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Visione dei mercati secondo Swiss & Global (investment bank della prestigiosa banca svizzera Julius Baer): olle, borse e shampoo economy 25. novembre 2013 | L’Alpha e il Beta “La ragione più stupida del mondo per comprare un’azione è il fatto che stia salendo”. Warren Buffet ricorda l’importanza dei fondamentali, dell’attenzione alla coerenza tra valutazioni e valore intrinseco. Gli utili societari sono funzione delle capacità delle singole aziende, della crescita economica, del livello dei tassi d’interesse. Per Eugene Fama le bolle semplicemente non esistono. “Non so nemmeno cosa vuol dire una bolla, parola diventata popolare ma che ritengo sia priva di senso” rispondeva il premio Nobel per l’Economia in un’intervista del 2010 al New Yorker. La fiducia nell’efficienza dei mercati è una costante nell’evoluzione del pensiero economico, da Smith e Ricardo fino a Walras e Marshall passando per Jean Baptisme Say, Il corollario dell’efficienza dei mercati è che le valutazioni e i prezzi delle attività sono corretti. Nel 1900 il matematico francese Louis Bachelier si applicò allo studio dei prezzi dei mercati finanziari concludendo che i prezzi di una attività riflettono con accuratezza tutte le informazioni disponibili. Ignorato per decenni, Bachelier divenne popolare una volta tradotto in inglese nel 1964 e il suo lavoro costituì il fondamento dell’ipotesi dei mercati efficienti sviluppata da Eugene Fama (Efficient-Markets Hypothesis, EMH). L’intero apparato teorico e modellistico dei mercati efficienti non sembra però reggere il confronto con il principio di realtà. Non c’è bisogno di ricordare la follia collettiva che nella prima metà del secolo XVII in Olanda interessò i bulbi di tulipani (non i fiori, che continuarono ad essere privi di valore, ma i bulbi di tulipano, sorta di future del tulipano …), è sufficiente la memoria recente degli episodi del 2000, del 2006, del 2008. Clusius Carolus Clusius (1526-1609), botanico L’indice azionario Nasdaq, epicentro del crollo azionario del marzo 2000, era celebrato come “il mercato azionario dei prossimi cento anni” (The Stockmarket for the Next Hundred Years). Dopo il crollo delle azioni “dot”, Nasdaq divenne nella lingua inglese sinonimo di disastro o disgrazia. L’illusione dei facili guadagni azionari aveva irretito il mugnaio fiammingo del 1600 e dopo quattro secoli continua ad affascinare il giovane professionista urbano del XXI secolo. I mercati non sono efficienti, le distorsioni dei prezzi e le illusioni cognitive in cui sono intrappolati gli stessi operatori professionali concorrono alla formazione di bolle speculative che, mentre si formano, rendono pressoché impossibile all’investitore razionale realizzare profitti puntando contro di esse. L’espressione “bolla speculativa” si riferisce ad un evento che innesca il rialzo di un determinato asset, un immobile, un titolo di credito, un bulbo di tulipano. L’aumento del prezzo perde però il legame con il valore intrinseco del bene, sostenuto solo dalla diffusa percezione che i prezzi siano comunque destinati a salire. Per Robert Shiller, premiato con il Nobel assieme a Fama, le bolle esistono eccome (merita osservare come siano stati premiati con il massimo riconoscimento due accademici che sostengono teorie opposte): “è bolla quando un incremento di prezzo stimola l’entusiasmo degli investitori, che si diffonde per contagio psicologico di persona in persona, ingigantendo storie capaci di giustificare l’incremento di prezzo … attira un numero sempre maggiore di investitori che anche se dubbiosi sul valore reale dell’investimento ci si lanciano ugualmente, un po’ per invidia del successo degli altri e un po’ per il brivido dell’azzardo”. Shiller riconosce il ruolo giocato dalla psicologia degli individui, dal condizionamento esercitato dai comportamenti collettivi, comprende nella sua modellistica le illusioni cognitive che tanta parte hanno in scelte d’investimento non sempre razionali (vedi anche Paolo Legrenzi, 2013). Obama Da Bloomberg Businesweek 22/8/2013 Il succedersi di bolle speculative è tale che “shampoo economy”, economia delle bolle, è diventata espressione comune. “Bolla, disastro, da capo. Bolla, disastro, da capo. Negli ultimi decenni questa è stata la ricetta dell’economia americana” scriveva l’economista Jared Bernstein nel 2008. E lo scorso agosto il presidente Obama metteva nuovamente in guardia dai rischi della shampoo economy: “è ora di abbandonare la mentalità bolle-disastro che ha condotto al collasso del mercato”. La ciclicità dell’economia è un dato di fatto, ma certamente non esiste alcuna legge economica che prescriva che ogni ciclo economico debba terminare con l’esplosione di una bolla finanziaria. Neppure Hyman Minsky, che ha concentrato il suo campo di ricerca nell’instabilità ontologica dell’economia di mercato, riteneva che fosse inevitabile la creazione e l’esplosione di bolle. E oggi come siamo messi? L’argomento è di stretta attualità visto il livello raggiunto dai mercati azionari, l’impazienza negli Stati Uniti di nuovi collocamenti a seguito del successo di Twitter, le opinioni concordi delle case d’investimento che suggeriscono di preferire le azioni alle obbligazioni (Swiss & Global compresa). Qualcuno aveva preconizzato un imminente crollo dei mercati nel marzo 2011. Oggi, dopo quattro anni di rialzo, è comprensibile che ci s’interroghi sulla sostenibilità dei corsi. Però attenzione… valutare il livello dei prezzi e il loro maggiore o minore allineamento con utili attesi e crescita economica è una cosa, altro è speculare su cosa ci riserva il futuro! E’ decisamente meno comprensibile chiedersi o chiedere cosa accadrà nel 2014, domanda alla quale ogni persona avveduta si sottrae e che nessuna persona avveduta dovrebbe formulare. E’ vero, gli indici azionari sono ai massimi. Ma è altrettanto vero che in un arco di tempo ampio, circa 13 anni, sono tornati a rendere giustizia al principio del “ritorno alla media”. Per circa dieci anni la performance di un investimento azionario è stata mediamente inferiore a quella dell’investimento obbligazionario. Solo adesso le performance azionarie sono tornate a superare le obbligazioni nel medio e nel lungo periodo, come prescrive il manuale di un sistema economico equilibrato e come suggerisce il senso comune che prevede un maggior compenso a fronte di più elevato rischio (“equity risk premium”, in gergo). Economist The Economist 13/9/2013 Il rendimento azionario è funzione delle previsioni sugli utili futuri delle società, della crescita economica complessiva, del livello dei tassi di interesse (vedi L’Alpha e il Beta del 21 ottobre 2013). Gli utili salgono in funzione delle capacità delle singole aziende e della crescita economica mentre il livello dei tassi d’ interesse mette l’investimento azionario in competizione con quello obbligazionario. Le valutazioni della borsa americana sono alte rispetto alla loro media storica, ma va parimenti considerato che il rendimento del Treasury non è mai stato così basso: un quadro senza precedenti che va osservato con occhi intelligenti. Le borse europee, d’altro canto, hanno valutazioni ancora competitive che esprimono la distanza dell’economia del Vecchio Continente da quella americana. Nel “decennio perduto” delle azioni i grandi investitori istituzionali hanno pesantemente alleggerito la loro esposizione azionaria che oggi è gradatamente ricostituita. I flussi nei mercati dei capitali stanno tornando alla normalità e non è ancora il caso di gridare allarmati per l’arrivo di bolle: prestare attenzione piuttosto alla qualità e alla solidità della ripresa nell’economia reale, che favorisce i profitti e diminuisce i debiti pubblici. Come direbbe Warren Buffet: “La raqione più stupida del mondo per comprare un titolo azionario è perché la sua quotazione sta salendo”. LAlpha e il Beta_25 novembre 2013
Posted on: Mon, 25 Nov 2013 17:22:28 +0000

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