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di Pier Virgilio Dastoli - Presidente del Movimento Europeo Il Parlamento europeo discuterà questa settimana a Strasburgo sulle prospettive finanziarie pluriennali 2014-2020 dopo l’accordo politico raggiunto dai leader delle tre istituzioni europee (il presidente del PE, della Commissione e il primo ministro irlandese), il semaforo verde dei presidenti dei gruppi politici e l’avallo del Consiglio europeo. Se il calendario e gli impegni saranno rispettati, la Commissione europea potrà predisporre i programmi di spesa a partire dal 1° gennaio 2014 con particolare riferimento al fondo per la disoccupazione giovanile e alle piccole e medie imprese. L’accordo è il frutto di un precario equilibrio fra la posizione dei paesi contributori netti (Germania, Francia, Paesi, Bassi, Regno Unito, Svezia, Austria, Danimarca e Finlandia, cui si associò temporaneamente e inopinatamente anche il governo Monti) che valutano la loro partecipazione all’Unione sulla base del solo calcolo contabile fra quello che viene da loro versato annualmente nelle casse dell’Unione e quello che torna indietro attraverso i programmi comuni, quella dei beneficiari divisi tuttavia fra loro come i polli di Renzo, il Parlamento europeo e la Commissione Barroso: un accordo reso ancor più complicato dalle regole introdotte nel Trattato di Lisbona che prevedono una decisione unanime del Consiglio e l’accordo dell’assemblea parlamentare alla maggioranza dei membri che la compongono. Le prospettive finanziarie 2014-2020 erano state fissate nello scorso febbraio dai capi di Stato e di governo a un livello per la prima volta inferiore a quello del bilancio pluriennale precedente stabilito nel 2006 dopo la disastrosa presidenza dell’Unione del leader laburista britannico Tony Blair, suscitando la reazione sdegnata del Parlamento europeo. I deputati avevano tuttavia fatto sapere che avrebbero accettato i tagli al bilancio a condizione che i soldi non spesi in un esercizio annuale fossero riportati all’anno precedente e non restituiti agli Stati com’è avvenuto finora, che fosse prevista una revisione del bilancio pluriennale nel 2016 e che fosse rivisto il sistema delle entrate oggi largamente coperte da contributi degli Stati sostituendolo (come prevede il trattato) con una vera capacità fiscale dell’Unione europea. Nel periodo 2007-2013 ben sessantasei miliardi di Euro sono stati restituiti agli Stati membri creando un divario finanziariamente insopportabile fra gli impegni di spesa e i pagamenti e mettendo a rischio alcuni programmi (ricordate l’allarme sui pagamenti delle borse di studio agli studenti Erasmus ?). Il Parlamento avrebbe voluto che fosse fissato, nero su bianco, il principio del riporto integrale del non-speso da un anno all’altro ma l’accordo parla genericamente di flessibilità senza determinarne l’ammontare, legando così la decisione contabile alla buona volontà di tutti i governi. Su richiesta dei Paesi Bassi, il Trattato ha confermato che il Consiglio adotta il bilancio pluriennale all’unanimità (con l’ipotetica possibilità che il Consiglio europeo decida all’unanimità di applicare il principio del voto a maggioranza qualificata), il che vuol dire che la revisione a metà percorso nel 2016 avverrà sotto la spada di Damocle di veti nazionali alla vigilia delle elezioni generali nel Regno Unito. Per quanto riguarda il passaggio dai contributi nazionali alla capacità fiscale dell’Unione, le istituzioni europee hanno deciso di rinviare ogni decisione.... al 2021 mentre i paesi dell’Eurozona hanno rinunziato a discutere fra loro di un bilancio ad hoc per chi ha accettato la moneta unica o di una loro autonoma capacità fiscale fondata ad esempio su un uso comune delle risorse provenienti dalla tassa sulle transazioni finanziarie. E’ infine scomparso dall’agenda europea il tema degli Eurobond nella doppia versione di prestiti europei a garanzia del debito pubblico o di mutui per investimenti su progetti a dimensione europea garantiti dal bilancio europeo. A un anno di distanza dalla decisione del Consiglio europeo su un “piano per la crescita e l’occupazione”, i capi di Stato e di governo hanno dovuto ammettere che “molti altri sforzi dovranno essere fatti” rinviando la discussione al Vertice di fine dicembre. Insieme al tema degli Eurond sono scomparse dall’agenda del Consiglio europeo anche le questioni del rafforzamento della dimensione democratica dell’Unione e del completamento dell’unione economica e monetaria con una vera unione politica nonostante il recente annuncio di François Hollande che fissava il termine ad quem in due anni e l’impegno del nostro primo ministro a favore degli Stati Uniti d’Europa. Diceva Spinelli che intorno al tavolo del Consiglio i leader giocano con dadi truccati e che dai vertici intergovernativi è impossibile attendersi un salto in avanti verso un’Unione più efficace e più democratica. Occorre invece creare un’alleanza per far attribuire al Parlamento europeo che sarà eletto il 25 maggio 2014 il ruolo di una convenzione costituente stabilendo fin d’ora che il suo lavoro sia sottoposto all’accordo dei cittadini in un referendum paneuropeo.
Posted on: Tue, 02 Jul 2013 04:27:01 +0000

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