraviglioso’ un cazzo! Scappiamo, non ci tengo proprio a scoprire se quello possiede anche gli organi del gusto!” “Ehm... già, forse è meglio”, mi trovai costretto a convenire, visto che il Carcharodontosaurus ormai caracollava, deciso, mostrando intenzioni non proprio pacifiche. C’infilammo precipitosamente nella foresta tropicale. “Oh porca... ci sta seguendo anche in mezzo agli alberi! Guarda come li appiattisce come fuscelli!” strillò Lomartire che, per correre più veloce, si era prontamente disfatto del cappotto. Io, sentendomi responsabile dell’integrità fisica del mio più caro amico… facevo da battistrada. “Cazzarola, ma sono piante vere!” esclamai, in affanno, mentre uno spaventoso presentimento cominciava a farsi largo. Correvamo come matti, ma la distanza tra noi e quel bestione andava scemando inesorabilmente. “Oh Dio, la piantagione si sta diradando!” gridò Anselmo. “Questo non ci voleva...” ansimai, col cuore che mi scoppiava. “Così perdiamo pure quel poco di protezione offertaci dagli alberi, che fino a ora almeno in parte l’avevano fatto rallentare.” “Madonnina!” strillò istericamente il commercialista, arrestandosi appena in tempo sull’orlo di un baratro. “Siamo fottuti!” “Presto, c’è un corso d’acqua laggiù, salta!” urlai a mia volta. “Sei pazzo, saranno trenta metri!” inorridì il meschino, lo sguardo spiritato. “Vuoi essere mangiato dal dinosauro?” sbraitai, iniziando a spogliarmi con frenesia. “Come, non era finto? I recettori...?” piagnucolò quello, che ormai era solo la larva del mio amico. “Pensa all’Inter!” proruppi e, abbracciandolo, saltai nel vuoto. CAPITOLO 2 “M a dove cazzo siamo?” esclamai, tastandomi per vedere se ero ancora tutt’intero. “Anche tu non sei bagnato?” “Asciuttissimo... beh, se si eccettua il fatto che mi sono cacato addosso”, rispose Anselmo. “Non dovremmo essere nel fiume?” “No! Non è possibile!” declamai, sbigottito, mentre l’unica spiegazione possibile balzava, chiara, al mio intelletto. “Che... che c’è, delle altre bestie?” “Dio! Dio! Dio!” ripetei, come un mantra. “Ti senti male?” “Gesù, Giuseppe e Maria...” recitai, mentre un sorriso da putto s’irradiava sul mio viso. “Ehm... crisi mistica?” balbettò Lomartire, perplesso. “O terque quaterque beati!” eruppi, ieratico. “Questo è improvvisamente impazzito... troppi stress”, prese a disperarsi quello spirito semplice. “Non temere per la mia sanità mentale, diletto sodale, oggi è il giorno più bello della mia vita. Sono felice. Il re è nudo!” declamai. “Eeeh... sei sicuro di stare bene?” “Se ti sforzassi di mettere a fuoco, di usare una volta tanto quella tua inane, bacata testa di cazzo, capiresti che siamo finiti nel passato!” spiegai, benevolo. “Ma che stai dicendo!” scattò, guardandomi con sospetto. “Non mi sembra il caso di scherzare.” “Secondo la relatività generale di Einstein, scoperta circa mezzo secolo fa, viaggiare nel passato è possibile”, affermai, con risolutezza. “Evidentemente gli scienziati devono aver acceso il superacceleratore anzitempo, ed è successo l’imponderabile: come già paventato da alcuni, si è creato un buco nero. Questo dev’essere collegato attraverso un wormhole, un tunnel nell’iperspazio, a un buco bianco, e noi ci siamo finiti semplicemente dentro.” “‘Semplicemente’... ma stai dicendo sul serio? Non farnetichi?” “Puoi esserne certo, fausto crononauta, e la cosa più interessante per noi è che siamo incappati in un cunicolo temporale privo di singolarità e di forze di marea, altrimenti a quest’ora saremmo già morti”, continuai a discettare, ignorando la sua proterva suspicione. “Madonna mia!” “Crisi mistica?” “Ma vaffa! E potremo tornare a casa... nel nostro tempo, dico?” “Uhm, per permettere viaggi nei due sensi, il collegamento tra le due regioni dello spazio-tempo curvo quadri-dimensionale dovrebbe essere stabile, costantemente aperto e privo di orizzonti degli eventi alle estremità, un wormhole ad hoc, insomma.” “Allora non c’è più speranza? Nessuno ci potrà salvare?” “Non ho detto questo. Per ottenere un wormhole macroscopico intrauniversale attraversabile a comando bisognerebbe manipolare lo spazio-tempo di Lorentz”, risposi, compito. “Se hai pazienza, magari gli scienziati ci arriveranno... tra diecimila anni. Quello che non posso assicurarti, invece, è se la tua squadra del cuore ci sarà ancora.” “Madre santissima, scaraventati nell’era dei dinosauri! Finiremo sicuramente mangiati!” cominciò a disperarsi quello. “Per questo puoi stare tranquillo, mentre precipitavamo verso il sottostante corso d’acqua, per sfuggire al mostro, dobbiamo avere intercettato un altro cunicolo spazio-temporale e chissà dove siamo finiti adesso”, mi premurai di rassicurarlo. “Ecco perché il paesaggio è improvvisamente cambiato e non siamo bagnati.” “Posso stare tranquillo? Dio mio, sono in compagnia di un pazzo!” gemette, pigliandosi la testa tra le mani. “Su, non ti abbattere, siamo entrambi figli unici, orfani, non siamo ammogliati e non abbiamo figli. Certo, gli amici ci piangeranno un po’, non capacitandosi di come possiamo essere spariti senza lasciar traccia, ma pensa al raro privilegio che stiamo avendo: per quello che ne sappiamo, siamo gli unici esseri umani a poter vivere di persona la straordinaria avventura del proprio passato. Ci adatteremo. Con la nostra superiore intelligenza, che milioni di anni di evoluzione ci hanno regalato, sconfiggeremo ogni avversità. Anzi, sai che ti dico, le sofisticate conoscenze e capacità di cui disponiamo ci consentiranno di asservire facilmente le popolazioni che andremo via via incontrando. Saremo gli indiscussi e riveriti capi. Verremo eletti re, imperatori. Avremo gloria, onori, donne. Cambieremo la storia!” “Eh già, e allora i libri perché non parlano di noi?” replicò Anselmo, leggermente meno preoccupato. “Ah, il paradosso del nonno!” esclamai, con giubilo. “Se torno indietro nel tempo e ammazzo mio nonno prima che incontri mia nonna, mia madre non sarà mai messa al mondo, di conseguenza nemmeno io. Ma se io non fossi mai nato, mio nonno non potrebbe essere stato ucciso da me, e quindi io sarei nato, ma allora avrei potuto ucciderlo... ecco il paradosso! “Cavolo, mi stai facendo girare la testa... allora niente cambiamento della storia?” “Beh, ci sono vari modi per aggirare i paradossi, se non vogliamo scomodare gli universi paralleli. In ogni caso, visto che siamo tornati indietro nel tempo, significa necessariamente che opereremo in modo che le cose vadano come sono andate, creando le ragioni per cui siamo finiti nel passato.” “Basta! Sia quello che sia, ti credo!” ansimò il commercialista. “Brrr, non fosse stato per quella brutta bestia, si stava meglio nell’altro tempo, qua si muore di freddo.” “Tu almeno hai ancora i pantaloni, io sono in canottiera e mutande!” replicai, guardando con concupiscenza i suoi calzoni. “Si può fare”, disse quello, sussiegoso. “Se mi dai la maglietta...” “Affare fatto!” mi precipitai a rispondere, aiutandolo con sollecitudine a calarsi le brache. Ci trovavamo in mezzo a una regione stepposa cinta da una catena di montagne; doveva essere il pomeriggio inoltrato e la temperatura era proprio rigida. “Certo che abbiamo fatto un bel progresso”, iniziò a lamentarsi Anselmo, avvolgendosi (?) nella mia canottiera. “Non moriremo mangiati dal dinosauro, ma di freddo.” “Uuuh, che menagramo! Muoviamoci, vedrai che qualcosa per coprirci troveremo di sicuro.” “Guarda, dei pastori... siamo salvi! Presto, andiamo a chiedere se ci vendono qualcuna delle loro pelli!” vociò Lomartire e, come un naufrago che avvista la terraferma, si avviò di corsa loro incontro. “E come gliele paghi, hai dimenticato che nella fretta di disfarci degli abiti, abbiamo buttato pure i portafogli?” gli gridai dietro. “A parte che magari siamo in Siberia nel milletrecento.” “Fai fare a me. Hai la fortuna di avere con te un esperto di rapporti economici e commerciali”, si girò appena a rispondermi. “E poi, come tutte le persone semplici, quelli saranno sicuramente dotati di carità cristiana.” Mentre mi rallegravo della felice idea che avevo avuto di portarmi appresso un essere così talentuoso – veramente era stato l’unico amico ad aver ceduto dopo più di un mese d’insistenze, e con la promessa di biglietti omaggio nel settore vip di San Siro, per tutto il ritorno del campionato -, quello aveva raggiunto il capannello degli infagottati individui. Mi accorsi subito che qualcosa non doveva essere andato secondo i piani. “Non sono pastori”, articolò, con un filo di voce, non appena gli fui accanto. “Presto, fai qualcosa, mi stanno guardando male, e quello mi ha fregato pure la canottiera e le mutande.” “Quella... non vedi che è femmina”, risposi, contemplando, strabiliato, gli ancor più impauriti ominidi. “Che spettacolo! Ma lo sai che abbiamo davanti dei Neandertaliani in carne e ossa!” “Sì, proprio orripilante”, replicò il commercialista, che cercava disperatamente di coprirsi le vergogna. “Cristo, sono mostruosi, deformi!” “Non parlare così dei tuoi trisavoli!” lo rampognai. “E poi perché tutta questa paura? Non vedi che la tua morosa ti fissa con concupiscenza?” “Dio, non lasciarmi solo con la troglodita!” fece quello, provando a nascondersi dietro di me. “E va bè, le dirò che sei già fidanzato”, replicai, iniziando a elargire sorrisi a destra e a manca. “Ehm, parlez-vous français? No, eh...? Mmmh, credo proprio che dovrai sacrificarti.” “Non fare lo stronzo!” guaì Lomartire. “Prova a ripeterglielo in tedesco. Se non sbaglio Neanderthal era una valle della Germania occidentale, nella Ruhr, presso Düsseldorf.” “Già, e magari ci facciamo una bella discussione! Vedo che il terrore ti ha ottenebrato il cervello!” replicai, spazientito. “Hai dimenticato il piccolissimo particolare che adesso siamo nel paleolitico medio, fra il settantamila e il trentacinquemila avanti Cristo? Questi cavernicoli avranno un linguaggio prevalentemente gestuale, con limitati e incomprensibili fonemi. Sarà tanto se riusciremo a far loro intendere che abbiamo intenzioni pacifiche.” “E la nostra superiore intelligenza, allora? Le sofisticate conoscenze e capacità non dovevano consentirci di asservire facilmente tutti quelli che avremmo incontrato?” “Il tuo sarcasmo è fuori luogo”, risposi, impettito. “Riuscire a stabilire un contatto immediato con l’Homo sapiens Neanderthalensis avrebbe messo in difficoltà qualunque scienziato.” “D’accordo, mi cospargo il capo di cenere, ma se non ci procuriamo al più presto delle pellicce calde come le loro, moriremo nel gelo di questa tundra schifosa!” “E’ una steppa”, ci tenni a specificare. “E fa freddo perché dobbiamo essere capitati proprio nel cuore della glaciazione Würm. Ce n’avremo, secolo in più, secolo in meno, per circa sessantamila anni.” “Dio...” gemette Lomartire. Intanto gli ominidi ci giravano attorno, esaminandoci con curiosità. La spasimante di Anselmo addirittura continuava a palparlo, non celando le sue turpi velleità. A un certo punto uno del gruppo, quello che sembrava il capo, emise una specie di risata, subito scimmiottato da tutti gli altri esponenti. In breve fu uno sbellicarsi generale. Visto il naturale sconcerto, lanciai un tacito sguardo al mio compagno e, provando a emularli, mi misi a sghignazzare pure io come un folle. La cosa dovette piacere loro – almeno era quello che speravamo -, perché, senza neanche perdere tempo a invitarci, presici con risolutezza per mano, ci tirarono dietro. “Dove ci stanno portando?” balbettò il commercialista, che non era tenuto dalla sua bella (?) propriamente per la mano. “Probabilmente nella loro tana”, risposi, intanto che cercavo di appiccicarmi il più possibile alla pelliccia che cingeva il mio nuovo amico troglodita. “Sempre meglio che morire di freddo qua fuori.” “Non sono cannibali... vero?” “Uhm, vorrei tanto poterti dire di no, ma non mi sentirei apposto con la mia coscienza a falsificare una verità scientifica”, risposi, contrito. “Sembra ormai definitivamente assodato che la dieta neanderthaliana possa comprendere carne dei propri simili.” “Aaah!” Fu l’unico suono emesso dal raggrinzito Lomartire. “Attento. Non si sa però se sia una forma normale di alimentazione, o se una pratica rituale, o l’ultima risorsa nei duri inverni glaciali”, aggiunsi, coscienzioso. “Speriamo abbiano torto Alban Defleur e Tim White. Questi, studiando a fondo le ossa umane trovate nella grotta di Moula-Guercy, hanno dedotto che l’antropofagia i Neandertaliani l’esplicavano anche in condizioni normali.” “Spe... ria... mo”, biascicò il commercialista. “Non ti abbattere così presto, chissà, forse per te c’è in serbo un destino migliore, aggiunsi, cercando di confortare il ‘promesso sposo’. “Magari non sono dei trogloditi belluini. D’altronde dai resti fossili pare che siano dotati di una grande capacità lavorativa e abbiano incominciato a costruire capanne per i propri insediamenti e ad accumulare beni. Conoscono l’uso del fuoco; lavorano la pietra per produrre attrezzi denticolati e coltelli, e addirittura sembra che inizino a seppellire i loro morti.” Intanto, dopo un paio di chilometri fatti ad andatura sostenuta, ormai vicini all’assideramento, quando non ci speravano più, avevamo raggiunto le prime propaggini della catena di montagne. Un fuoco ardeva vicino all’imboccatura di un’apertura rocciosa. Sempre seguendo i nostri accompagnatori, entrammo nella grotta, che era illuminata da tanti altri focherelli. Una moltitudine di cavernicoli era indaffarata nelle più svariate mansioni: c’era chi arrostiva pezzi di carne, chi, armato di chopper, rompeva ossa e ne estraeva il midollo; alcuni ripulivano le pelli con rudimentali raschiatoi per farsene vestiti, altri fabbricavano punte di selce. Tutti arrestarono immediatamente le proprie attività, mentre sui loro visi comparivano le più svariate espressioni. Certi si ritirarono negli angoli più bui, impauriti; altri, resi più audaci dalla curiosità, invece avanzarono verso di noi; taluni si mostrarono estremamente aggressivi. “Buongiorno!” esordii, stampandomi sul viso il miglior sorriso. “Come va? Io sono Giovanni e lui... ehm, il fidanzato della vostra amica, è Anselmo. Veniamo in pace.” Successe senza alcun preavviso, messa repentinamente da parte tutta la dignità di cui potevano essere capaci degli ominidi del paleolitico, reagirono con la stessa ilarità esibita prima dai compagni. In breve fu il pandemonio. Alcuni addirittura si rotolavano per terra. “Ma perché gli facciamo quest’effetto?” mormorò il commercialista, che adesso era pure avvilito. “E che ne so io; magari è perché si sono trovati davanti un tifoso dell’Inter.” “Veramente si sono scompisciati dalle risate ogni volta che tu hai aperto bocca”, si piccò di replicare quello, che non aveva colto l’ironia. “Forse invece hanno pensato che potessi parteggiare per il Milan.” “Uhm... comunque meglio così; se ci trovano buffi, magari non ci cucinano per cena”, rimarcai, senza raccogliere la vile insinuazione. A poco a poco il demenziale cachismo andò spegnendosi e, con una sorta di rudimentale linguaggio fatto di suoni disarticolati, quelli che prima ci avevano scortato, si rivolsero agli altri, indicandoci a gesti. “Stanno raccontando ai compagni come ci hanno incontrato”, dissi, intanto che, spinti dall’impellente bisogno di calore, ci eravamo addossati il più possibile al focolare dove un cavernicolo stava preparando i suoi manicaretti. “Uuuh, che buon profumino! Non tocco cibo da duecento milioni di anni!” “Credi che ne daranno pure a noi? Non ho mai mangiato bistecca di dinosauro.” “Continui a dimenticare che siamo finiti in un’altra era geologica. Per nostra fortuna saurischi e ornitischi sono scomparsi quasi improvvisamente alla fine del mesozoico, all’incirca sessantacinque milioni di anni fa. Le succulente paillard, che questo trisavolo di Gualtiero Marchesi sta meticolosamente portando a cottura, saranno di mammut o di mastodonte, o di qualche altra bestia più piccola. Purtroppo non vedo in giro nessun menù scritto.” Quasi avesse ascoltato i nostri discorsi, la procace foemina Neanderthalensis, che smaniava per il mio amico interista, prese direttamente da quel rustico focolare un pezzo di carne e, dopo averlo squartato con i denti, lo spinse con decisione nella bocca dell’inebetito commercialista. “Su, mangia! Non avrai mica intenzione di sputarlo!” lo esortai. “A parte farmi fare cattiva figura, rischi che non ti sposi più.” Il disgraziato cominciò a masticare, strettamente controllato dalla compiaciuta creatura. “Che fortunato! Sono sicuro che questa... ehm, donzella (?) alleverà con amore la nidiata di marmocchi che ti sfornerà”, recitai, mentre mi beavo di quella vista. “Io invece sarà proprio il caso che resti scapolo, troppi amori nell’altro tempo.” Intanto, indirizzato allo ‘chef’ uno sguardo compiaciuto e uno sfarfallio di mano alla Ollio, m’impossessai a mia volta di una bella costata. Terminato il trogloditico pasto – avevamo ricevuto anche due calde pellicce -, fummo scortati verso la ‘camera degli ospiti’. Ci rassicurammo a vicenda, rifiutandoci categoricamente di pensare potesse trattarsi di una prigione. Non erano passati due secondi da quando il nostro valletto-carceriere si era allontanato, abbandonandoci in un budello oscuro, che Lomartire, rinnegando vigliaccamente la propria posizione, prese a disperarsi. “Siamo rovinati! Schiavi per l’eternità di questi mostri schifosi! E io con quella cavernicola ninfomane mi beccherò pure l’AIDS!” “Noooah, sei sempre il solito pusillanime, il retrovirus HIV è comparso negli USA all’inizio degli anni ottanta del ventesimo secolo. Non temere, al massimo la tua fidanzata ti trasmetterà la sifilide, la gonorrea, il linfogranuloma venereo, l’ulcera molle, qualche ectoparassitosi.” “Non devo temere, eh... Dio del cielo, io con te nel passato non ci vengo più!” “Su, non fare il bambino, proveremo a scappare. Non se ne accorgeranno neppure, e anche se fosse, se ne guarderanno bene dal seguirci. Elementare, ‘Watson’!”. “Eeeh...?” “Ma sì, Sherlock Holmes: Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, La maledizione dei Baskerville!” “Che c’entra Sir Arthur Conan Doyle con le nostre disgrazie?” “Uhm, vedo che ti manca l’acume del buon dottore. Ascolta questo fine connaisseur dell’anima umana. Orbene, mio novizio discepolo, non saremo inseguiti acciocchè tutti gli uomini primitivi sono terrorizzati dalle tenebre. Diligenti osservatori di ogni minimo fenomeno naturale, sanno bene che di notte escono tutti i più feroci predatori.” “E noi...? Già, dimenticavo, noi abbiamo la nostra superiore intelligenza.” “Vuoi restare qui a beccarti l’AIDS, allora?” sbuffai, stizzito. “Ma avevi detto che è spuntato solo...” “Uuuh!” ululai, allo stremo della pazienza. “Seguimi!” Brancoloni, cominciammo a inoltrarci nelle viscere della montagna. Il buio era completo e il suolo scivoloso. Dopo mezz’ora che arrancavamo penosamente in salita, dalla profondità del cunicolo iniziò a filtrare un tenue lucore. Moltiplicammo gli sforzi. Pochi minuti più tardi eravamo all’aria aperta, sotto l’argentea fosforescenza selenica. “Spero non ti sia sentito sminuito, ‘Watson’, se ti ho fatto utilizzare l’uscita secondaria”, articolai, sussiegoso, rassettandomi con meticolosità il sobrio vello. “E ridagli!” sbuffò Anselmo che, mi accorsi, dell’Homo Neanderthalensis in quelle poche ore stava assumendo le sembianze. “Su, non perdere tempo ad aggiustarti quella schifezza pelosa, scappiamo!” “Guarda che con un buon sarto questa mi diventa una signora pelliccia”, eccepii, risentito. “E poi ormai che premura c’è? Hai già dimenticato la mia lapalissiana deduzione sul modus vivendi delle comunità trogloditiche?” Abbandonato quindi il contrafforte roccioso, ci incamminammo con calma nella steppa, Ci eravamo allontanati di neppure un centinaio di metri, quando un tramestio di passi affrettati, seguiti da urla belluine, ci portò a girarci indietro. “Oh, porca... i trogloditi!” esclamai, con sgomento. “E in testa, se non sbaglio c’è la ‘sposa tradita’!” “Connaisseur dei miei coglioni!” gemette Lomartire, e, con una prontezza di riflessi che non gli conoscevo, schizzò via, veloce come il fulmine. “Ehm, la psicologia non è una scienza esatta come la fisica!” gli gridai dietro, mentre scappavo anch’io a razzo. “Comunque uno di questi millenni, giuro, farò le mie rimostranze all’antropologo autore dell’articolo sui popoli primitivi!” CAPITOLO 3 “P erchè ti sei fermato?” “E che ne so io”, rispose Anselmo, tirandosi al petto il pannolone di pelliccia fantozziano. “E tu allora?” “Non stiamo neppure ansimando”, osservai, perplesso. “E adesso è giorno”, formulò il commercialista. “Vuoi vedere...?” “Dici che di nuovo…?” “Non vedi che anche il panorama è cambiato. Sì, siamo stati risucchiati in un’altra epoca.” “Mio Dio, ma come è possibile? Non ci fermeremo mai?” “Che è, hai nostalgia della tua bella? Su, vediamo di scoprire dove siamo finiti questa volta”, aggiunsi, ‘caricato’ dalla nuova avventura che stavamo per intraprendere. “Evidentemente siamo stati, come dire... contaminati in qualche modo dall’esperimento del CERN, e siamo divenuti ‘instabili’, condannati a continui, imprevedibili, salti nel tempo. D’altronde sui wormhole ancora si sa pochissimo. Addirittura una grossa fetta di fisici ritiene si tratti di mere elucubrazioni mentali, becera fantascienza.” Ci muovevamo su una zona collinare. In lontananza vedevamo splendidi scorci di mare. I fiori selvatici screziavano di mille colori il poggio, e numerosi rigagnoli ruscellavano tra peri selvatici e pistacchi. “Sembra proprio che stavolta ci sia andata bene”, esclamai, con giubilo, inspirando a pieni polmoni quell’aria ricca d’inebrianti effluvi. “A giudicare dalla temperatura, dovremmo essere in primavera, se non addirittura in estate.” “Uhm, escludendo le brutte bestie, aspetterei di conoscere qualche esponente della razza a due gambe che vive da queste parti, prima”, mugugnò il commercialista. “Certo che non sei mai contento; ti porto a zonzo per lo spazio-tempo, e tu trovi sempre da ridire.” “Tante grazie, ma, anche se incasinata, io preferivo la mia epoca. Là almeno c’era l’Inter.” “Li mortacci...!” “Beh, pure se non sei tifoso della più grande squadra di calcio del mondo, non mi sembra il caso di offendere”, reagì quello, facendo il broncio. “Ma non mi riferivo a Massimo Moratti & Co., ciuco! Guarda lì!” proruppi, rimirando, incantato, l’immagine celestiale di una giovinetta.” Minuta, elegante, dai lunghi capelli neri che mandavano riflessi viola, la fanciulla era seduta accanto a una rupe dalla quale zampillava una fresca sorgente, ai margini di un boschetto di meli. Indossava una lunga tunica virginale senza maniche, fermata da due fibule di madreperla, e un prezioso rettangolo di stoffa ricamata, che le drappeggiava morbidamente le spalle; un nastro decorato le cingeva i capelli a mo’ di coroncina. Cantava, con aria assorta, e si accompagnava con uno strumento a corde che sembrava una lira. “Ma chi è?” articolò Anselmo, che mi aveva pure sopravanzato. “Ssst...” mormorai, spostandolo decisamente dietro di me. “Nascondiamoci, non facciamole paura.” “Oh, bella, e perché si dovrebbe spaventare?” replicò quella testa di mulo, provando di nuovo a scavalcarmi. “Ma ti sei visto, cazzo! Con questa pelliccia di scimmia che ti cinge i lombi... ehm, le ascelle, fai sembrare Fantozzi un adone!” gli sibilai, incavolato, riuscendo in ogni caso a tirarmelo dietro una grossa quercia. “Tra l’altro tu eri già brutto prima.” “Uhm, sarai bello tu!” brontolò Lomartire, iniziando a spazzolarsi la vezzosa toilette. “Dev’essere greco... greco antico, o un dialetto che ci assomiglia”, sussurrai, intanto che mi sforzavo di afferrare il senso di quel carme melico. “Fortuna che sono sempre stato appassionato di filologia e linguistica.” “Ah, questo sì, diamo a Cesare quello che è di Cesare, tu con la lingua hai sempre dato il meglio di te. Sin dalla nascita con quell’organo hai avuto un rapporto privilegiato.” “Par’ e moi... uhm... ‘accanto a me’“, tradussi, ignorando il sarcasmo dell’infame, e non distogliendo un solo istante gli occhi da quella silfide creatura. “Kai pothēo Kai maomai”, continuò la ragazza, mentre il vortice erotico raggiungeva il parossismo. “E desidero e bramo”, ripetei, soggiogato dallo straordinario pathos. “Sì, perdio, questo è dialetto eolico! La poietria della lirica monodica!” “Ma che diavolo vai cianciando, linguaiolo?” interloquì Anselmo. “Traduci per un povero commercialista ignorante.” “Iòplok àghna mellikhòmeide Sàpfoi!” declamai, ieratico. “E va bè, se non me lo dici tu chi è quella ragazza, andrò a chiederlo direttamente a lei.” “Ma la più grande poetessa di tutti i tempi, insipiente individuo!” l’aggredii. “‘Viola, divina, che ridi dolce come il miele, Saffo’. Così l’ha descritta Alceo, un cantore a lei contemporaneo.” “La lesbica? Allora siamo in Grecia...” “Saffo non è omosessuale! O perlomeno la sua inclinazione erotica per le fanciulle non la fa lesbica secondo la nostra accezione del termine! A Eros in questo tempo non si guarda col maligno pregiudizio del peccato! L’omoerotismo è un fatto consueto nella cultura antica, e la sua pratica è intesa come modo di essere della naturale ricerca del piacere, che ne viene anche sublimata!” “D’accordo, d’accordo, non ti accalorare. E che non ti vengano strani pensieri, perché io non voglio sublimare niente.” “Uhm... nei paraggi ci dev’essere sicuramente il tempio di Afrodite, che è il luogo dove per adesso vive. Secondo le tradizioni la sua nobile famiglia ve l’ha mandata sin da quando aveva dodici anni, per essere formata e seguire il cursus sacerdotale”, rimuginai, ignorando le abiette insinuazioni di quel pervertito. “Maledizione, avrà dovuto pronunciare il voto di castità!” “E che ti frega, tanto è lesb...” “Ti ho già detto che è stata demonizzata dall’umana malizia!” sbottai, trattenendomi a stento dal pigliarlo a calci in culo. “E più che per i suoi comportamenti sessuali, per aver rivendicato, e per di più donna, libertà di scelta!” “Beh, visto che in qualche modo capisci la sua lingua, chiedile allora di scrivere una poesia su di noi. Così magari qualche scienziato del futuro più lontano scoprirà la nostra triste situazione e verrà a salvarci.” “Sei improvvisamente impazzito! Non si può cambiare il corso degli eventi storici. Hai dimenticato i paradossi? Rischieremmo, chissà, di fare implodere l’intero cosmo.” “Ma tu avevi parlato di universi paralleli. Magari ci sdoppiamo in un altro mondo...” “Non se ne parla. Non voglio essere ricordato come quello che ha causato il Big Crunch!” “E chi mai si dovrebbe rammentare di te, se tutto quanto finisce in una grande frittata?” “Ehm... d’accordo, ti prometto che studierò il problema; però adesso c’è una questione ben più importante che urge immediata soluzione: dobbiamo assolutamente riuscire a introdurci nel tempio.” “E perché? Mica dobbiamo farci frati.” “A parte che è dedicato alla dea Afrodite, e siamo nel settimo secolo avanti Cristo”, sospirai, alzando gli occhi al cielo. “E allora?” “E’ tramontata la luna con le Pleiadi, la notte è al mezzo, il tempo trascorre e io dormo sola... ho parlato in sogno con Afrodite... ma fino a quando dovrò restare vergine?” “Eeeh?” “Pothōi...” “Ma che ti piglia? Mi fai paura!” “Philēsō...” “Madonna del Carmine, questo non ha retto allo shock! Troppi viaggi ravvicinati!” “Il desiderio... io ti amerò”, recitai, dandogli un affettuoso buffetto. “Sciocco, Saffo vive lì dentro e mi aspetta da sempre.” “Decisamente ti ha dato di volta il cervello!” prese a strillare senza ritegno. “Quella è lesbica! Lesbica! Lesbica! Checché tu ne dica! E poi non hai appena detto che non si deve in alcun modo alterare il corso degli eventi storici?” “Sì... la seguiremo per scoprire dove si trova il tempio, e poi entreremo, camuffati da donna!” esclamai, senza prestargli la benchè minima attenzione. “Ruberemo dei vestiti in qualche casolare qua attorno.” “Dio, questo vuol farmi concludere l’onorata carriera di commercialista nelle carceri greche!” cominciò subito a disperarsi Anselmo. “Vedrai che troveremo qualche giovane pulzella anche per te, benevolo amico”, recitai, intenerito, invero senza partirmi dal mio stato di beatitudine. “‘Vorrei dirti qualcosa, ma me lo impedisce la vergogna...’“. “Ma vai a cacare!” scandì di rimando quello, in pieno collasso nervoso, la voce alterata, gli occhi leggermente estroflessi. “A me invece l’ha agevolato la tua coglionaggine!” Per fortuna le contumelie che il mio irrispettoso amico continuava ad abbaiarmi contro, a voce poi non troppo velata, non avevano destato l’attenzione della poetessa che, allontanato il plettro dalle corde della sua lira e raccolte leggiadramente le vesti, si alzò e prese a incamminarsi per un ascoso sentierino. Insieme a un recalcitrante Lomartire, mi misi tosto dietro. Attraversata una valle lussureggiante, fitta di malvoni rosa, la stradina ombreggiata dai fiori prese ad arrampicarsi per un’erta collina. Il tempio di Afrodite era sito sulla sommità dell’altura; attorniato da pini e ginepri; in un luogo d’incanto dal quale si godeva un bellissimo panorama sul mare e, in lontananza, su quelle che potevano essere le coste della Turchia. Saffo ne varcò, rapida, l’ingresso, e sparì alla nostra vista. Caddi subitaneamente in ginocchio. “Eros ha squassato il mio cuore, come raffica che irrompe sulle querce montane...” “Oh, cazzo, ci risiamo!” “Fermati, mio caro, e dispiega la grazia che posa sui tuoi occhi... ho intenzione d’amarti fino a che in me ci sia respiro... avvicinati dunque e dimmelo...” “Ma pussa via, brutto pervertito!” fece quello, addossandosi repentinamente a un tronco d’albero. “Stolto, mi riferivo al mio amore, e stavo declamando alcuni brani dei suoi carmi”, dissi, alzandomi ora che l’improvvido aveva distrutto il pathos. “E d’ora in poi avvertimi prima di cadere in deliquio; non ci tengo proprio a viaggiare nel tempo con un culattone”, insistette, squadrandomi, non del tutto tranquillo. “Sai, il più delle volte l’omofobia è collegata a omosessualità latente”, spiegai, evasivo. “Già, la tua inconscia inclinazione verso lo stesso sesso dev’essere riconducibile alla fase anale... anche se alla base ci potrebbe sempre stare una causa biologica...” “Ma che stai dicendo?” balbettò Anselmo, mostrando una certa preoccupazione. “Uhm, sì, decisamente è inclusa in un più ampio quadro patologico. Però adesso non ho tempo per sottoporti a una seduta psicoanalitica; vieni, dobbiamo trovare i vestiti da donna... magari il travestimento acquieterà le pulsioni e i bisogni istintivi del tuo Es, e aiuterà l’Io a razionalizzarli e adattarli alla realtà insieme ai divieti e alle imposizioni moralistiche che gli giungono dal Super-Io.” Con un Lomartire divenuto improvvisamente meditabondo, e per buona sorte – mia – del tutto taciturno, mi avviai verso valle. Il poggio degradava dolcemente fino a un pianoro erboso. Dopo quasi un’ora di meticolosa ricerca, alla fine la scorgemmo: una costruzione in pietra, squadrata, a ridosso di un frondoso e solitario platano. “Ci siamo, quel filo di fumo indica senza ombra di dubbio che la casa non è abbandonata!” esclamai, trionfante. “Vai a vedere chi ci abita.” “Iooo...?” rispose il mio nevrotico amico, incrociando freudianamente le braccia sul petto. “Certo, sei o no il commercialista della spedizione?” “Sped... ma di quale spedizione parli? E poi mica devo insegnare a quella gente come pagare l’IVA!” “Guarda che le fobie in genere sono un sintomo accessorio di gravi psicopatologie”, mi sentii in dovere di allertarlo. “Eludendo la situazione che ingenera la reazione fobica, rischieresti di aggravare lo stato dei processi mentali, già seriamente compromessi da quell’altro tuo problemino.” “Basta, vado”, pronunciò, stremato. Per affrettare la sua partenza, gli diedi una leggera spintarella. Tornò dieci minuti più tardi, ansimante e col pellicciotto a brandelli. “Un cane maligno deve avermi scambiato per un orso e non mi voleva più lasciare andare”, ansimò, controllandosi gli stinchi. “Povero caro! Quali gioie può avere la vita, se le togli le amicizie?” lo accolsi, indulgente. “Povero caro, un cazzo, le gambe sono mie!” replicò Anselmo, che stentava a riprendere il giusto ritmo della respirazione. “E per adesso io ho conosciuto solo dolori!” “E, fidus Achates, hai dianzi assolto il tuo compito?” “Ma come cacchio parli! A te le rime della lesb... di quella là ti hanno dato alla testa! Uhm, dentro quel cesso di casa ci abita una donna, almeno per quello che ho potuto intravedere dall’uscio socchiuso.” “Bene, bene! E com’era? Dico, di corporatura... simile a noi? Sai, per i suoi vestiti che dovremo indossare.” “Sì, baffi compresi!” replicò il commercialista, che cercava disperatamente di coprire le sue ignudità, adesso bellamente (?) in risalto. “Io sono glabro come un putto. Io!” rimarcai, storcendo il naso. “Già, perché io allora? A meno che anche il complemento pilifero per me non sia una pulsione inconscia...” “Andiamo, ‘Sigmund’, busseremo all’uscio e chiederemo alla donna un tozzo di pane. Tanto, così combinati, passeremo facilmente per due mendicanti. Dirò che tu sei sordomuto... e anche un po’ scemo.”
Posted on: Thu, 11 Jul 2013 17:43:07 +0000

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