ora vi posterò una parte dellultimo capitolo del racconto il - TopicsExpress



          

ora vi posterò una parte dellultimo capitolo del racconto il raccolto di Paride Rombi..volevo avvertirvi che il racconto ha una fine drammatica per la famiglia.. per cui può non essere adatto a chi è facilmente impressionabile.. XIV LE QUADRE COLME Attingevano con le pale dal mucchio e riempivano le quadre. Poi rovesciavano il contenuto di queste nei sacchi, gridandone via via il numero da un gruppo all’altro. Poi, chiusa e legata l’imboccatura, caricavano i sacchi sulle carriole e li portavano nel magazzino. In questo consistono la misurazione e l’“inserro”, due operazioni che vanno avanti di pari passo (si conta e si immagazzina) e che sono come il sigillo di tutto il lavoro – di tutto il “travaglio”, anzi, ché questo è il termine, – durato così a lungo da “capodanno” in poi. Lavoravano distribuiti in tre gruppi, attorno all’enorme cono. Il quale, scalzato alla base da quell’assiduo lavoro di scavo delle pale, e di più che franava con facilità lungo i fianchi, un po’ alla volta si abbassava e rimpiccioliva. Da parte sua Giuanni Cinus, pur limitandosi a sorvegliare, non è che, anche in questa circostanza, e quando mai, si smentisse. Si muoveva di continuo da un gruppo all’altro e dall’aia al magazzino, impartiva disposizioni, comandava che si sbrigassero, faceva la parte del batti-fianco. Sapete quell’aculeo a due punte che i maestri di carri incastrano a metà del timone, in modo che i buoi vi battano di necessità il fianco e, sentendone la carezza, accelerino l’andatura: è quello il battifianco. «Avanti, sveglia, morti di sonno, arriveremo a Natale, di questo passo!». E, se del caso, non esitava a farsi lui stesso sotto, “per far vedere come si fa”. E bisognava allora realmente vederlo, basso tarchiato e un po’ strambato che era, afferrare con una mano sola la quadra colma, che mica è uno scherzo, e alzarla pari pari fino all’imboccatura del sacco come fosse un boccale di vino, che rimanevano gli stessi giovani a bocca aperta. «Eh, che ne dite, visto come si fa?». Ma faceva questo per posa, per valentia, per sfogo della propria eccitazione, non per necessità. Gli uomini infatti lavoravano con lena e speditamente, senza bisogno di stimoli. Non vedevano essi stessi l’ora che fosse finita, era l’ultimo giorno, questo, l’ultimo atto. Poi, se Dio vuole, a parte la paga e lo speciale premio in natura – che avevano ragione di credere sarebbe stato generoso, con un raccolto così abbondante – li aspettava la fatica ben altrimenti gradevole di mangiare e di bere, già si stavano approntando sotto il pergolato i tavoli di fortuna per il banchetto e già cominciava a sentirsi odore di arrosto, era questo che li spronava assai più che le sparate di Giuanni Cinus. Glielo dicevano del resto, il tema del banchetto offriva loro lo spunto per continue battute, mentre insaccavano. Non avesse timore che loro già si sbrigavano; se dopo, come speravano, c’era da lavorare di mascelle quanto ora di braccia, altro che se si sbrigavano, non vedeva che già avevano la bava alla bocca? E ben a ragione d’altronde; con un’annata così, con un raccolto così, il giorno dell’inserro aveva da essere in tutti i sensi un giorno da ricordare. Il numero delle quadre cresceva in fretta, si toccavano le mille quadre, poi le millecento, duecento, trecento e così via. Si arrivava alle duemila, si doppiava questa cifra, si andava oltre. Il mucchio del grano, alto in principio come una casa, scemava visibilmente, anche se non accennava a esaurirsi, così si toccava la quota tremila, uno dei bastanti gridava: «Quarantasette! », e l’altro faceva eco, per controllo: «Quarantasette!», e intendevano tremiladuecentoquarantasette, la pertica sulla quale, per ogni dieci quadre, s’incideva una tacca, era tutta già picchiettata in lungo e in tondo di questi tagli. C’è una parola, nella lingua di là, che significa stupore, ma che esprime, di più, un senso come di sbigottimento e perfino di allarme; ed è ispantu. Ebbene di questo tipo era la meraviglia che le proporzioni del raccolto suscitavano negli uomini, e in Giuanni Cinus non meno, via via che la conta le traduceva nella secca inoppugnabile verità delle cifre. Si temette a un certo punto che il grano potesse non starci, addirittura, nel magazzino. Uscivano stontonati i bastanti che attendevano allo stivaggio e dicevano a Giuanni Cinus: «Basta grano, padrone, non cape più» e doveva rassicurarli, dopo avere verificato di persona, che no, stessero tranquilli, “capiva” ancora, hai voglia. Frattanto il numero delle quadre cresceva sempre, già si avvicinava in maniera incredibile – fino a corrispondere in pieno, magari? – alla stima che Giuanni Cinus ne aveva fatta, come per bravata, quando ancora si ventilava. Il mucchio come tale, adesso, era ormai demolito, si lavorava sui rimasugli. «Novanta!» annunziò uno di quelli della conta. E il compagno corrispose: «Novanta!». Sembrava belassero. Significava quattromilasettecentonovanta quadre, ne mancavano cioè soltanto diciotto, perché la “profezia” di Giuanni Cinus si rivelasse precisa all’unghia. E non era finita. Spalarono ancora e ne vennero altre undici quadre. Si saliva a quattromilaottocentouno. «Spazzate fino all’ultimo, che Dio vi danni» diceva Giuanni Cinus additando quel che restava «che anche quello viene buono». Spazzavano infatti i bastanti le pietre dell’aia, con scope di bruga, ricavandone ancora un mucchietto che spingevano verso quelli della conta. «Ce ne sarà per un due quadre» dicevano. Ma uno di quelli della conta: «Non vorrete mica metterci anche la mondiglia, adesso, compare Cinus» disse «basta per vincere». Lui s’infuriò: «Mondiglia?» disse. «Questa è mondiglia? E questa? E questa?». E ne pigliava dal piccolo mucchio manciate e le mostrava una dopo l’altra all’incredulo come volesse accusarlo, prove alla mano, di bestemmia e d’insulto. E disse, nel momentaneo accesso d’ira, parole che suonarono stranamente ispirate e solenni, com’erano vibranti: «È grano» disse «è sangue mio!». Al punto che l’altro si affrettava a chetarlo: «Lo so, lo so, compare Cinus, non avete bisogno di ricorrere a trucchi, voi, con quello che vedono i nostri occhi». Una quadra venne piena e fu regolarmente contata. L’altra, l’ultima, non risultò proprio piena ma fu contata lo stesso. «Quattromilaottocentotré!» dissero quasi in coro. Una cifra mai toccata, in nessuna annata, come raccolto di un solo podere, a Serri. E, di più, la stima azzeccata quasi in pieno, cosa possono essere cinque quadre in uno sterminio così? «Ebbene, e allora» disse calmo Giuanni Cinus «me la date per vinta, o no, la scommessa? E adesso le canterete le vostre canzoni?». Sbollita l’ira, era tornato ridente. continua..
Posted on: Tue, 05 Nov 2013 19:31:38 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015