Così scrivevo l’altro giorno in una breve nota (Per un - TopicsExpress



          

Così scrivevo l’altro giorno in una breve nota (Per un liberismo molto selvaggio. Praticamente rivoluzionario…) postata su Facebook che voleva essere ironica – e che tra l’altro si è prestata a qualche bizzarra interpretazione: Mentre i sempre più rari sostenitori della liberazione degli individui dai maligni rapporti sociali capitalistici, difesi all’ultimo sangue dal Leviatano (non importa se in guisa democratica o autoritaria), studiano, a quanto pare ancora senza successo, il modo idoneo a trasformare i salariati da soccorritori del Capitalismo, quali sono stati a tutti gli effetti negli ultimi ottanta e più anni, nei suoi becchini, secondo l’indicazione del noto alcolizzato di Treviri, ecco giungere da Nichi Narrazione Vendola l’aurea indicazione. «Il liberismo è una minaccia per il Capitalismo e per la democrazia», ha dichiarato ieri sera il bel tomo a Lilli Gruber. Ecco dunque infine trovata la strada tanto agognata! Cosiddetti rivoluzionari, prendete nota e riponete in soffitta decenni di astruserie dottrinarie. Altro che “marxismo”: è il liberismo, preferibilmente selvaggio, che ci trarrà fuori dalla lunga impasse escatologica. Bisogna rafforzare e potenziare la minaccia per il Capitalismo e per la democrazia: è la parola d’ordine dei nostri critici tempi. E pensare che c’è qualcuno che parla di Vendola come di un «supercazzolaro»: più chiaro di così! Vuoi vedere che Beppe Grillo si riferiva a qualcun altro… Ho ripreso il post per presentare un altro sinistro che si preoccupa dello stato di salute del Capitalismo, attaccato non dalla classe che, secondo le note “profezie”, dovrebbe scavargli la fossa, ma dal solito liberismo selvaggio. Intendo così suffragare la tesi secondo la quale i sostenitori dichiarati di quel regime sociale basato sullo sfruttamento scientifico di uomini e cose abbondano soprattutto a “sinistra”, nel cui seno i sacerdoti di Keynes e dello statalismo (in guisa di «ritorno della politica») custodiscono, a quanto pare, le migliori ricette idonee a trarre il Moloch sociale dal baratro dentro il quale minaccia di trascinarci tutti. Stando così le cose, i teorici del “liberismo selvaggio” sembrano lavorare stakanovisticamente alla distruzione del sistema. Quanto è astuta la ragione rivoluzionaria! Ma presentiamo il nostro uomo: si tratta di Gianfranco Sabattini, il quale in un articolo pubblicato da Mondoperaio si chiede se sia «possibile costruire un “capitalismo buono”». Nell’articolo in questione egli prende di mira Will Hutton, Presidente dell’inglese Big Innovation Centre, di orientamento laburista, il quale «in un articolo apparso su “Reset.it” si chiede dove stia andando la sinistra europea, col preciso intento di indicargli un possibile percorso per contribuire a “costruire un capitalismo buono”. L’analisi che Hutton compie sulle trasformazioni genetiche che il capitalismo attuale ha subito rispetto all’origine coglie nel segno, ma la terapia che propone lascia qualche dubbio e molti motivi di perplessità» (È possibile costruire un “capitalismo buono”?, Mondoperaio, 14 giugno 2013). Quella che Sabattini condivide di Hutton è la solita analisi stantia e stereotipata della crisi, in auge tanto a “destra” quanto a “sinistra”, sia nel mondo laico come presso il Santissimo Padre, basata su una feticistica interpretazione della cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, contrapposta nel consueto dualistico modo alla cosiddetta «economia reale», fonte, com’è noto, d’ogni bene materiale e spirituale. «Troppi imprenditori, motivati unicamente dalla ricerca del profitto, hanno perso di vista la loro responsabilità sociale». «Unicamente»? Ma la massima «responsabilità sociale» degli imprenditori è proprio quella di cercare il massimo profitto, possibilmente nel modo più rapido e indolore possibile. Non bisogna essere nati a Treviri e avere il noto barbone sulla faccia per sapere che il motore dell’economia capitalistica è il profitto, e difatti, come diceva l’ubriacone tedesco cui alludevo, «il prodotto specifico del processo di produzione capitalistico è il plusvalore», il quale «viene creato dallo scambio con lavoro produttivo», ossia, “volgarizzando”, mercé lo sfruttamento a cura del Capitale della viva capacità lavorativa. È questa l’etica del Capitale, la sola «legge morale» che oggi domina in tutto il pianeta. Inutile dire che Sabattini è di opposto avviso: «Si è consolidata una cultura politica ed economica che considera prioritaria la creazione di condizioni che favoriscano l’autonomia manageriale e la massimizzazione del valore per gli azionisti, a scapito della salvaguardia del valore sociale del sistema delle imprese. In questo modo, le organizzazioni imprenditoriali hanno perso la capacità di mettere gli individui nella condizione di dare un senso al proprio lavoro; ciò perché hanno smarrito il modo di esprimere valori e finalità in cui i lavoratori possano identificarsi». Con il consueto ideologico capovolgimento della realtà si attribuisce un processo materiale di lunga lena a un consolidamento di una peculiare «cultura politica ed economica»: tipico, oltre che banale. Ora, qual è «il senso» del lavoro salariato? Lo sfruttamento intensivo del tanto strombazzato «capitale umano», non è ovvio? A quanto pare non lo è affatto, e ben si comprende la ragione. Gli unici «valori» che riesco ad associare al Capitalismo sono i “triviali” valori di scambio, e la sola «finalità» che concepisco per esso è il solito profitto. Tutto il resto è ideologia borghese che da troppi decenni domina il corpo e l’anima degli individui, dei lavoratori in primis. Chi non riesce a connettere la tanto detestata «finanziarizzazione dell’economia» quale si è data negli ultimi quarant’anni (ossia a partire dalla definitiva chiusura del lungo ciclo iniziato nel secondo dopoguerra) con le trasformazioni che sono intervenute nella struttura della cosiddetta «economia reale», colta nella sua dimensione mondiale, nonché con le sue mutevoli e autoritarie esigenze e con le sue sofferenze (leggi alle voci saggio di accumulazione e saggio del profitto), non comprenderà mai l’essenza dei processi sociali oggi in atto sia nella «struttura» che nella «sovrastruttura» della Società-Mondo. Chi non prende atto dell’intima e inscindibile relazione che insiste ormai da oltre un secolo tra Capitale industriale e Capitale finanziario (con annesse attività speculative), con la crescente preponderanza del secondo come espressione della natura sempre più socialmente totalitaria e totalizzante del rapporto sociale capitalistico (marxianamente, il denaro come espressione del lavoro sociale mondiale), mostra di non aver compreso l’ABC del Capitalismo di ieri, di oggi e di sempre. Non è il denaro che fa girare il mondo, ma è piuttosto il mondo basato sullo sfruttamento del lavoro salariato che rende possibile l’esistenza del denaro nelle sue diverse configurazioni economiche: questo gli economisti borghesi che rimangono impigliati nei fenomeni che rigano la sfera della circolazione non potranno mai comprenderlo, non solo per un difetto di consapevolezza critica, ma soprattutto perché è lo stesso reale svolgimento dell’economia capitalistica, che dà corpo a mille contraddizioni e ad altrettanti più o meno pseudo paradossi, che genera una congerie di apparenze che si prestano a subire il trattamento feticistico. Veniamo adesso alla «terapia» proposta da Hutton che il Nostro salvatore del Capitalismo non condivide: «Oggi, le imprese, per Hutton, dovrebbero riconquistare il loro antico ruolo di organizzazioni responsabili, per contribuire a proporre nuove regole del gioco, in modo tale da promuovere l’equità, la coesione sociale, il benessere e la sostenibilità del funzionamento del sistema economico nel lungo periodo. Per perseguire tali obiettivi occorrono leader politici ed economici che abbiano piena consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti dell’intero sistema sociale e che sappiano ricuperare l’istanza illuministica della funzione regolatoria della “sfera pubblica” […] La proposta di Hutton non è altro che una mistificazione, in quanto presume che il capitalismo post-fordista possa autocorreggersi, pensando che improvvisamente i suoi protagonisti da “diavoli”, quali essi sono, possano trasformarsi, perché folgorati da un profondo senso di colpa per ciò che hanno concorso a determinare, in “angeli”. Con questo assunto significa però mettersi fuori dal mondo. In realtà, per il ricupero di un equilibrato funzionamento dei sistemi economici in crisi, occorrono appropriate politiche pubbliche con le quali i leader politici, autenticamente riformisti e legittimati dal consenso della maggior parte della società civile, riescano a realizzare, nel lungo termine, riforme strutturali. In assenza di queste non sarà possibile ricuperare il ruolo e la funzione della sfera pubblica, in quanto mancherebbe la possibilità d’imbrigliare l’arroganza dei “turbocapitalisti” in funzione del rispetto anche degli interessi collettivi. Solo in questo modo è plausibile pensare di poter costruire un “capitalismo buono”, non come graziosa concessione di organizzazioni imprenditoriali che hanno perso il senso della loro “mission” sociale, ma come realizzazione sociale di una nuova organizzazione della società e della sua economia per realizzare un futuro migliore del mondo attuale, prima che i suoi rudi costruttori finiscano di distruggerlo in nome di una crescita senza limiti». Mi scuso per la lunga citazione, ma penso valga la pena comprendere il ragionamento dei salvatori “da sinistra” del Capitalismo, i quali, da perfette – e ridicole – mosche cocchiere, pensano davvero di poter plasmare i processi sociali a loro immagine (keynesiano-statalista) e somiglianza. Come ho scritto su diversi post, non solo le politiche keynesiane non hanno mai risollevato le sorti del saggio di valorizzazione del capitale investito, dal quale in ultima istanza dipende la ripresa in grande stile dell’accumulazione capitalistica, mentre al massimo hanno in qualche modo attenuato i fenomeni legati alla drammatica caduta della domanda in grado di pagare (la sola che abbia cittadinanza nel Capitalismo); ma esse hanno sempre manifestato la maligna tendenza a trasformare uno stato di crisi acuta in una condizione di stagnazione prolungata. Di qui la riluttanza della politica governativa nei confronti delle ricette keynesiane, maturata soprattutto nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, quando l’inconsistenza e perfino la pericolosità di quelle ricette miracolistiche apparvero al di là d’ogni ragionevole dubbio. Le «riforme strutturali» evocate da Sabattini per essere capitalisticamente efficaci devono, per un verso, rendere profittabile l’investimento produttivo (ad esempio, attraverso una radicale ristrutturazione del mercato del lavoro, o mediante sgravi fiscali tesi a ridurre il famigerato «cuneo», ecc.), e per altro verso innalzare la produttività sistemica del Paese, ad esempio attraverso la drastica (drammatica) riduzione della spesa pubblica improduttiva che foraggia ogni tipologia di parassitismo sociale, la “riforma” del Welfare e così via. Scrivo questo non certo per offrire la mia ricetta anticrisi al Bel Paese (il mio “disfattismo rivoluzionario” è noto e non ha mai conosciuto dubbi di sorta), ma per ribadire come siano gli interessi dell’economia capitalistica a dettare, “in ultima analisi” ma con assoluta necessità, le regole a tutti, leader politici compresi. In un articolo del 12 novembre 2012, pubblicato sempre su Mondoperaio, Sabattini rivendica «il metodo istituzionalista che Marx per primo ha proposto». È proprio vero, non si finisce mai d’imparare! Di che si tratta? È presto detto: «Questo metodo d’analisi respinge l’idea che il sistema economico possa funzionare all’interno di un presunto stato di natura, perché le leggi che governano l’economia sono valide solo per una fase particolare dello sviluppo storico dell’intero sistema sociale ed economico». E fin qui potrei pure sottoscrivere. Ma andiamo avanti: «Nel senso che il continuo sviluppo della produzione è alla base del cambiamento continuo dell’organizzazione del sistema sociale ed in particolare della sua organizzazione istituzionale. Man mano che la produzione si espande, si creano i presupposti perché una data organizzazione istituzionale, all’interno della quale la stessa produzione si svolge, divenga obsoleta, trasformandosi in un ostacolo al governo del funzionamento del sistema economico e, in generale, alla soluzione dei problemi sociali da esso originati. L’obsolescenza dell’organizzazione istituzionale pone la necessità della sua sostituzione attraverso la progettualità dei partiti politici; questi, allargando la considerazione del numero delle variabili sociali influenti sul funzionamento del sistema economico, come suggerito da Marx, devono promuovere un processo co-rivoluzionario, nel senso in cui l’ha inteso lo studioso marxista David Harvey in L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza». Marx ridotto a uno Schumpeter qualsiasi al servizio dell’accumulazione capitalistica e allo sviluppo della società borghese: che miseria intellettuale! Il comunista di Treviri penetrò la natura «oggettivamente rivoluzionaria» del rapporto sociale capitalistico per metterne a nudo l’essenza antiumana, non certo per collaborare al «processo co-rivoluzionario», comunque declinato. Sull’insulso «studioso marxista» Harvey rinvio a un mio post di due anni fa. Ma finiamo di trangugiare la pessima bevanda: «Il processo co-rivoluzionario [sic!] dovrebbe avere come obiettivo la creazione ordinata di una nuova forma di organizzazione sociale, nella quale la valorizzazione del capitale cessi di essere l’unico [sic al cubo!] motivo ispiratore del governo del sistema sociale. A tal fine, l’obiettivo non può essere perseguito con la distruzione delle istituzioni sociali ed economiche plasmate dall’umanità per fare fronte ai propri stati di bisogno, ma attraverso la creazione di un nuovo ordinamento sociale ed economico». Ho il sospetto che la supercazzola «istituzionalista» di Sabattini non voglia significare altro che la conservazione dei vigenti rapporti sociali capitalistici.
Posted on: Sat, 15 Jun 2013 09:57:17 +0000

Trending Topics



;"> Happy Martin Luther King Day! Did you know this is the only

Recently Viewed Topics




© 2015