Emilio Isgrò: l’Italia (forse) è un modello da cancellare La - TopicsExpress



          

Emilio Isgrò: l’Italia (forse) è un modello da cancellare La costituzione delle api, un’opera recente di Emilio Isgrò Alla Gnam di Roma una grande retrospettiva ripercorre la carriera di un eclettico maestro ELENA DEL DRAGO ROMA «Non ho lavorato del tutto in solitudine, perché ho sempre tenuto presente il quadro generale dell’arte, ma ho cercato di dare risposte taglienti e diverse, soprattutto per amore della libertà che si deve praticare fino in fondo anche in momenti di crisi come questo»: Emilio Isgrò in questa frase condensa le caratteristiche che ne hanno fatto uno dei grandi dell’arte italiana, capace di essere attuale negli Anni 60 come oggi, con la stessa voglia di incidere soprattutto nella società, di mostrare le possibilità dell’arte superando la ristretta cerchia di colleghi, appassionati e addetti ai lavori. E questa retrospettiva rigorosamente non cronologica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a cura di Angelandreina Rorro, in un percorso a ritroso che dalla produzione degli ultimi anni torna indietro fino agli Anni 60, sottolinea proprio questo filo conduttore di impegno sociale, che perde progressivamente di ideologia, conservando la consapevolezza di dover agire a partire dall’individuo, dall’arte. «Non descrivo gli uomini secondo la loro appartenenza ma seguendo la loro umanità» dice l’artista. Che continua: «Ci vuole una crescita generale e l’arte può rappresentare la punta di diamante, può aiutare a risvegliare energie sopite: se abbiamo una cattiva politica sopravviviamo, se abbiamo una cattiva arte siamo destinati a sparire».È con questa certezza che Isgrò, artista, ma ancora prima poeta, scrittore, giornalista e drammaturgo nato a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, nel 1937, attraversa il presente dell’arte e della storia politica dagli Anni 50, quando si è stabilito a Milano, dove continua a lavorare. Si comincia dunque dagli ultimi lavori, tra i quali Sbarco a Marsala, «anti-statua» che sovverte l’idea tradizionale del monumento all’Eroe dei due mondi, in questo caso abbattuto da un esercito di minuscoli insignificanti insetti, le formiche, capaci di «cancellare» una delle icone più presenti nell’urbanistica d’Italia. E così, subito, all’inizio del percorso espositivo incontriamo una cancellatura, sebbene ripensata per la terza dimensione, la cifra caratteristica di tutto il percorso di Isgrò, che anche grazie a questa pratica è diventato un esempio per molti artisti delle generazioni successive, a cominciare da Maurizio Cattelan che in catalogo ha esplicitato la propria stima con un omaggio. E pensare che Isgrò ebbe la prima idea di cancellatura nel 1962 lavorando a un testo di Giovanni Comisso, pieno di correzioni e ripensamenti, che gli appaiono all’improvviso forti come o più delle stesse parole. Da allora le «cancellature», tratti più o meno spessi in bianco o nero, sono state molte e differenti, hanno reinventato libri, enciclopedie (che scandalo quando toccò alla Treccani!), manifesti, persino la Costituzione Italiana, formalmente eleganti ma non per questo meno taglienti, in un chiara insofferenza dell’autorità e all’ovvio che non risparmia neppure se stesso. In un’opera del 1971, tra le più folgoranti di questa mostra romana, Dichiaro di non essere Emilio Isgrò, l’artista siciliano ha chiesto ad amici, conoscenti e parenti di negare con pochi particolari la propria identità, di disconoscerlo. Un’opera dettata dall’osservazione di un progressivo appiattimento «provocato da un certo modo di gestire l’arte, che in qualche modo finiva per cancellare l’identità degli uomini e la stessa figura dell’artista come suscitatore di energie: era un sentimento di disperazione e speranza insieme». Un’opera apparentemente sconfessata, ma invece ribadita in una chiusura momentanea del cerchio, da un’altra intitolata a mo’ di manifesto Dichiaro di essere Emilio Isgrò: sono passati più di quarant’anni e l’artista sembra dichiarare il proprio destino da una prospettiva forse più individuale, meno legata alla dimensione collettiva così imperante negli Anni 70. Ma non è soltanto il «Modello Italia» del titolo ad essere presente in mostra, tanto con opere ultime come L’Italia che dorme oppure la Cancellazione del debito pubblico, quanto con altre meno recenti che ci riportano a ripercorrere la nostra storia come il celebre ritratto dell’Avvocato (Particolare ingrandito di Gianni Agnelli) o l’emozionante Ora Italiana, dedicata nel 1985 alla Strage di Bologna di tre anni prima. C’è anche un’attenzione a tratti preveggente delle dinamiche globali soprattutto con la magnifica installazione dedicata ai Codici ottomani, realizzata a Istanbul, che lascia intravedere l’eleganza dei caratteri originali. Opere che ci pongono di fronte al travagliato rapporto tra Oriente e Occidente, tra Islam e modernità, opere che guardano altrove traendo linfa sempre dallo stretto legame che l’artista ha mantenuto con la cultura siciliana. Il rapporto viscerale di Isgrò con l’isola in cui è nato, nonostante la lontananza fisica, è un filo rosso e infatti emerge in diversi lavori in mostra a Roma, come Mantra siciliano per madonne toscane, ed è centrale nell’allestimento di questi giorni al Museo Archeologico Regionale Luigi Bernabò Brea, a Lipari, dove iscrizioni risalenti all’epoca greca vengono «cancellate» dalla danza proiettata di tante piccole api, insetti che insieme alle formiche e agli scarafaggi popolano le opere più recenti di Isgrò. Sono opere e installazioni in cui l’impegno civile non potrebbe essere meno rigido, prende anzi un aspetto quasi ludico, certamente ironico e coinvolgente, anche da una prospettiva estetica: «Voglio far sentire la crisi senza fare disperare le persone. Se un’artista osa tanto e l’artista è una persona fragile, può farlo anche la società».
Posted on: Tue, 27 Aug 2013 19:12:06 +0000

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