LA PARABOLA DELLE DIECI RAGAZZE (Mt 25, 1-13) MESSAGGIO DA - TopicsExpress



          

LA PARABOLA DELLE DIECI RAGAZZE (Mt 25, 1-13) MESSAGGIO DA SCOPRIRE La parabola delle dieci ragazze La parabola delle dieci ragazze che vanno incontro allo sposo fa capire quale deve essere la condizione dei credenti, perché il loro incontro definitivo con Gesù Cristo, Signore risorto, sia un evento di salvezza e non di condanna. Occorre che abbiano le lampade accese e risplendano come luce (cf. Mt 5,14-16), cioè siano perseveranti nel compiere le opere dell’amore. Non basta essere tra coloro che vanno incontro al Signore. Nell’incontro con il Signore ognuno sarà giudicato secondo il suo agire. I. PROBLEMA DA CUI PARTIRE La riflessione può partire dal fenomeno culturale diffuso nel nostro tempo, secondo il quale si tende a rimuovere il pensiero della morte e del dopo-morte. Ma si può partire anche dall’atteggiamento di speranza operosa che contraddistingue la vita di tante persone credenti, che perseverano nel fare il bene, nonostante l’apparente inutilità di esso. Si pensi a tanti missionari, che rimangono fedeli alle loro comunità perseguitate in Indonesia, oppure decimate dalla guerra in Burundi, Ruanda e Congo. Si possono citare “storie di vita” anche di persone che abitano vicino a noi e che testimoniano in maniera silenziosa ma fedele il loro amore a un figlio handicappato o ai malati terminali o a giovani tossicodipendenti… Chiediamoci: che cos’è davvero importante nella vita? II. LETTURA DELLA PARABOLA Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,1-13) [1] Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. [2] Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; [3] le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; [4] le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dellolio in piccoli vasi. [5] Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. [6] A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! [7] Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. [8] E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. [9] Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. [10] Ora, mentre quelle andavano per comprare lolio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. [11] Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! [12] Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. [13] Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né lora. III. INTERPRETAZIONE DELLA PARABOLA di Rinaldo Fabris La storia parabolica delle dieci ragazze che attendono lo sposo, è riferita solo da Matteo. Levangelo di Luca conosce una tradizione in cui è supposta una situazione analoga: i servi attendono con le lampade accese il loro padrone quando torna dalle nozze, Lc 12, 35-36. Un altro frammento di parabole, che ricorda il dialogo finale del racconto di Matteo, si ha in Lc 13, 25-27; Mt 7, 22-23. Matteo ha utilizzato una tradizione, dove questi vari spezzoni erano fusi in un racconto parabolico. Con un sapiente montaggio redazionale egli lha inserito nel discorso sulla venuta del Figlio delluomo. La questione previa da risolvere per fare una lettura coerente di questo brano evangelico è di stabilire la sua appartenenza al genere della parabola o dellallegoria. In altri termini è un racconto didattico, costruito per illustrare una realtà religiosa, inculcare alcuni atteggiamenti spirituali, oppure è un racconto con una sua autonomia e una logica narrativa interna che fa intuire quale decisione si deve prendere di fronte al regno dei cieli (parabola)? La soluzione più salomonica sarebbe quella di chi ammette che originariamente si trattava di una parabola, ma che Matteo ha riletto in chiave allegorica. Dal momento che ogni ricostruzione della parabola originaria risulta precaria e arrischiata, è preferibile lasciarsi guidare dallevangelista e accettare la sua interpretazione allegorizzante. Ma questa scelta non giustifica una frammentazione del racconto in una specie di quiz enigmistico: chi è lo sposo? chi sono le ragazze? che cosa rappresentano le lampade accese e lolio? E’ probabile che questi personaggi ed elementi abbiano un valore simbolico. Ma ciò non esclude la ricerca di un messaggio globale sulla base della struttura dellintera vicenda. Essa fa leva su due fattori: il ritardo dello sposo e limpreparazione del gruppo di ragazze chiamate «stolte», perché non hanno fatto la provvista dellolio per le loro lampade. Questi due fatti combinati insieme producono lesito drammatico della storia: le ragazze «stolte», negligenti e impreparato sono irrimediabilmente escluse dalla festa di nozze. Il primo elemento, il ritardo dello sposo, è già noto ai lettori dellevangelo di Matteo. Esso compare nella storia precedente, dove si descrive la situazione contrapposta del servo fedele e saggio e quella del servo malvagio che si dà alle prepotenze e intemperanze perché in cuor suo si illude sul ritardo del suo padrone, Mt 24, 48-49. Il particolare della provvista dellolio, connesso con la necessità di andare incontro allo sposo con le lampade accese, non ha altri riscontri in Matteo. In questa situazione è preferibile partire dagli altri elementi che possono essere illuminati dal confronto con i dati paralleli nel primo vangelo. Attira subito lattenzione il contrasto tra i due gruppi di ragazze, che, pur muovendosi incontro allo sposo insieme, alla fine si trovano distinte e divise: le sagge sono ammesse alla festa di nozze perché sono «pronte», le stolte sono escluse perché, costrette a cercarsi lolio per le loro lampade, arrivano in ritardo. Questo modo di contrapporre la situazione e i protagonisti è un tratto ricorrente in Matteo con alcune coincidenze lessicali impressionanti: Stolto - chi trascura di osservare la volontà di Dio rivelata da Gesù e così insegna agli uomini sarà chiamato minimo nel regno dei cieli, Mt 5, 18; - non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, 7, 21; - chi ascolta le parole di Gesù e non le mette in pratica è come un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia ..., 7, 26-27; - il servo malvagio è quello che si illude sul ritardo del suo padrone e si abbandona alle violenze e disordini, 24, 48-51. Saggio - chi mette in pratica la volontà di Dio e insegna agli uomini sarà chiamato grande nel regno dei cieli, Mt 5, 19; - chi fa la volontà del Padre celeste (entrerà nel regno dei cieli), 7, 21; - chi ascolta le parole di Gesù e le mette in pratica è un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia …, 7, 24-25; - il servo fedele e saggio è quello che agisce conforme allincarico ricevuto dal padrone, 24,45-46. Il discernimento tra le due situazioni contrapposte avviene alla fine, al momento del giudizio: gli operatori di iniquità e scandali sono separati dai giusti, come la zizzania dal grano, Mt 13, 40-43; i pesci cattivi dai buoni, 13, 48-49; il convitato senza labito nuziale e estromesso dalla sala dove sono entrati « buoni e cattivi », 22,12. Il criterio di valutazione per il giudizio non è lappartenenza al gruppo degli invitati o chiamati, ma la fedeltà attiva che si misura nel compimento della volontà del Padre come lha rivelata Gesù. Infatti le ragazze stolte alla fine sono respinte con quella formula di esclusione con la quale sono condannati gli operatori di iniquità, i quali potevano anche vantare poteri taumaturgici e qualità carismatiche, Mt 7, 22-23. Come quei discepoli che ripetono «Signore, Signore», anchesse si rivolgono allo sposo con questo appellativo che esprime la fede dei credenti in Gesù: «Signore, Signore, aprici!». Tenendo presenti queste convergenze si può proporre uninterpretazione generale del testo, dove i diversi tratti simbolici diventano trasparenti e coerenti. La storia delle dieci ragazze che vanno incontro allo sposo fa capire quali devono essere le condizioni dei discepoli o credenti perché il loro incontro definitivo con Gesù Signore, che porta a compimento il regno dei cieli, sia un evento di salvezza e non di condanna. In questo quadro interpretativo lo sposo è Gesù che viene alla fine come Signore. Egli allora si rivelerà come giudice che esclude dalla comunione salvifica quelli che non sono pronti. Le dieci ragazze che vanno incontro allo sposo con le loro fiaccole accese sono i discepoli, la cui luce deve risplendere davanti agli uomini perché vedano le opere buone e diano gloria al Padre. Non basta essere fra quelli che vanno incontro al Signore e lo attendono. Il punto critico è il suo ritardo che mette allo scoperto la stoltezza di quei discepoli che non si sono preparati nel tempo dellattesa. Alla fine, nellincontro decisivo con il Signore, non è possibile rimediare a questa negligenza. In questa lettura decodificata la riserva dellolio è la fedeltà e perseveranza attiva dei discepoli. Nellincontro con il Signore ognuno sarà giudicato secondo il suo agire, Mt 16,27. La risposta delle giovani «sagge», che può sembrare non solo urtante, ma egoistica e inumana, rimarca efficacemente questo aspetto della responsabilità personale che non si può sostituire con un prestito o una delega. Della fedeltà nellamore, che si traduce in una prassi di vita perseverante, si deve rispondere al Signore in prima persona. La conclusione dell’evangelista richiama lattenzione dei lettori su questo insegnamento pratico della parabola: vigilare nellattesa del Signore che arriva in maniera improvvisa vuol dire essere pronti; essere pronti significa essere fedeli alla volontà del Padre per mezzo di quelle opere di amore attivo in base alle quali verrà fatto il discernimento finale. Questa e la vera « saggezza » cristiana: attuare con perseveranza la volontà di Dio che il Signore Gesù ha definitivamente rivelato. Per il primo evangelista una corretta prospettiva escatologica è il fondamento e la motivazione di un serio e pratico impegno etico. IV. ATTUALIZZAZIONE DELLA PARABOLA di Lucio Soravito La parabola delle dieci ragazze – illustrata nell’articolo precedente – ci fa capire quale deve essere il nostro stile di vita, perché l’incontro definitivo con Gesù Cristo, Signore risorto, al di là della morte, sia un evento di salvezza e non di condanna. E’ necessario innanzitutto che viviamo nell’attesa del Signore, che siamo protèsi cioè verso questo futuro che va oltre la vita terrena e che consiste nell’incontro e nella comunione definita con lo Sposo, Cristo Gesù. Non sappiamo quando il Signore verrà: egli può tardare; comunque arriverà in un’ora che noi non conosciamo. Per questo è necessario che non ci lasciamo prendere dal sonno, cioè che non perdiamo di vista la meta ultima della nostra vita. In secondo luogo è necessario che teniamo le lampade accese e risplendiamo come luce (cf. Mt 5,14-16): in altre parole, occorre che perseveriamo nel compiere le opere dell’amore (la riserva dell’olio è la fedeltà e la perseveranza attiva nel fare il bene). Per entrare nella comunione definitiva con Cristo, non basta essere tra coloro che vanno incontro al Signore; occorre avere le lampade accese, cioè attuare la volontà di Dio con perseveranza: questa è la vera saggezza cristiana. E la volontà di Dio è l’amore incondizionato e generoso verso i fratelli, verso ogni uomo, soprattutto quello in difficoltà. San Giovanni della Croce ammonisce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. Impegnati nel presente Avere le lampade accese significa vivere con impegno e responsabilità il momento presente. “Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,11-13). Così scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Roma, invitandoli a compiere i loro doveri civili. Egli non approva i cristiani che trascurano le attività ordinarie, neppure quando immagina che la venuta del Signore sia imminente. Anzi, ne trae motivo per esortarli ad essere più che mai operosi nel bene (cf. 1 Ts 5,6). I cristiani dei primi secoli, pur vivendo in un mondo pagano, erano fieri di essere presenti ed attivi in tutti gli ambienti della società; naturalmente lo erano con uno stile di vita assai diverso da quello dei pagani: “Vivono nella carne, ma non secondo la carne; dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo” (cf. Lettera a Diogneto). Anche le comunità cristiane del nostro tempo sono impegnate in favore della persona umana e della comunità degli uomini: si pensi all’azione educativa svolta dalle parrocchie in favore delle nuove generazioni, alle molteplici iniziative di carità verso i poveri, i malati, gli immigrati, all’opera dei missionari nelle chiese nel Terzo Mondo. Il Concilio Vaticano II raccomanda ai cristiani di non sottovalutare i doveri terreni, perché la fede “obbliga ancor di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno” e obbliga a compierli con coerenza: “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna” (Gaudium et Spes, 43). Nell’incontro con il Signore ognuno sarà giudicato secondo il suo agire. Rispetto ai non credenti, noi cristiani abbiamo motivi più forti per impegnarci. Non lavoriamo per un’idea astratta, ma per Gesù Cristo, per essere insieme a lui operatori di liberazione e di salvezza per tutti, per salvaguardare con lui la centralità della persona e promuovere la solidarietà. Lavoriamo con la certezza che incontrare gli altri è già incontrare il Signore che viene, amarli è già passare dalla morte alla vita, donare la vita è in realtà acquistarla (cf. CdA 1181). Protèsi verso il futuro Mentre siamo impegnati nel presente, non dobbiamo dimenticare, però, di essere “pellegrini” in questo mondo e di camminare verso la meta definitiva, che è la comunione piena con Dio. La storia nel suo insieme, nonostante tutte le sue tragedie, avrà per dono di Cristo risorto un lieto fine: Dio farà “un nuovo cielo e una nuova terra”. «Noi viviamo tra il giorno della risurrezione di Cristo e quello della sua venuta. Egli è Colui che verrà alla fine dei tempi, per portare a compimento in tutto il creato la volontà del Padre. Per questo il cristianesimo vive nell’attesa, nella costante tensione verso il compimento; e dove tale attesa viene meno c’è da chiedersi quanto la fede sia viva, la carità possibile, la speranza fondata» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2001, n. 29). Attendere la venuta del Signore, se da una parte ci domanda di essere operosi nel compimento del bene, dall’altra ci chiede di non dimenticare la nostra meta finale e di riconoscere che tutto è relativo rispetto a quella meta. Per questo, accanto alla serietà dell’impegno nel tempo presente, dobbiamo educarci a un sereno distacco. “Il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!” (1 Cor 7,29-31). «La famiglia, il lavoro, la cultura, la politica sono importanti: nessuna indifferenza nei loro confronti. Ma non sono tutto: perciò il cristiano vi partecipa con misura e all’occorrenza sa anche tirarsi fuori. La partecipazione non significa assolutizzazione; la rinuncia non significa disprezzo. L’impegno storico stesso cessa di essere autentico, quando assorbe tutte le energie: basti pensare come diventa totalitaria e pericolosa la politica elevata a messianismo. La speranza cristiana non perde di vista i limiti e la provvisorietà delle conquiste economiche, sociali, politiche e culturali. Accanto al lavoro promuove la festa, per contemplare e celebrare il significato supremo della vita» (CdA 1182).
Posted on: Fri, 15 Nov 2013 04:59:12 +0000

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