Un minuto di silenzio all’amnesia ed all’infamia Johannes - TopicsExpress



          

Un minuto di silenzio all’amnesia ed all’infamia Johannes Bein venerdì 4 ottobre 2013 Di fronte alla morte in mare di centinaia di persone, specie se se di origine africana ed intenti ad approdare clandestinamente, è facile che il sentimentalismo prenda il sopravvento sul raziocinio, causando un totale stravolgimento della realtà . Gli unici fatti reali testimoniabili in Italia restano i corpi esanimi sulle spiagge di Lampedusa, i superstiti ed i cittadini dell’isola che da lungo tempo sono lasciati soli di fronte ad un enorme problema internazionale. Il Consiglio dei Ministri ha decretato il lutto nazionale per l’intera giornata di Venerdì 4 Ottobre , mentre il ministro Carrozza ha deciso che in tutte le scuole venga celebrato un minuto di silenzio. Perchè è stato deciso il lutto nazionale visto che nessun italiano è coinvolto? Perchè si è fatta questa scelta prevaricando, per la prima volta, i confini dettati dalla moralità e dalla decenza, in quanto nessuno dei parenti delle vittime ha avuto alcuna possibilità di esprimersi? Avrebbe avuto più senso celebrare l’impegno, o se si vuole lo si chiami eroismo, dei cittadini di Lampedusa. Per conoscere la genesi della storia di ieri come di quelle prevedibili in futuro occorre ricordare ciò che in sostanziale mala fede viene occultato alla cosidetta opinione pubblica italiana, in particolare sull’Eritrea, visto che una grande parte delle vittime pare essere di nazionalità eritrea. Tutti i giovani eritrei approdati in passato, come quelli coinvolti in questi giorni, sono militari sotto leva. A ciascuno di loro sono garantiti il vitto e l’alloggio. L’Eritrea non è attualmente in guerra ma si trova nella condizione di presidiare i propri confini, quindi gli eritrei che giungono in Italia non vengono nè per la fame nè per la guerra, come ai media pigri piace evocare, quando non compiacenti ad altri disegni. Per fare prevalere il raziocinio e quindi comprendere le ragioni di un fenomeno occorre andare controcorrente rispetto a chi si auspica che l’amnesia e la pigrizia mentale prevalgano. Sono passati più di undici anni dal verdetto emesso il 13 Aprile 2002 dalla Commissione istituita dall’ONU, l’EEBC (Eritrea-Ethiopia Boundary Commission). Al termine di un lungo lavoro assegnatole dall’Accordo di Algeri del 12 Dicembre 2000, stabiliva la delimitazione dei confini che doveva risultare “finale ed inappellabile” per le parti in causa , ossia l’Ethiopia e l’Eritrea. L’Ethiopia, che ha come suggeritore gli Stati Uniti, è l’unico dei contendenti che continua ad occupare impropriamente dei territori assegnati all’Eritrea, creando una condizione di non guerra e di non pace, costringendo comunque l’Eritrea a presidiare i propri confini, impegnando le forze vive che potrebbero essere impiegate in altro modo. L’Accordo di Algeri, che ratificava la fine di una guerra combattuta tra l’Ethiopia e l’Eritrea nel 1988 fino ai primi mesi del 2000, venne celebrato sotto l’egida dell’ONU e del suo Segretario Generale, Kofi Annan, con la presenza del Segretario di Stato degli USA Madeleine Albrigh, del rappresentante della EU, l’italiano Rino Serri. Nonostante il termine dell’Accordo fosse stringente , “finale ed inappellabile” (“final and binding” nel testo originale), l’Ethiopia, o almeno così è stato fatto apparire ufficialmente, mentre in realtà vi erano gli Stati Uniti a veicolarne l’azione, avviò un piano di contestazione e di revisione a seguito del quale, in un gioco delle parti, si lanciarono gli USA e l’Europa per concludere che l’Eritrea, indisponibile a ritrattare, risultò “troppo rigida”. Tutti questi testimoni e garanti dell’Accordo di Algeri si sono via via dileguati insieme agli impegni assunti ed alle istituzioni che in funzione degli stessi accordi rappresentavano: le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, la Comunità Europea e l’Italia. Quest’ultima oltre ad avere avuto un suo esponente a garantire per l’Europa conserva ancora un pesante debito nei confronti dell’Eritrea, peraltro finora mai contestatole, sia per gli aspetti morali che materiali che l’hanno vista protagonista dalla fine dell’800 fino al 1940, passando per l’applicazione solida delle leggi razziali negli anni ’30, prima che venissero applicate in Europa. Alla fine del 2002, al Dipartimento di Stato USA venne deciso di adottare una misura speciale nei confronti dell’Eritrea, riottosa a ridiscutere l’Accordo di Algeri e a rinunciare alla propria sovranità politica e territoriale. Furono avviate diverse operazioni, tra le quali una campagna di stampa internazionale, cooptando giornalisti nei vari paesi, attingendo dagli ingenti fondi che l’Amministrazione Bush rese disponibili dopo l’11 settembre 2001 per “combattere il terrorismo ed i nemici degli Stati Uniti”. Naturalmente, di questo supporto dei media internazionali si avvalgono le varie iniziative diplomatiche degli USA che con il coinvolgimento strumentale delle Nazioni Unite sono stati in grado di sancire delle condanne preventive nei confronti dell’Eritrea nel 2008 per una invasione territoriale ai danni di Djibouti, mai avvenuta; a seguire, l’approvazione di sanzioni dell’ONU nel 2009 contro l’Eritrea accusata di sostenere i ribelli somali; un ulteriore appesantimento delle sanzioni nel 2011 per le stesse ragioni ed un altro giro di vite nel 2012. Questi fatti rappresentano un eccezionale caso studio sullo stato delle relazioni internazionali imposte dagli USA in Africa e sul ruolo dei media. Per chiunque sia dotato del solo buon senso, della visione della carta geografica dell’area e dell’informazione che a Djibouti si trova la più importante base militare americana d’Africa da cui dipartono le innumerevoli missioni che in Somalia e nello Yemen in questi anni hanno polverizzato con la stessa noncuranza individui, veicoli o villaggi interi, è facile comprendere che per l’Eritrea, anche se lo volesse, i margini d’azione dei fatti che le attribuiscono sono pressoché nulli. A rafforzare tale ipotesi vi è anche il presidio navale NATO in funzione “anti pirateria”, denominata OCEAN SHIELD, che opera in prossimità dell’Eritrea, di Djibuti e della Somalia. Quest’ultimo presidio navale era stato sotto il comando dell’ammiraglio Antonio Natale con la nave San Marco fino al giugno 2013. Agli inizi del 2003 venne deciso il lancio della campagna di propaganda stampa contro l’Eritrea ed il finanziamento di operazioni tese a favorire l’esodo dei giovani eritrei e privare il Paese della sua forza vitale: è una guerra vigliacca, senza esclusione di colpi, congegnata in stanze segrete, con la cooptazione dei governi dei paesi occidentali, i quali di converso si occupano di tenere all’oscuro le popolazioni dell’occidente “democratico”, sensibilizzandole unicamente alla necessità di un’azione “umanitaria”. A partire da quell’anno inizia l’esodo di giovani eritrei, tutti sotto leva, quindi senza problemi di vitto ed alloggio. La difficile contingenza economica nella quale oggettivamente l’Eritrea si trova in seguito alle sanzioni ingiustamente assegnatele finiscono per avere degli effetti collaterali: è resa difficile la transazione internazionale del valore di quanto ricavato dalle estrazioni minerarie; vengono messe alla gogna le imprese, ultimamente quelle italiane, che operano in Eritrea. Tutto ciò volto ad ostacolare una crescita economica e a favorire l’esodo delle forze vitali, per potere successivamente esprimere un candido necrologio ed il minuto da dedicare all’amnesia ed all’infamia.
Posted on: Sun, 06 Oct 2013 12:02:01 +0000

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