UN RACCONTO ASTRONOMICO Il fiocco di neve di Vincenzo - TopicsExpress



          

UN RACCONTO ASTRONOMICO Il fiocco di neve di Vincenzo Zappalà Può darsi che un semplice gesto di rispetto e tenerezza sia sufficiente a contrastare le più terribili catastrofi. Forse però è tutto un sogno, un attimo, un fiocco di neve. Cominciò nel 2130 e non si seppe mai la causa. Forse il periodo lunghissimo di attività solare praticamente nulla: in trent’anni soltanto un paio di macchie e niente più. O forse la cometa Sumaki-Sorensen che avvolse la Terra con la sua coda di polvere nel 2128 e fece brillare le notti di un chiarore diffuso e spettrale. O forse l’esplosione di quella supergigante nel 2097, non più lontana di 20 anni luce, che si vide per giorni e giorni nel cielo diurno. Anche se nessuno se ne accorse, a parte gli scienziati, il suo flusso di particelle investì il Sistema Solare in modo estremamente violento. Probabilmente ognuna di queste cause giocò un ruolo fondamentale nell’innescare sulla Terra un cambiamento climatico mai conosciuto in precedenza nei suoi quattro miliardi e mezzo di anni di esistenza. Il pianeta aveva già subito periodi glaciali lunghi ed estremi, ma niente di paragonabile a quello che iniziò nel 2130. Non furono tanto la caduta della temperatura e l’aumento dei ghiacci a caratterizzare l’inizio di quel tragico periodo. No, non fece mai tanto freddo e nemmeno i ghiacciai si estesero a vista d’occhio. La vera novità e assurdità del fenomeno fu la caduta della neve e le peculiarità di questa. Cominciò a nevicare in basso, nelle pianure, indipendentemente dalla latitudine. La temperatura si era regolarizzata intorno a zero gradi centigradi e le nuvole basse e compatte coprivano l’intero globo, stracariche di umidità. Bastava salire intorno ai 500-1000 metri d’altezza e il fenomeno cessava, forse per la temperatura troppo bassa, ma soprattutto per l’assenza quasi totale di nuvole. Queste ultime erano nere e lugubri come mai viste in precedenza, un sudario che avvolgeva la maggior parte della civiltà terrestre. La neve iniziò a cadere con ritmo continuo e violento, accompagnata da raffiche di vento superiori ai 150 chilometri l’ora. Lo stupore e la momentanea gioia che colpì i paesi equatoriali e tropicali si contrapposero fin da subito al terrore che investì le zone più a nord e a sud. La neve continuava a scendere e a ricoprire impietosamente campi coltivati, strade, città, villaggi. Dopo solo quattro giorni l’altezza aveva raggiunto più di tre metri e la circolazione delle autovetture, dei treni e degli aerei s’interruppe senza possibilità di alcun intervento. Nemmeno le navi potevano essere usate, in quanto il vento creava onde spaventose in tutti gli oceani del pianeta. Chi non scappò subito verso le alture si trovò bloccato senza via d’uscita nelle zone pianeggianti e nelle grandi metropoli. Quando la neve raggiunse il livello dei tetti dei palazzi di tre o quattro piani, cominciò un’ecatombe senza uguali nella storia dell’umanità. Si moriva congelati, sommersi da metri di neve, senza riuscire ad aprire le finestre di casa. Inutile parlare di soccorsi. Tutto era fermo e silenzioso come nella fiaba della Bella Addormentata nel Bosco, ma senza speranza di ritornare in vita con un bel bacio del principe azzurro. L’essere umano sopravviveva alla meglio nelle zone più elevate. Tuttavia chi aveva cercato di raggiungerle era per la maggior parte morto lungo le strade dove il bianco manto nevoso aveva sepolto le automobili sotto tonnellate di neve soffice e candida. Ma le caratteristiche climatologiche non avevano ancora espresso del tutto la loro peculiarità. Col passare del tempo il livello delle nevicate cominciò a innalzarsi e le nuvole a raggiungere prima i duemila e poi i tremila metri. Anche in montagna la coperta bianca iniziò a sollevarsi e a ricoprire prati, boschi, rocce e villaggi. Benché più preparati alle inclemenze dell’inverno, gli abitanti non riuscirono a fronteggiare quella inaspettata e sconvolgente nevicata. Quattro, cinque metri di neve caddero su tutte le zone montuose di media altezza, mentre ormai le pianure erano sotterrate da decine di metri di quella soffice e mortale coperta. Lentamente le nuvole si alzarono, senza mostrare la benché minima riduzione nell’intensità dei candidi fiocchi. Quando gli altopiani del Cile e del Perù cominciarono a vedere le prime nubi nere sollevarsi e ricoprirli quasi malignamente, i pochi sopravvissuti capirono che l’umanità era giunta alla sua conclusione. Gli ultimi gruppi di sopravvissuti attesero con rassegnazione la fine di tutto e guardarono con invidia, ma anche pietà, gli uccelli, gli stambecchi, i camosci che cercavano di raggiungere le vette più alte del globo. Avrebbero solo ritardato la loro fine, ma prima o poi la Terra sarebbe diventata una sfera bianca senza segni di vita. Kamasar Mutra aveva lasciato il monastero di Kurnipar del Tibet molti anni prima. Quel luogo sacro e silenzioso era diventato troppo chiassoso per lui. Una volta al giorno si sentiva anche la radio per più di mezzora e i giovani monaci chiacchieravano liberamente nelle due ore di pausa e a volte anche durante la cena. Lui aveva preferito salire più in alto, da solo, sui pendii che portavano con calma e severità verso il re di tutte le cime: l’Everest. La sera, quando il tramonto scendeva con la sua luce dorata sull’Himalaya, Kamasar poteva riempirsi gli occhi e il cuore con l’immagine della madre di tutte le montagne, la signora indiscussa del mondo. Poi si addormentava sorridendo, sognandola, e l’alba lo riportava alla gioia di un nuovo giorno. Quello era il suo posto. E quello era il suo compito: ammirare e riverire in silenzio la forza superiore della Natura. Si era trovato un rifugio sotto tre rocce aguzze e la calda pelle di uno yak, morto per il freddo e l’età, era il suo giaciglio. Le capre di montagna gli fornivano il cibo: latte e a volte un magro formaggio che il monaco si preparava di tanto in tanto. Le erbe tra le rocce erano gustose e fresche. Che cosa poteva mai desiderare di più? Il silenzio era assoluto e le sue meditazioni limpide e complete. Si era accorto che strane e tenebrose nuvole avevano cominciato a ricoprire le vallate sotto di lui. Aveva pensato a lungo, poi aveva raccolto i suoi miseri averi, aveva riunito le cinque capre che dividevano la sua solitudine e si era incamminato lentamente versoi i pendii più ripidi che portavano verso il cielo. Ogni giorno saliva di qualche decina di metri, non di più. Sapeva che gli sarebbe bastato. Poi si fermava e iniziava la sua riflessione con il viso rivolto verso l’Everest, sempre più vicino. Sapeva come regolare la propria respirazione con l’altezza e cercava di sfruttare al minimo le sue amiche che lo accompagnavano in quell’ascesa. Un po’ di latte caldo, qualche muffa delle rocce e la neve sciolta tra le ruvide mani erano una dieta più che sufficiente per lui. Più saliva e più il suo sorriso era radioso. La madre di tutte le cime era ormai vicina e Kamasar Mutra poteva quasi toccarla. I suoi piedi sembravano non toccare nemmeno il terreno per non violare quella bellezza senza fine. Le nuvole in basso continuavano a salire, ma il cielo era limpido e turchese sopra di lui. Una mattina giunse in vetta, piangendo di felicità. S’inginocchiò tra le sue capre e cominciò a pregare. Attorno a lui vi era solo una coltre nera e tenebrosa, da cui spuntava quel piccolo pezzo di roccia su cui si era genuflesso. Passò qualche giorno in quella posizione senza mangiare e passandosi la mano bagnata sulle labbra, avvolto dal pelo delle sue amiche che si stringevano a lui. Poi fu tutto buio. Il primo candido, gigantesco, fantastico fiocco di neve gli cadde sulla mano resa blu dal freddo. Kamasar Mutra lo guardò con un ampio sorriso, lo sfiorò appena con le sue labbra rinsecchite e l’offrì verso l’alto prima che si sciogliesse completamente. Da lì era venuto e lì doveva tornare. Poi si appisolò in mezzo alle tenebre sempre più fitte. La mattina dopo iniziò a scendere di qualche metro, riscaldato da un Sole che era tornato cocente e gioioso. Le sue tre rocce aguzze e la coperta di yak lo stavano aspettando giù in basso, nella bianca valle risplendente di luce.
Posted on: Mon, 19 Aug 2013 18:33:36 +0000

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