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VISTI DA ROMA di Gianfranco Angelucci Se gli animali ce la cantano – Favole dal giardino di Elio Pecora Un bel giorno il giardino dietro casa si anima; le tante creature che lo abitano con discrezione, quasi invisibili, vengono allo scoperto con sembianti e personalità nuovi. Non solo gli animali, il bruco, il ramarro, l’averla, il cardellino, ma anche le piante e i fiori, l’agrifoglio, la cedrina, le zinnie. Sarà forse la complicità dell’estate, la calura che rende incerti i contorni come una fata morgana, o le lunghe serate in cui il cielo si trasforma nella tavolozza di un pittore, con tutte le sfumature del rosso, dell’indaco, del carminio, e la luce sembra non voler mai cedere alla notte. Forse sarà colpa di quell’alito di vento che solletica le foglie e indugia pari a una carezza sull’erba più tenera, ma le presenze del giardino prendono d’un tratto a confabulare tra loro, a commentare la vita, rivelando una saggezza insospettabile. “La cicala che aveva mal di gola,/ammucchiò semi d’orzo/ in una scatoletta di stagnola:/«meglio esser previdenti»/ concluse rassegnata/ «che gorgheggiar stonata». Perché questo miracolo accada c’è bisogno delle antenne di un poeta, il quale riesce a percepire ciò che a noi sfugge. Ed ecco sono uscite in libreria, per i caratteri di Empirìa, le “Favole dal giardino”. Racconta l’autore, Elio Pecora, che dietro la casa arrampicata verso la collina di castagni e di ulivi, dove torna per le vacanze estive, c’è un giardino in cui scrisse la prima favola su richiesta di un sito dedicato ai bambini; e si aprì una vena inattesa: “Là tra luglio e settembre, negli ultimi due anni, ho composto queste settanta favole”. Che poi sono cresciute fino a 108, compreso il congedo. Tra poeti e animali, è noto, esiste una secolare, anzi millenaria familiarità. Siamo tutti cresciuti più o meno con le favole di Esopo, poi quelle di Fedro, in cui gli animali conversavano tra loro e ci insegnavano a comportarci: “Superior stabat lupus, longeque inferior agnus…” Il lupo che beveva a monte del ruscello, sosteneva che l’agnello molto più in basso e lontano lungo la corrente, gli inquinasse l’acqua; un pretesto per mangiarselo. E così abbiamo imparato a conoscere i prepotenti che vogliono aver ragione anche quando hanno torto. Abbiamo anche imparato che quando non arriviamo a ottenere qualcosa, mostriamo di disprezzarla: la volpe e l’uva. O che tra i due litiganti il terzo gode: mentre il leone e il cinghiale si azzannano a morte, in cielo già volteggiano gli avvoltoi pronti a spolpare le loro carogne. Le favole antiche contenevano quella che veniva chiamata “la morale”, cioè un insegnamento sottoforma di metafora. Di cui evidentemente abbiamo urgente bisogno, se i poeti ricompaiono a ricordarcelo, loro che sono la voce della nostra coscienza assopita. E’ persino uscito in libreria “Il dizionario della favola antica” di Christian Stocchi; il quale spiega come le brevi storielle abbiano lo scopo di svelare la verità nascosta dietro le apparenze, “mettere a nudo la vanagloria, l’ipocrisia, l’avidità, l’egoismo, la violenza mascherata attraverso il diritto”. Nelle godibilissime, orecchiabili, favole di Elio Pecora questo aspetto “moralistico” è assai più sfumato, prevale un mormorio dolceamaro, più vicino alla musicale sensibilità pascoliana, capace di cogliere i suoni più sottili nell’indifferenziato concerto della natura. Pecora tende l’orecchio all’ascolto, acuisce i sensi regredendo allo stupore del ‘fanciullino’ mai dimenticato, e raccoglie dagli abitanti del suo giardino suggerimenti delicatamente ironici: “Subito mi si presentarono animali, che si mostrarono e agirono al di là di ogni mia attesa. Subito compresi di rivolgermi al bambino che si portano dentro quanti continuano a stupirsi e a innamorarsi del mondo e dell’esistenza. E quegli animali non somigliavano agli uomini, piuttosto erano gli uomini a somigliargli. Né, scrivendo, sapevo come quegli animali si sarebbero pronunciati, né dove si sarebbero diretti prima di uscire dai miei fogli rigati”. Le “Favole dal giardino” sono state adottate in molte scuole elementari come libro di testo e gli alunni le imparano a memoria. La loro lettura si accompagna allegramente ai giorni del Natale ormai alle porte: La farfalla allo specchio, Il gallo ammutito, Il porco il cane e la cornacchia, La mela e il cardellino. Poesie in pochi versi, poesie più lunghe come fole davanti al fuoco, poesie simili a bagliori: “La rondine decisa a non tornare/ non sapendo che fare/ indecisa tornò”. Poesie della buona notte: “Inebriata dal giglio/l’ape si addormentò./ Sognò che l’alveare/era un immenso fiore/ e il miele era l’umore/ segreto del giardino.
Posted on: Mon, 02 Dec 2013 21:15:28 +0000

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