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shalom.it/_flip/2013_11/ Le ragioni di un lutto collettivo Written by Pierpaolo Pinhas Punturello Wednesday, 13 November 2013 Al funerale di rav Ovadia Yosef hanno partecipato più persone di quante non siano scese in piazza contro la guerra in Libano nel 1980 o per chiedere giustizia sociale ed economica nel 2011. di Pierpaolo Pinhas Punturello Ottocentocinquantamila persone hanno partecipato al funerale di rav Ovadia Yosef zzl. Sarebbe meglio dire che 850mila persone hanno percorso chilometri a piedi pur di partecipare al funerale, si sono arrampicate sui tetti di Yerushalaim pur di vedere passare il carro funebre ed hanno piantato in asso il lavoro o lo studio per correre al cimitero come se fosse morto un membro della loro famiglia. La società laica israeliana, ma non solo israeliana, guardando le immagini di questa imponente raccolta di persone si è resa conto che rav Ovadia Yosef zzl non era solo il capo spirituale del partito religioso sefardita Shas, non era solo lo scomodo esternatore di frasi ben manipolate da un certo tipo di stampa, ma era prima di ogni cosa un grande maestro, un possek di raro genio, sensibilità e preparazione. La morte di rav Ovadia ha fatto riunire insieme più persone di quanto non abbiano fatto le proteste contro la guerra in Libano negli anni del 1980 o le manifestazioni per la giustizia sociale ed economica del 2011. Un funerale che la stampa ha definito come “l’accompagnamento funebre più imponente nella storia dello Stato di Israele”. I commentatori, gli opinionisti e gli analisti sociali con kippà e senza si sono lanciati in tentativi di definizioni attraverso il concetto di “carisma”, “capacità sociale” o “vicinanza con il popolo”. In pochi, pochissimi, sono andati diritti alla radice del legame tra rav Ovadia ed il popolo ebraico: la Torà. Rav Ovadia era un grande rav. Un grande insegnante. Un grande comunicatore. Un rabbino capace di parlare con parole semplici anche dei concetti più difficili, capace di comunicare con il popolo perché non ha mai dimenticato di venire dal popolo, capace di essere un possek, un decisore halachico, dall’ampio respiro e dalla grande dote di saper permettere prima ancora che vietare. Un uomo, rav Ovadia, che come politico ha saputo dare nuova dignità al mondo sefardita come ai tempi di Maimonide, facendo in modo, attraverso la Torà e la politica stessa, che l’establishment rabbinico ashkenazita fosse costretto ad accettare sempre più dayanim e rabbini sefarditi nei ranghi della Rabbanut statale. Se negli spazi laici dello stato di Israele chiamarsi Haddad e chiamarsi Stein non è la stessa cosa a favore del secondo rispetto al primo, nel mondo religioso grazie a rav Ovadia le due presenze sono sullo stesso piano. Questa realtà può spiegare la massiccia presenza di sefarditi al funerale di Rav Ovadia: sono i suoi figli, i figli spirituali, coloro i quali si sono lacerati le vesti come si fa con un parente stretto al momento dell’accettazione del lutto. Ma non c’era sono solo sefarditi tra le 850.000 persone in lacrime. Molti dei volti addolorati erano etiopi. Nel 1973 quando rav Ovadia divenne rabbino capo sefardita di Israele, in maniera rivoluzionaria e contraria alla maggioranza del mondo ebraico dell’epoca, compresi i Chabad, generalmente molto attenti ad avvicinare gli ebrei “lontani”, affermò che i Beta Israel etiopi erano ebrei in tutto e per tutto, aprendo quindi le porte della loro alyà e lavorando negli anni successivi alla loro integrazione nella società israeliana. Questa ferma posizione di accoglienza verso il mondo etiope portò Rav Ovadia a licenziare nel 2009 un dirigente scolastico del gruppo politico Shas che si rifiutava di accettare studenti etiopi. La sua indiscutibile presenza di uomo di Torà ha fatto in modo che anche moltissimi charedim ashkenaziti fossero tra coloro che hanno portato l’ultimo saluto a rav Ovadia. Lituani, chassidim, chabad: un intero ventaglio di radici est europee ha pianto l’autorità halachica di rav Ovadia pur nella distanza delle origini e dei mondi di formazione. Molte, moltissime le donne presenti al funerale. Il rapporto di rav Ovadia con l’altra metà del cielo fu tutt’altro che scontato e monolitico. Ha sempre sostenuto il dovere dello studio per le donne, la necessità di una loro formazione e di una loro educazione scolastica e persino accademica ed è stato sempre molto sensibile al tema delle agunot, le donne abbandonate dai propri mariti senza aver ricevuto un divorzio e quindi senza prospettive di nuovi matrimoni e nuove vite. Sempre nel 1973, dopo la guerra dello Yom Kippur, in quanto rabbino capo sefardita Rav Ovadia istituì un Bet Din che aveva come unico scopo quello di fornire ogni soluzione halachica possibile per liberare le donne agunot da questa condizione. Si narra che persino un anello nuziale con inciso un determinato nome di donna ed indossato da un soldato caduto non riconoscibile veniva impiegato come mezzo per stabilire il legame nuziale con una donna specifica e liberarla dichiarandola vedova. Seguire quest’approccio così estremo significava e significa mostrare una profonda sensibilità verso le donne. Ma rav Ovadia ebbe a cuore, nel suo cuore di possek, anche la questione della pace e della sicurezza. In maniera palesemente diversa rispetto al mondo che lo circondava già nel 1979 sosteneva i colloqui di pace e l’idea della restituzione dei territori conquistati in guerra in nome della pace, nonché la stessa idea della restituzione dei terroristi arrestati in nome della restituzione dei soldati israeliani rapiti e tenuti in ostaggio. Lo sguardo verso il mondo militare e la sensibilità verso chi difende lo Stato di Israele ha portato rav Ovadia nel 2011 a riconoscere le conversioni dei soldati all’interno del Bet Din militare ed a sostenere il loro riconoscimento da parte del rabbinato centrale di Israele. L’altro sguardo che possiamo avere su rav Ovadia è quello politico legato ai conflitti ed agli intrighi di corte di un movimento, Shas, che ha molte luci e moltissime ombre e che per molto tempo ancora farà parlare di sé e delle tristi lotte di potere che oggi si accentuano dopo la morte del Maran Ovadia Yosef zzl. Le ombre di Shas e della sua corruzione sono pubbliche, come lo sono le crociate contro il dissidente rav Haim Amsalem che sostiene l’arruolamento militare di charedim ed il loro obbligo al lavoro. Ombra è l’assenza di un’adeguata preparazione secolare nelle scuole sotto influenza del partito Shas, cosa che non permette alle masse sefardite una crescita laica all’interno di un paese, Israele, che tende da sempre alla discriminazione sefardita da parte della intellighenzia ashkenazita. In questo modo Shas, non permettendo un reale riscatto dei sefardim se non all’interno dei confini religiosi, avrà sempre un bacino elettorale al quale attingere. Queste ombre non devono però farci dimenticare il Maestro, il grande maestro della nostra generazione che ha influenzato profondamente la nostra ebraicità, indipendentemente dai mondi ebraici di riferimento: qui a Yerushalaim tra le yeshivot che hanno dedicato intere giornate di studio alle decisioni halachiche di rav Ovadia ed ai suoi responsa, c’era anche la Yeshivà Conservative di rechov Agron. Se all’uomo politico Ovadia Yosef potremmo e potremo criticare molte azioni, al Maestro dobbiamo portare il nostro tributo e perpetuare la forza dei suoi insegnamenti, la forza umana delle sue facilitazioni che hanno avvicinato e tenuto saldo tanto mondo ebraico alla Torà. Pierpaolo Pinhas Punturello Next > [ Back ]
Posted on: Thu, 14 Nov 2013 14:46:05 +0000

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