Gli articoli di Gianfranco La Grassa dedicati alla crisi delle - TopicsExpress



          

Gli articoli di Gianfranco La Grassa dedicati alla crisi delle cosiddette «primavere arabe» sono interessanti non tanto, o non solo, per l’analisi geopolitica dello scenario regionale (dal Medio Oriente al Maghreb) e planetario che sorregge la sua riflessione “post-comunista” del mondo, analisi che in parte condivido (salvo che per le sue implicazioni squisitamente politiche); quanto per le critiche alla «sinistra», anche a quella più «radicale», che vi si trovano. Si tratta forse di un regolamento di conti tra ex compagni di strada? Leggendo questi articoli la domanda sorge, come si dice, spontanea. Ecco, ad esempio, cosa scrive La Grassa a proposito dell’ultimo «colpo di Stato militare» nel Paese delle piramidi, il quale, tra l’altro, avrebbe incontrato la «chiara soddisfazione israeliana»: «È ora che lo si chiami con il suo nome e non con la finzione di un semplice aiutino dato al popolo, finzione tipica anche di ipocriti e infami “fu” antimperialisti, che non lo sono in realtà mai stati; erano degli imbroglioni pagati da “chi sa chi” (ma ora si capisce chi era!) per andare in giro nel mondo a predicare un terzomondismo fallimentare e dunque connivente nei fatti con il paese che imponeva il proprio predominio (gli Usa)» (Prudenza, please!, Conflitti e strategie, 21 agosto 2013). Il cosiddetto antimperialismo e il terzomondismo d’accatto del “bel tempo che fu” (quando l’Imperialismo Russo marciava sotto la bandiera rossa) come strumenti politico-ideologici al servizio dell’Imperialismo americano? I «fu antimperialisti» e i terzomondisti fallimentari prezzolati da Washington? La mia tesi è che gli uni e gli altri fossero piuttosto al servizio delle potenze concorrenti degli Stati Uniti: Unione Sovietica, Cina, India e «Sud del mondo» in generale. Il limite teorico e politico più grave dell’antiamericanismo e del terzomondismo è stato sempre quello di aver trascurato, o comunque grandemente sottovalutato, la tensione sistemica (economica, politica, geopolitica, ideologica) che si è andata accumulando, a partire dal secondo dopoguerra, nel campo imperialistico dominato dagli americani; questa tensione, molto forte sul terreno della competizione squisitamente capitalistica (ossia della contesa economica, tecnologica, scientifica), è stata appiattita, e di fatto cancellata, in ossequio alla – falsa, astorica, adialettica – teoria del padrone assoluto alle prese con meri «servi sciocchi». La riunificazione tedesca, basata in larga misura sulla potenza capitalistica della Germania, sulla sua superiorità sistemica nei confronti dei “paesi fratelli” europei, ha dimostrato nel modo più clamoroso quanto fallace fosse quella teoria. La dialettica interimperialistica Nord-Nord, di gran lunga più interessante sul piano analitico e certamente più significativa dal punto di vista della lotta di classe anticapitalistica, è stata sacrificata sull’altare della dottrina stalinista-maoista del «nemico principale», individuato nell’Occidente in generale e negli Stati Uniti in particolare. Come si fa a non sghignazzare, ad esempio, pensando che in Italia c’è ancora gente che confida in un personaggio come Hamdin Sabbahi, leader del Fronte di salvezza nazionale che appoggia “da sinistra” l’attuale regime militare, il quale ha rilasciato la dichiarazione che segue: «Invitiamo Vladimir Putin a venire al Cairo, lo acclameremo, come ha fatto Nasser con l’Unione sovietica» (Il Manifesto, 21 agosto 2013)? Ci mancava pure il ritorno di Nasser! Si sa, a volte ritornano… Si annuncia un nuovo “socialismo” con caratteristiche egiziane? È proprio vero: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Mi correggo: come macchietta, nel caso degli italici nasseriani. Ma ritorniamo, per concludere questa breve riflessione, a La Grassa, interessato, a quanto pare, a sostenere un assetto multipolare del mondo: «Stiamo però attenti a quei fottuti che, fingendosi anti-americani, anti-israeliani, anti-imperialisti, in realtà si schierano con una delle strategie Usa, cioè con uno dei “centri strategici” di quel paese, tutti miranti allo stesso scopo anti-multipolare con mezzi e manovre diversi. Per questo va sempre usato il plurale: strategie, non strategia. Negli Usa andranno appoggiati soltanto quei centri che, infine, accettassero la visione multipolare». Ne ricavo l’idea che il Nostro bastona i «fottuti» di cui sopra in ragione di un autentico antiamericanismo, o quantomeno in vista di un radicale ridimensionamento dell’imperialismo americano. Dal mio punto di vista, che non si radica sul terreno della geopolitica ma su quello dell’anticapitalismo conseguente (ossia rivoluzionario), un mondo «multipolare» appare orribile esattamente come un mondo «monopolare». D’altra parte, lo stesso Grassa, aderendo alla dottrina del realismo geopolitico, non ci tiene affatto a vendere l’auspicato mondo «multipolare» nella confezione arcobaleno che tanto piace ai pacifisti: «Non cominciamo però ad illudere nessuno: simile prospettiva non assicurerà certamente una pace perpetua. La pace sarà sempre ballerina, incerta, ondeggiante; per il semplice motivo che sarà assicurata soltanto da un equilibrio delle forze, dal guardarsi sempre “le spalle”, dal prevedere i tradimenti e i tentativi di aggressione per vie traverse (anche usando le solite quinte colonne, infami rinnegati e traditori del tipo di quelli che oggi in Italia stanno a “sinistra”, perfino in quella che si dice radicale, anticapitalista, per la “giustizia” e il “bene dei popoli”)». Non avendo mai avuto nulla a che spartire (anzi!) con i sinistri che tanto irritano La Grassa, non mi sento minimamente toccato dalle sue simpatiche invettive, le quali peraltro non toccano il cuore del problema, ossia la reale natura della “sinistra”, inclusa «quella che si dice radicale». Probabilmente La Grassa non ha saputo fare i conti come si deve con lo stalinismo. È un’ipotesi, si capisce. Concludo davvero con questa interessante citazione, che mi permette di autocitarmi: «I cosiddetti “popoli” – che poi sono in genere delle élites che si inseriscono in una lotta sociale, facendo leva sui sedicenti oppressi per liberarsi dei vecchi detentori del potere e impadronirsene loro, a loro uso e consumo – saranno sempre al seguito di qualcuno dei gruppi attualmente in “pole position” nei diversi paesi (“che contano”)». Mettete a confronto questa tesi con quella, assai più modesta, da me elaborata in Egitto e dintorni il 7 luglio: «Come ho scritto altrove, solo chi è impigliato nella rete dell’ideologia dominante (borghese) può usare col sorriso sulle labbra, come se si trattasse della cosa più bella del mondo, il concetto di “popolo”, il quale, in Egitto e ovunque, cela una realtà sociale fatta di classi, semi-classi, ceti e di tante stratificazioni sociali comunque irriducibili a quel concetto. In Egitto come in ogni altra parte del mondo il “popolo” è una parolina magica evocata dai “sicofanti” per far scomparire la divisione classista della società e il rapporto sociale di dominio e sfruttamento che informa l’attività “umana” in tutto il pianeta. Soprattutto nel XXI secolo il “popolo” è una truffa tentata ai danni dei dominati». Non mi stupirei se La Grassa condividesse questa mia “ortodossia veteromarxista”.
Posted on: Thu, 22 Aug 2013 10:15:41 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015