Vorrei mettere degli asterischi ai margini delle nostre - TopicsExpress



          

Vorrei mettere degli asterischi ai margini delle nostre conversazioni, per cercare di capirti. Le ombre cinesi che hanno lasciato sugli schermi le tue parole. Cerco di convincermi che le distante sono una cosa bellissima. E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi come mi mancano praticamente tutti i pavimenti. A miliardi di centimetri da qui. E tu avevi scritto qualcosa di sicuramente contorto da dirmi ma poi ci hai ripensato. Se vuoi ci rivediamo tre volte che tanto poi parti per tremila settimane. Davvero farò rifare lasfalto per quando tornerai. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. Strammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. Capisco che non posso permettermi di dirti niente. Per il resto possiamo scherzare su tutto. Andiamo a farci male. E guardarti mentre mi scardini con tutti gli oggetti contundenti che trovi la gabbia toracica. Che mi spaccherei il setto nasale come i pugili, prima di venire a vivere con te. Così poi puoi farmi quello che vuoi che tanto non mi succede niente. E posso continuare a girarti intorno, facendo finta di colpirti e poi abbracciarti finchè larbitro non riesce a staccarci. E ci siamo sdraiati vicini con i cuori arresi, con i capelli appiccicati alla fronte. Appoggiato di schiena alla parete sei una specie di intonaco che nasconde le crepe e le interferenze. Ti presento i miei difetti, i miei problemi. Deportati i nostri sogni in Siberia mentre eravamo in fase rem. E pioveva e ti dispiaceva che ero cambiata. Non ho vestiti puliti con cui abbracciarti. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer. E tu che entri col piccone e col casco da minatore nel mio cuore. E la fine delle nostre amicizie. Io che cerco delle agenzie di copywriting per riuscire a venderti il mio carattere di merda. Per leggerti chilometri di righe confusionarie. Che non mi scrivi più. E la tua risata telefonica, quella che se ne va. Le pareti poco rassicuranti di camera mia. Le portiere sbattute che ti rompono le dita per sempre. Sarebbe bello ricordarsi anche di chi non lascia vistose cicatrici. Sarebbe bello parlare al plurale. E quando ci incontriamo fare finta di non vedersi e poi spararsi alle spalle. Ma con lamore necessario a far passare la pallottola da una parte allaltra senza sfiorare nessun organo vitale. E cosa vuol dire questa cosa di darsi, di prestarsi a qualcun altro a tempo indeciso e impreciso. Scambiardi i modi di dire. Farsi soffrire, non darlo a vedere. Rimanerci male, che non mi vieni a vedere. Telefonami di notte ti prego svegliami. Fammi guarire, fammi passare, ma fermami. Amare è tutto un tornare, che cazzo vuol dire. Nei tuoi occhi annegheremo. Se non stai bene qui possiamo anche andare via. E labbandono sarà solo il titolo di un libro. Mi fa abbastanza male. Ma non è niente, niente di che. Mettersi lantigelo nel serbatoio dei brutti ricordi. Dimenticarmi di te. Non ho fatto in tempo a salutarti, a parlarti, a rovinarti tutti i pensieri su di me. In poche parole volgari, mi capita raramente di pensarti. La melodia che hai composto andando via. Sarai un monumento nelle mie viscere, darò il tuo nome a migliaia di piazze e a milioni di vie. E tafferugli contro le nostre solitudini, o tu o io. E ascoltiamo le paranoie con lo stetoscopio, le lasciamo blaterare in un auditorium. Tra di noi potrebbe finire con una constatazione amichevole, con una constatazione del nostro niente. Chiediamoci cosa diventeremo, cosa saremmo diventati. Coniughiamo ancora male i verbi. Ho scritto col catrame sulle strade di Milano che mi mancherai. Tra le frasi che tanto tu non leggi. Quando per paura di disturbare non ci sei mai. Quando a forza di ferirci siamo diventati consanguinei. Dici che anchio, dove sono passata, ho sempre distrutto tutto e tutti. Che finirà a spargimenti di sale sul tuo cuore. Le nostre incomprensioni e il brutto tempo. Quando mi guardi e fuori comincia a diluviare. Altre eclissi e lontananze oceaniche da te. Tengo i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto. I nostri laceranti arrivederci. Spedisco dei reporter di guerra nel tuo cuore. Dici che tanto lo sapevamo che leternità era un nostro modo di dire. E me ne accorgerò solo quanto ti avrò perso. Ho scritto in cielo alcune frasi perchè tu le vedessi, ma cera un vento feroce e troppi elicotteri. [V.B.]
Posted on: Tue, 19 Nov 2013 22:00:35 +0000

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