Pubblico alcune pagine del mio studio Dominio e katéchon. Appunti - TopicsExpress



          

Pubblico alcune pagine del mio studio Dominio e katéchon. Appunti di studio teologico-politici. Il PDF è scaricabile dal blog. Il Dominio non è mai così contento come quando si nega la sua esistenza. Con un certo sprezzo del pericolo pubblico la sintesi di uno studio “teologico-politico” particolarmente focalizzato sul concetto paolino di katéchon e su alcune delle sue moderne “declinazioni”. Ogni pretesa di organicità e di coerenza dottrinaria qui appare vana, e almeno questo è un punto acquisito dal sottoscritto, il quale sa di essersi misurato con un oggetto che probabilmente non è alla sua portata. E d’altra parte non sarebbe la prima volta. Né, spero, sia l’ultima. Naturalmente mi auguro che nella sintesi, che ha conferito un carattere particolarmente frammentato e frastagliato agli appunti di studio, la chiarezza del ragionamento non sia stata sacrificata oltremisura, e in ogni caso di ciò mi scuso in anticipo. Come sempre, mettere prudentemente le mani avanti può servire a rendere meno dolorosa un’eventuale caduta mentre si percorre un terreno particolarmente accidentato e pieno di trappole. Temo ma non per questo tremo, e dunque procedo, sapendo, marxianamente, di non aver altro da perdere se non le mie catene. «E la reputazione?» Quale? […] In Timore e tremore, tanto per rimanere in tema, Kierkegaard scrisse che il singolo è incommensurabile con la realtà, perché come attesta sempre di nuovo la fede contro la ragione «il Singolo come Singolo è più alto del generale». Il filosofo di Copenhagen aveva di mira la Filosofia del diritto di Hegel e quegli epigoni del ragno di Stoccarda fin troppo acriticamente disponibili nei confronti di un Progresso (borghese) che già allora mostrava, almeno all’occhio dell’intellettuale umanamente sensibile, i primi inquietanti “risvolti dialettici”. Ora, «Perché l’uomo s’innalzi all’uomo» (Schiller), realizzando le più feconde speranze maturate in ogni tempo sul terreno della cattiva condizione umana, occorre portare la realtà del mondo a misura del singolo individuo, oggi annichilito e angosciato da una totalità sociale che ci si presenta come un immane e incontrollabile meccanismo pronto a stritolarci al primo – eppur minimo – errore. È da questa prospettiva concettuale, che chiamo punto di vista umano, che ho approcciato anche il tema in oggetto. Questa particolare prospettiva concettuale, che ha (vuole avere) un preciso “risvolto” politico, non si propone di rendere più buoni e migliori (“più umani”) gli individui, hic et nunc, ma piuttosto quello di renderli più coscienti, o semplicemente coscienti circa l’attualità del Dominio e la possibilità della liberazione. Questa coscienza critica è forse la sola vera libertà e la sola vera umanità a cui possiamo accedere nel regno dell’illibertà e della disumanità. Naturalmente questo punto di vista non è qualcosa di acquisito, di già dato, ma è piuttosto un obiettivo da conquistare sempre di nuovo, con uno sforzo che è insieme teorico e pratico. […] Il katéchon è stato in passato, e in parte lo è ancora, un concetto chiave nello sforzo di legittimazione politico-ideologica della struttura di dominio. […] La provvidenziale dialettica della Salvezza prescrive, per un verso l’avvento dell’Anticristo come momento di apocalittica chiusura dei tempi segnati dalla presenza del Male nel mondo, e per altro verso l’azione di una potenza di segno contrario (antiapocalittica) che frena e differisce il ritorno tra le nazioni del «serpente antico». […] Come ha cercato di dimostrare Carl Schmitt, ogni epoca esibisce una peculiare fenomenologia dell’Anticristo (l’Islam, l’ateismo, l’Inghilterra, l’America) e un altrettanto peculiare Katéchon che ne deve arrestare, per quanto possibile, il trionfo, peraltro necessario nella misteriosa economia della Salvezza. L’Anticristo può a volte incarnarsi in personaggi che rappresentano la cifra antropologica dei tempi: Proudhon per Donoso Cortés e Max Stirner, sebbene in una guisa assai più complessa e persino ambigua, per Schmitt. Chissà cosa avrebbe detto Marx a proposito di queste preferenze. «Dimmi chi è il tuo Nemico, e ti dirò chi sei», forse è questo che avrebbe pensato l’avvinazzato di Treviri, a suo tempo assai critico – e sarcastico – nei confronti tanto dell’«insulso» Proudhon quanto di «San Max». […] L’uomo uscito dalle tenebre del Medioevo non è padrone del suo destino, nonostante i lumi della ragione e il progresso tecnico-scientifico. L’uomo propone e il Capitale dispone. È un colossale amen! sulle aspettative di emancipazione suscitate dalla borghesia nella sua fase storicamente rivoluzionaria. […] «L’ordine del profano deve essere orientato verso l’idea della felicità» (W. Benjamin, Frammento teologico-politico). Freud ebbe ragione, dal punto di vista dello status quo sociale caratterizzato dalla presenza del Dominio, a consigliare agli uomini un certo grado di autodisciplina, perché la Civiltà esige un prezzo da pagare in termini di repressione degli istinti. Per dirla con Marx, la Civiltà (borghese) «ha emancipato il corpo dalle catene, perché ha posto il cuore in catene». Uomini come Dostoevskij e Nietzsche non vollero invece firmare cambiali in bianco al cosiddetto Progresso della Civiltà, forse anche perché intuirono che gli istinti, più che depotenziati o repressi, vanno semplicemente umanizzati, come d’altra parte l’intera esistenza degli individui. Solo i teorici di una mitica «natura umana», per l’essenziale refrattaria alle trasformazioni sociali, possono far spallucce di fronte alla tragica scelta tra castrazione (o incivilimento) e umanizzazione (o liberazione) degli istinti. […] A quanto ne so, è a Tertulliano che si deve la prima chiara teorizzazione dell’Impero Romano come potenza katéchontica: «Voi, che ritenete a noi nulla importi della salvezza dei cesari, […] a noi è fatto obbligo, al di là di ogni limite di generosità, di pregare Dio anche per i nostri nemici ed invocare il bene per i nostri persecutori […] Ma vi è un’altra ragione che ci spinge a pregare per gli imperatori, anzi per la prosperità di tutto l’impero e per la potenza romana, perché noi sappiamo che la terribile catastrofe sospesa sul mondo e la stessa fine della nostra era sarà ritardata fino al transito dell’Impero Romano. Perciò non vogliamo affatto compiere tale esperienza e, mentre preghiamo sia differita, contribuiamo alla continuità dell’Impero Romano». Qui il momento apocalittico-escatologico è puramente residuale, appare non più che uno strumento ideologico chiamato a supportare la vigenza e la continuità dell’Impero Romano, in un momento in cui l’ascesa del cristianesimo, sebbene ancora contrastata, non sembra aver più alcun nemico mortale che le sbarri la strada. Più che un discorso rivolto ai cristiani, l’Apologeticum è fin dall’incipit una sorta di richiesta di resa incondizionata presentata ai magistrati dell’Impero, sebbene sapientemente confezionata in guisa di « muta difesa». […] La tentazione di leggere in chiave immediatamente politica, o politico-teologica, il concetto paolino di katéchon è stata sempre in agguato nei migliori salotti dell’intellighenzia borghese, e il più delle volte, per non dire sempre, questo concetto, peraltro di ardua interpretazione “autentica”, è stato declinato in termini schiettamente ultrareazionari. Lo stesso Carl Schmitt, che pure quel concetto pose al centro della sua riflessione teologico-politica (anche in una dimensione geopolitica), sentì il bisogno di ammonire i suoi colleghi intellettuali come segue: «Ci si deve guardare dal fare di questa parola [Katéchon] una designazione generica per tendenze puramente conservative o reazionarie». Bisogna prendere molto sul serio l’indicazione schmittiana, tanto più in considerazione dell’autorevole pulpito in questione. […] Appena ho finito di leggere Il potere che frena di Massimo Cacciari mi è tornato alla mente un aforisma del giovane Marx: «I reazionari d’ogni tempo sono buoni barometri degli stati d’animo dell’epoca loro, così come lo sono i cani per le tempeste». Più che Il potere che frena, l’interessante saggio del filosofo veneziano “prestato alla politica”, come recita la nota formula, avrebbe meritato quest’altro titolo: Il potere – politico – che frana. […] Il conservatore sa che senza Legge non vi possono essere né Civiltà né Progresso. Solo nella dimensione dell’ordine vi può essere cambiamento costruttivo, mentre nell’anomia la bruta materia sociale non riesce ad aggregarsi in forme stabili idonee a schiudere agli individui la porta del progresso. Freud ha scritto pagine assai illuminanti sul prezzo, molto salato, che gli individui hanno dovuto pagare per accedere nella dimensione storica dopo millenni di vita semianimale. Ora, non appena riempiamo di reali contenuti storici e sociali la Civiltà, il progresso e il cambiamento cui abbiamo fatto cenno, scopriamo che la conservazione della vita – anche nel suo continuo cambiamento –, quella del singolo individuo come della sua comunità, coincide, per il conservatore, con la conservazione del Dominio sociale, ossia dei rapporti sociali che informano la prassi sociale nelle comunità segnate dalla divisione classista. Rapporti sociali di dominio e di sfruttamento. […]
Posted on: Mon, 09 Sep 2013 08:18:09 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015