Un libro nel mio destino 27 Mag. 2012 | categoria didattica | - TopicsExpress



          

Un libro nel mio destino 27 Mag. 2012 | categoria didattica | Leggi tutto | 1 commento Questa settimana parliamo di libri, unendoci a una iniziativa molto bella, a cui partecipo per la prima volta. Si tratta del Carnevale dei Libri di Scienza, giunto alla sua ottava edizione. Il titolo di questa edizione è molto accattivante: “Un libro nel mio destino” e con il titolo le parole con cui viene lanciato: “Nel destino di ognuno di noi c’è sempre un libro che ricordiamo in modo particolare e che, in un certo senso, ha segnato un punto di svolta nel nostro modo di vivere o di pensare. Gli scienziati non fanno eccezione e non è infrequente sentirne uno arrivato al successo, dire candidamente che a “convincerlo” a dedicarsi alla scienza è stato un libro letto, magari per caso, da bambini.” Nella mia formazione molti libri hanno giocato un ruolo importante e sono d’accordo i proponenti: alcuni libri sono quelli che ho letto da bambino. Ma qui oggi vi voglio parlare di un libro che ho letto nei miei primi anni di università e che ha rappresentato un punto di svolta nel mio modo di pensare e posso dire tranquillamente che mi ha fatto decidere in che direzione indirizzare la mia formazione. Infatti, se oggi sono un biologo evoluzionista, e se ho uno sguardo pluralista sulla scienza, molto lo devo a “La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia” di Stephen Jay Gould, pubblicato negli Stati Uniti nel 1989, mentre l’anno successivo la sua traduzione approda in Italia. Il libro è ormai considerato un classico della biologia, ha ricevuto diversi premi ed è anche stato uno dei finalisti del premio Pulitzer nel 1991. Gould è un paleontologo e affronta ne “La vita meravigliosa” un tema a lui caro: l’evoluzione della fauna di circa 505 milioni di anni fa, una manciata di milioni di anni dopo quell’evento noto come “esplosione del Cambriano”, il momento evolutivo che ha portato nel giro di pochi milioni di anni alla comparsa della vita come la conosciamo noi oggi. Il sito fossilifero di Burgess Shale, nella Columbia Britannica, in Canada per i biologi è uno dei luoghi scientifici più famosi al mondo e molta di questa fama la si deve sicuramente a S.J. Gould. La fauna di Burgess ha delle caratteristiche uniche. Sono presenti animali al limite della fantascienza, che rappresentano piani corporei che non hanno lasciato discendenti fino a noi. Uno dei più noti è Hallucigenia: Altri animali sono invece antenati, o comunque rappresentanti di linee evolutive che ritroviamo anche ai nostri giorni. Un caso molto famoso è quello di Pikaia, predecessore degli attuali vertebrati, ai quali apparteniamo anche noi: Lo ammetto, sebbene mi piaccia, non sono però un fan sfegatato della paleontologia, ma Gould ne “La vita meravigliosa” riesce a essere coinvolgente ed è difficile non appassionarsi ai destini dei vari protagonisti di una vita sgargiante nei mari di 500 milioni di anni fa. Mi ricordo che alla prima lettura avevo avuto la sensazione di viaggiare in una macchina del tempo in mezzo ad animali dall’aspetto fantastico e dai nomi strani ed esotici. Da sola questa parte del libro meriterebbe la sua lettura, ma la vera forza del libro è quella di non fermarsi al racconto spettacolare di un pezzo di evoluzione della vita sulla terra. Tuttavia quello che più ha segnato la mia formazione è stata indubbiamente la parte in cui Gould ha mostrato come il caso della fauna di Burgess permettesse di riflettere su come si realizzi un processo evolutivo. Per esempio, nel capitolo “L’iconografia della speranza” Gould critica l’approccio riduzionista che porta a immaginare il processo evolutivo come lineare e semplice. È il caso della famosa immagine dell’evoluzione dell’uomo (la cosiddetta “marcia del progresso”) che da allora mi diverto a collezionare e criticare, come ben sanno i lettori più assidui: Accanto a questa critica appare poi la celebre visione (analogica!) del film della vita. Dice Gould che se si potesse riavvolgere il nastro del film della storia dell’evoluzione e lo si riproducesse nuovamente, ma in modo libero, la possibilità di vedere qualche cosa di simile all’intelligenza umana sarebbe virtualmente nulla. Non avevo mai letto prima parole più chiare e concetti meglio rappresentati. La forza di queste immagini è stata per me fondamentale. Mi sono ritrovato a parlarne anni dopo con altri biologi della mia generazione e sorprendentemente (o forse no) non ero il solo ad aver letto quel libro e aver pensato di non essere più lo stesso studente di biologia di prima. Con l’immagine de “La vita meravigliosa” in testa ogni anno propongo ai miei studenti una serie di letture oltre il libro di testo. Solo pochi leggeranno davvero quello che propongo e sicuramente lo faranno con occhi diversi da miei. Devo però dire che quelle volte in cui vedo nei ragazzi che mi vengono a fare domande lo stesso sguardo che avevo io dopo la lettura di un libro di Gould, mi si apre il cuore e penso che in fondo questo è uno dei motivi (forse il più importante) per cui faccio questo lavoro. Fonte delle immagini: WikiMedia Commons Condividi torna su Medicina cinese 13 Apr. 2012 | categoria didattica | Leggi tutto | 2 commenti Sta facendo molto scalpore un articolo uscito in questi giorni sulla medicina cinese da parte di un gruppo di ricercatori australiani e pubblicato su PLoS Genetics. Prima di tutto fatemi dire due parole sulla serie di riviste che sono raggruppate sotto il cappello della Public Library of Science, appunto PLoS. Nata nel 2000 è diventata nel giro di pochi anni un punto di riferimento in vari ambiti scientifici. La grande novità introdotta da PLoS è stata la rinuncia al copyright. Tutto quello che viene pubblicato su PLoS è pubblico, può essere liberamente utilizzato da ricercatori, docenti, studenti, a patto di non rivendere il prodotto e di non utilizzare senza citare la fonte. L’innovazione è stata forte, e il mondo scientifico ha risposto con entusiasmo, segno che forse il copyright non è l’unica forma attraverso cui può essere veicolato il sapere e le produzioni scientifiche. Ma torniamo all’articolo sulla medicina cinese, una disciplina che vanta più di 2000 anni di storia e raccoglie una vasta gamma di trattamenti: agopuntura, massaggi, esercizi, diete e ovviamente medicine ottenute a partire da materiale “naturale”. Anche se le sue origini si perdono in secoli e secoli or sono, la medicina tradizionale cinese vanta approfonditi studi, che sono stati ovviamente condotti secondo le conoscenze disponibili nei vari periodi storici. Sebbene fosse conosciuta da millenni la medicina tradizionale cinese è stata quasi sempre relegata alla Cina o ai cinesi che si trovavano in terre straniere, ed è solo negli ultimi decenni che il suo uso si è esteso oltre i confini della terra dei dragoni. Sarà l’intrinseca paura dello straniero, acuita dalla crisi economica, l’intraprendenza economica cinese, unita a un certo grado di spregiudicatezza, ma di fatto esiste una certa diffidenza nei confronti di quello che proviene dal paese del sol levante, a partire dal cibo. Sfido chiunque a dire di non aver mai sentito nessuno (spero che chi mi legge non arrivi lui a pensarlo!) dubitare sugli ingredienti di qualche non meglio precisata ricetta cinese. Se noi italiani siamo particolarmente sensibili alla questione alimentare, diventiamo ancora più sensibili sulla questione medica. Siamo infatti un popolo in cui faticano ad affermarsi i farmaci equivalenti, figuriamoci medicine alternative. Forse solo l’agopuntura, tra le varie pratiche cinesi, ha avuto nel nostro paese una certa rilevanza. Fatto sta che il lavoro di PLoS Genetics dipinge un quadro piuttosto fosco sulla medicina tradizionale cinese. Attraverso sofisticate tecniche che consentono di analizzare i campioni ottenendo un elevato quantitativo di dati, i ricercatori australiani hanno evidenziato la presenza di numerose piante che hanno effetti potenzialmente o realmente tossici e parallelamente sono state trovate numerose specie a rischio di estinzione o comunque la cui situazione conservazionistica desta preoccupazione. Mi preme evitare allarmismi, perché questo non deve essere il caso. Indipendentemente dai risultati ottenuti sulle specifiche medicine analizzate, il lavoro è molto importante perché costituisce di fatto la prima applicazione su vasta scala di una tecnica che permette di analizzare il contenuto di una determinata pillola o sciroppo. La tecnica si presenta quindi molto promettente e costituirà un utilissimo mezzo per la tutela dei pazienti e dell’ambiente. Una considerazione finale. Facciamo molta attenzione a quello che consideriamo “naturale”. Il termine non vuole dire nulla: alcune delle più nocive molecole tossiche e mortali per l’uomo sono di origine completamente naturale. Il Centro Antiveleni dell’Ospedale di Milano Niguarda, il più importante in Italia, riceve ogni anno centinaia di casi di intossicazioni alimentari per l’assunzione di prodotti presunti “naturali”. Non sto facendo una indiretta pubblicità al mondo chimico, ma semplicemente richiamando tutti a osservare le cose in modo corretto. Fonte delle immagini: WikiMedia Commons e PLoS Genetics Condividi torna su Laboratorio di biologia fai-da-te 6 Feb. 2012 | categoria didattica | Leggi tutto | 2 commenti Sulla stampa di un po’ tutto il mondo in questi giorni gira una notizia che merita un approfondimento: una comunità di persone, unite ovviamente dal web, si sta organizzando per creare dei laboratori di biologia in casa, sfruttando elettrodomestici e quanto si può normalmente trovare in una abitazione per condurre esperimenti scientifici. La notizia non può che riportare alla mente chi ha dovuto, per cause di forza maggiore (come la promulgazione delle leggi razziali da parte del governo fascista), attrezzarsi un laboratorio in casa. Sto parlando di Rita Levi-Montalcini, che a Torino nel 1940 organizzò un laboratorio di biologia cellulare nella sua camera da letto. Secondo l’autobiografia della celebre ricercatrice insignita con il premio Nobel nel 1986, i primi esperimenti che la portarono a quei fantastici risultati furono proprio condotti sul comodino a fianco del suo letto. Illustri predecessori ci dicono quindi che l’idea di un laboratorio casalingo non è così balzana, ma anzi è potenzialmente molto produttiva. Con l’illusione di poter raggiungere vette inaspettate, gloria, fama e premi Nobel, vediamo di che si tratta. È difficile trovare scienziati che non si siano lamentati della gestione politica dei finanziamenti e delle carriere universitarie. Con alti e bassi possiamo dire che questo è purtroppo vero: ben pochi sono stati i paesi e i momenti storici nei quali si è seriamente investito in questa direzione. Questo momento di crisi non rappresenta certamente la migliore congiuntura socio-economica possibile. Anche per questo, ma non solo, un gruppo di ricercatori non si è voluto rassegnare, e anzi ha pensato a delle strategie alternative. Una di queste è l’organizzazione “Do-it-yourself Biologist” (letteralmente “biologo fai-da-te”), nata ufficialmente nel 2008, figlia assoluta dei nostri giorni e che conta già oltre 2000 iscritti. “Do-it-yourself Biologist” è essenzialmente una rete di biologi, tecnici, ingegneri, appassionati, uniti dalla volontà di condividere esperienze e problemi sia di natura tecnica che di natura etica. Se volessimo prendere in prestito delle definizioni dal mondo dell’informatica, potremmo dire che si tratta di un progetto Open Source, simile all’esperienza dei sistemi operativi Linux oppure al mondo di Wikipedia. Proprio come questi progetti sul sito “Do-it-yourself Biologist” (che gli iniziati abbreviano in “DIY bio”) sono in bella vista tutte le funzioni “social”: (1) cerca un laboratorio/referente vicino a te; (2) guarda cosa abbiamo fatto; (3) l’immancabile forum di discussione e (4) una pagina sulle nozioni di sicurezza. L’idea è semplice: utilizziamo quello che troviamo in casa per creare l’attrezzatura di un laboratorio: ci serve un’autoclave per sterilizzare? Una pentola a pressione può funzionare. Abbiamo bisogno di una centrifuga? Un trapano può darci una mano. Serve un termostato? Il termometro per misurare la febbre è una componente, e così via. Cathal Garvey è tra i fondatori di “DIY bio” e creatore di uno dei primi laboratori casalinghi del progetto a Cork, in Irlanda. Garvey è famoso in rete anche per uno dei suoi prodotti più diffusi, la “DremelFuge”, una centrifuga che consente differenti forze di centrifugazione e che viene costruita partendo da un noto attrezzo del fai-da-te casalingo. In questo video di Youtube potete vederlo in funzione: YouTube Direkt Se fossimo da altre parti del mondo e non volessimo occupare casa nostra con un laboratorio di biologia, ci potremmo rivolgere a Genspace, un’organizzazione non-profit che ambisce alla diffusione della cultura scientifica nei cittadini garantendo loro un accesso alle biotecnologie disponibili. Genspace nel dicembre 2010 ha aperto il primo laboratorio pubblico di biotecnologie a Brooklyn (New York). Il laboratorio eroga corsi destinati a studenti di vari livelli, da quelli con già una base scientifica a quelli totalmente digiuni. Uno dei progetti più divertenti è quello che viene chiamato “PCR and pizza – a match made in heaven!” (letteralmente “PCR e pizza, un connubio paradisiaco!”). L’idea è questa: porta un pezzo di pianta e vedrai come è semplice identificarlo tramite un’analisi del DNA. Non è richiesta esperienza, non ci sono costi, ma qualche dollaro è apprezzato per coprire l’acquisto della pizza. A proposito di Genspace e se siete a New York nei prossimi due fine settimana vi segnalo la possibilità di partecipare al “Personal Genotyping Workshop”, una lezione che si preannuncia come molto interessante su tutta la biologia molecolare che ci sorbiamo in TV, sui libri e giornali a proposito di ricerca di assassini, assegnazioni di paternità e similitudini varie. Accanto a questi aspetti più esaltanti e puri non possiamo nascondere qualche pericolo. Il fatto che non sia così difficile lavorare su materiale potenzialmente pericoloso per la salute umana in casa propria richiama alla mente gli scenari apocalittici tipici di film e serial a stelle e strisce. Fantasie a parte è inutile negare l’evidenza: se Rita Levi-Montalcini ha potuto condurre i primi passi verso l’isolamento del fattore NGF (per cui poi vinse il Nobel) sul comodino di casa sua nel 1940, è chiaro che oggi si possano produrre batteri geneticamente modificati anche in un laboratorio fai-da-te. Per questa ragione DIY bio e Genspace hanno severi controlli etici e fanno di tutto per comunicare questi concetti in parallelo al resto. Tuttavia, ancora di più oggi dove sul web puoi trovare di tutto, sta a noi sapere come usare questa immensa possibilità e fare sì che domani potremo parlare di una nuova Rita Levi-Montalcini e non di un bio-terrorista. E infine una segnalazione. Entriamo nella settimana degli Evolution Day (le iniziative legate agli studi evoluzionistici e che si tengono a cavallo con la data di nascita di Charles Darwin, il 12 febbraio). Il Museo di Storia Naturale di Milano è la sede di una delle iniziative più importanti. Il tema di quest’anno, dal 10 al 12 febbraio, si preannuncia molto interessante: “Evoluzione, diversità e risorse del mondo vegetale”. Qui trovate i dettagli del programma e per chi non può partecipare esiste la possibilità di seguire l’evento in streaming sulle pagine di Scienza in Rete. Per chi invece si trova a Como, giovedì 9, alle ore 11.00 nella biblioteca comunale io e il mio collega e amico Emanuele Serrelli, filosofo della scienza, parleremo di evoluzione umana. Sul sito di Pikaia potete trovare un elenco aggiornato di tutti gli appuntamenti in giro per l’Italia. Buona settimana darwiniana a tutti, vi aspetto numerosi! Condividi torna su Post natalizio 4 Gen. 2012 | categoria didattica | Leggi tutto | 5 commenti Natale è passato, anche il primo dell’anno è alle spalle e l’epifania, che tutte le feste si porta via, è qui a un passo. Natale di austerità, come si è letto da molte parti: nemmeno i tradizionali cine-panettoni hanno retto all’aria di crisi complessiva. Tuttavia, in un panorama così poco allegro, le statistiche di fine 2011 ci hanno detto che un settore ha retto bene: quello dell’editoria. Ebbene sì, a fronte delle grandi contrazioni su tutti i fronti (con l’eccezione dell’elettronica, ma si sa, il nostro paese è telefonino dipendente) le vendite di libri per natale non sono calate. Regalare un libro resta una soluzione. E allora, seppure in ritardo per una strenna natalizia, vi voglio proporre un paio di titoli di libri che secondo me meritano attenzione. Ho detto un paio, non di più, perché non mi voglio addentrare nel mondo della saggistica o dei libri scientifici, dove potremmo dire molte cose. Dedico il post a due romanzi che usano la scienza e l’evoluzione come scusa per raccontare delle belle storie. Comincio da “L’evoluzione di Calpurnia”, il romanzo di esordio di Jacqueline Kelly, Salani editore. Jacqueline Kelly (neozelandese di nascita, canadese di crescita, ma ora texana) ambienta nella calda estate del sud degli Stati Uniti, verso la fine dell‘800 questa piacevole storia. Protagonista è la giovane Calpurnia, figlia di una agiata famiglia di coltivatori di cotone. Calpurnia è attirata dalle differenze tra gli organismi che trova nella campagna che la circonda. Ha sentito del libro di un certo Charles Darwin, dove potrebbe trovare delle risposte, ma la bibliotecaria non è disposta a prestarle il libro. Poco male, lo troverà nella biblioteca del nonno, un naturalista dilettante. Sarà l’inizio di un viaggio importante per la formazione di Calpurnia, che per un’estate deciderà di essere una naturalista, come possiamo vedere dalle sue stesse parole: “Che cos’era di preciso un naturalista? Non lo sapevo, ma decisi che per il resto dell’estate lo sarei stata. Se significava soltanto scrivere ciò che vedevi intorno a te, potevo farlo. Inoltre, ora che possedevo qualcosa per prendere appunti, vedevo cose che non avevo mai notato prima…” Il secondo libro che vi propongo invece è “Il mistero di Burgess Shale. La magnifica avventura dell’evoluzione” di Ludovico Jacopo Cipriani, Feltrinelli. Burgess Shale è uno dei più famosi giacimenti fossili del mondo, sulle Montagne Rocciose della Columbia Britannica, in Canada. Il giacimento è famoso per la ricca fauna del Cambriano in cui numerosi fossili presentano anche evidenze delle loro parti molli, che raramente si preservano. I fossili di Burgess Shale sono, per chi si occupa di evoluzione, indissolubilmente legati al paleontologo Stephen Jay Gould, che ne ha dato ampia descrizione nel suo “La vita meravigliosa”, un libro che ha formato la generazione di biologi evoluzionisti a cui appartengo. Ma questa è un’altra storia, torniamo a “Il mistero di Burgess Shale”. Il sito paleontologico è la meta di due gruppi molto diversi: da un lato Douglas Cole e la sua setta di fanatici creazionisti, dall’altro Jay Harlow, appassionato di storia naturale, in vacanza con il figlio Stephen (non dite che non avete notato la scelta dei nomi: Stephen e Jay!). Padre e figlio incontrano nella loro vacanza una genetista, Clarissa e sua figlia Sarah. Inutile dirvi che il destino dei creazionisti di Douglas Cole e quello di Jay, Stephen, Clarissa e Sarah è destinato a intrecciarsi in una storia carica di suspense che non vi voglio anticipare. L’ultima cosa che vi dico è che però è piuttosto divertente “viaggiare nel tempo” nel libro alla conoscenza dei personaggi chiave del pensiero evolutivo. In conclusione, siete ancora in tempo per un regalo in cui la scienza si fa divertimento. Buona lettura! Condividi torna su Educazione e ricerca 24 Nov. 2011 | categoria didattica | Leggi tutto | 1 commento Lo si legge un po’ dappertutto: in Italia ci sono pochi laureati in materie scientifiche. I dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) non mentono e questa è la fotografia dei nostri laureati nel 2007: Solo il 7% dei nostri ragazzi si laurea in una disciplina scientifica (non se la prendano i colleghi medici, ma loro non sono annoverati tra le discipline scientifiche). Ovviamente, da questo punto di vista ci classifichiamo male rispetto alla media europea, e non solo nei confronti delle nazioni più ovvie (Regno Unito, paesi scandinavi, Francia, Germania), ma anche rispetto a paesi che consideriamo eufemisticamente “secondari” (Lituania, Romania, Polonia, solo per citarne alcuni): Il dato è ancora più preoccupante quando osservato lungo un arco temporale. La percentuale di laureati scientifici in Italia è in declino negli ultimi dieci anni: In tanti hanno provato a cercare delle spiegazioni: l’Italia è un paese con una storica, lunga tradizione culturale umanistica; il nostro paese ha una ricchezza artistica unica; le materie scientifiche sono notoriamente difficili; esiste una generale sfiducia verso la possibilità di trovare un impiego dopo la laurea in diverse discipline scientifiche; il primo esame in quasi tutti i corsi scientifici è matematica. Quale che sia la causa siamo arrivati a livelli che non esito a definire drammatici, tanto che un paio di anni fa gli iscritti a chimica potevano addirittura contare sull’abbuono di buona parte delle tasse universitarie del primo anno. Siamo arrivati al 3×2! Vi racconto tutto questo perché è appena uscito un lavoro su PLoS Biology che già dal titolo promette di essere interessante: “Integrating Teaching and Research in Undergraduate Biology Laboratory Education” (“Integrare insegnamento e ricerca nei laboratori di biologia per gli studenti universitari”). Ho pensato di parlarne qui, univeristario che scrive in un blog in cui gli insegnanti delle superiori sono i lettori più comuni perché penso che ci troviamo sulla stessa barca; perché in fondo solo pochi mesi di vita separano uno studente del quinto anno e una matricola universitaria; perché certi spunti possono essere validi in senso generale e ultimo, ma non meno importante, perché gli studenti dalle nostre parti si lamentano spesso del fatto che la loro carriera preveda troppe poche attività pratiche. Mi rendo conto che la situazione universitaria è diversa da quella scolastica. Finché riusciremo a farlo, negli atenei facciamo ricerca e insegniamo. Due attività molto differenti, ma che dovrebbero essere integrate per definizione. Il lavoro di PLoS Biology può essere diviso in due parti: in una viene proposta un’esperienza didattica in realtà molto calata nella realtà universitaria americana, e di questa non vi dico nulla. La parte che invece mi sembra più interessante è la serie di regole che viene proposta per la costruzione di un esperimento che integri la ricerca nella didattica. Queste regole sono dal mio punto di vista piuttosto interessanti, non solo per attività universitarie, ma in generale per ogni esperienza pratica rivolta nei confronti dei ragazzi. Ecco le regole proposte: 1) Limitare le barriere dovute alle competenze tecniche dei ragazzi nella raccolta dei dati. Per definizione i ragazzi sono “inesperti”, ma la loro mancanza di competenze tecniche non deve costituire un limite nella raccolta dei dati. Se una tecnica è troppo difficile da essere padroneggiata nel giro di un tempo breve, sarà svolta dagli operatori, ma gli studenti dovranno comprendere i processi alla base. 2) Impostare dei controlli interni alla raccolta dei dati. I limiti di cui al punto precedente sono inevitabili. È opportuno ripetere la raccolta dati o creare due gruppi di studenti alla raccolta dati per ridurre gli errori dovuti all’inesperienza. 3) Predisporre un set di variabili diverse, ma integrate, per sviluppare le ipotesi. Il modello proposto agli studenti deve presentare un numero adeguato di variabili per permettere agli studenti di percorrere strade alternative. Le variabili dovrebbero però essere tra loro concatenate, al fine di permettere alla discussione di seguire un comune piano concettuale.
Posted on: Tue, 05 Nov 2013 01:26:07 +0000

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