tra sognati in 1 mondo vagamente inesistente Enya - - TopicsExpress



          

tra sognati in 1 mondo vagamente inesistente Enya - Watermark (1988) (riessue 1989) 1. 00:00 - Watermark 2. 02:25 - Cursum Perficio 3. 06:34 - On Your Shore 4. 10:34 - Storms in Africa 5. 13:35 - Exile 6. 17:54 - Miss Clare Remembers 7. 19:49 - Orinoco Flow (Sail Away) 8. 23:35 - Evening Falls... 9. 27:22 - River 10. 30:31 - The Longships 11. 35:05 - Na Laetha Geal Móige 12. 38:05 - Storms in Africa (Part II) Personnel Enya – keyboards, vocals Neil Buckley – clarinet Chris Hughes – percussion, drums Davy Spillane – whistle, Uillean pipes Production Producers: Enya, Nicky Ryan Co-produced by Enya and Ross Cullum Executive Producer: Rob Dickins Engineer: Ross Cullum Mixing: Jim Barton, Ross Cullum Arrangers: Enya, Nicky Ryan Cover photography: David Hiscook Additional photography: Russel Yamy Design: Laurence Dunmore 1. Watermark Enya 2:24 2. Cursum Perficio Enya, Roma Ryan 4:06 3. On Your Shore Enya 3:59 4. Storms in Africa Enya, Roma Ryan 4:03 5. Exile Enya, Roma Ryan 4:20 6. Miss Clare Remembers Enya 1:59 7. Orinoco Flow Enya, Roma Ryan 4:25 8. Evening Falls... Enya, Roma Ryan 3:46 9. River Enya 3:10 10. The Longships Enya, Roma Ryan 3:36 11. Na Laetha Geal Móige Enya, Roma Ryan 3:54 1989 reissue 12. Storms in Africa (Part II) (Bonus Track) 3:01 Watermark is an album by the Irish musician Enya, released on 19 September 1988. Featuring her first major hit, Orinoco Flow, Watermark was Enyas breakthrough album release, and is considered a seminal example of New Age music, although Enya herself does not consider her work to be of that genre. Two versions of the album were released. In 1989, an extended reissue of Watermark included Storms in Africa (Part II) (as sung in English), which had been released as a single. Some later versions of Watermark once again omit this track. Recensione di Gioele Nasi (rockline) (4.6 stars) Fra gli eterei, mistici, spirituali paesaggi dell’isola di smeraldo e le tinte colorate, sensuali e variopinte del moderno villaggio globale, Enya si muove come un’impalpabile e venerata musa, come un angelo che disegna paesaggi incantati con la sua voce e la sua musica: “Watermark”, pubblicato nel 1988, è la sua realizzazione più autenticamente ispirata e meritevole di considerazione, essendo un disco talmente originale e brillante da affascinare anche a distanza di quasi ventanni, a differenza delle sue recentissime uscite, nei quali troppo spesso imperano scipiti autocitazionismi. Il viaggio musicale di Eithne Patricia Ní Bhraonáin, in arte semplicemente Enya, era cominciato circa un decennio prima di “Watermark”, quando ella entrò nei Clannad, una delle formazioni Folk più famose d’Irlanda, in cui militavano suoi fratelli e zii: dopo aver partecipato come ospite a due loro dischi (“Crann Úll” e “Fuaim”), la giovane Eithne lasciò il gruppo in concomitanza con il loro manager/produttore Nicky Ryan, personaggio destinato a diventare (assieme alla moglie, Roma Ryan) una delle colonne portanti del progetto solista di Enya, in procinto di decollare. La colonna sonora per il documentario “The Celts” della BBC, realizzata nel 1986, fu la base per la pubblicazione del primo album, (l’omonimo “Enya”, pubblicato nel 1987), comprendente un sunto del lavoro svolto per la televisione inglese – il disco fu ben ricevuto in Irlanda, arrivando al primo posto in classifica, mentre all’estero Enya rimaneva ancora una perfetta sconosciuta: situazione destinata a cambiare repentinamente e radicalmente, in quanto di lì a un anno arriveranno sia il contratto con la Warner che la pubblicazione di “Watermark”, il suo capolavoro. Elemento centrale di questo disco (come di tutta la sua produzione, del resto) è la soave e sognante voce di Enya, cui spetta il compito di recitare i testi scritti per lei – in gaelico, latino od inglese – da Roma Ryan; a rendere peculiari le atmosfere di “Watermark” è però la scelta (o, per meglio dire, la geniale intuizione di Nicky Ryan) di registrare strati e strati di vocalizzi e linee melodiche, creando con la sola voce di Enya splendide armonie corali, intense e soffuse al tempo stesso, utilizzabili sia per effetti di background che per lo sviluppo del tema principale. Proprio le melodie sono l’altro punto forte del disco: le influenze celtiche e irlandesi segnano prepotentemente le atmosfere di questo disco, tanto pregne di spiritualità e celestiale ispirazione da far diventare “Watermark” un classico della musica New Age; dilatate, rinfrescanti e raffinate, le ambientazioni ricreate da Enya (che si occupa anche di tutti gli strumenti, con pianoforte, tastiere e sintetizzatori a recitare le parti principali) mettono i brividi e risultano toccanti grazie alla loro semplicità, come dimostrano gli spogli arrangiamenti di “Evening Falls...”, che semplicemente preparano il campo per la voce solista; altrove s’incontrano invece sia momenti di pura estasi strumentale, come nell’introduttiva title-track, nenia per solo pianoforte, sia sostanziosi break solisti in brani cantati – da segnalare, per la loro efficacia, i malinconici inserimenti del flauto nella magica “Exile”, così come il sentito assolo di cornamusa nella conclusiva “Na Laetha Geal MÓige”, entrambi ad opera dell’ospite Davy Spillane . A rendere famoso e celebrato il sound di Enya, però, non è solamente la riproposizione di atmosfere irish in chiave atmosferica, quanto la combinazione di queste con i suoni ed i colori della musica etnica mondiale, seguendo un sentiero piuttosto vicino alla World Music; “Storms in Africa” dimostra come la tradizione celtica si possa unire ai ritmi caldi e tribali dell’Equatore e ad armonie vocali quasi ‘nere’, mentre la super-hit “Orinoco Flow”, una vera icona della musica di Enya e tutt’oggi il pezzo più famoso della sua produzione, è caratterizzata da un chorus coinvolgente e da un groove inebriante di pianoforte e sintetizzatori – al contrario, la splendidamente inquietante “Cursum Perficio” inverte questo percorso dattualizzazione in quanto pare tornare indietro di secoli, per merito dei suoi toni medievaleggianti e dei maestosi cori in latino, sfruttati per dare origine ad un brano che sappia alternare rassicuranti spiragli di luce ad angoscianti ombre. La magia di Enya sta proprio nel saper dare non solo personalità ed organicità, ma soprattutto attualità, a suoni dotati d’intrinseco fascino, aggiornandoli al nostro tempo senza per questo snaturarli; le sue melodie, che paiono uscire da sogni e leggende, sono un balsamo per le orecchie, mentre il suo canto, puro ed angelico, è indirizzato direttamente allo spirito. “Watermark”, il gioiello più prezioso creato dalle sue mani e dalla sua voce, è un vero miracolo d’eleganza, equilibrio e gusto – ma, soprattutto, dimostrazione di uno straordinario talento. Rewiew by Liam Fay [Hot Press (Ireland) 21 April 1988] (enyabookofdays) Watermark is reminiscent of lots of things - yet its like nothing youve ever heard before. Traces of classical, traditional and rock are easy to spot but Enya and crew havent been content to drink only from established sources - rather theyve managed to come up with a potion all of their own. What we have here is a lifetimes worth of sights, sounds and experiences condensed into an orderly and lucid aural aquarium that is more beautiful than anything youve seen on The Undersea World of Jacques Cousteau. Its a panoramic dreamscape filled with blood red coral, glinting white pearls and grey-purple pellets of rock which are suspended above a seabed of real life, organic hundreds and thousands. However, all is not aesthetic brilliance for, as Enyas Donegal childhood must have taught her, the ocean can also be a vicious marauder and her album is tinged with strong undercurrents of desolation, loneliness and even anger. Make no mistake, theres nothing wet about Watermark. Some tracks are as expansive as the Atlantic, ruthlessly tossing about all sort of flotsam and jetsam, while others are like dewdrops that change shape slowly, and eventually evaporate. Cursum Perficio comes the nearest to full orchestration and is similar in style if not content to Carmina Burana (for lowbrows, the music from the Old Spice ads). But equally effective are the simple lapping vocals and instrumentation of Storms in Africa and The Longships or the haunting (I know its a cliche but theres not other word for it) Exiles. Then theres the exquisite liqueous pop of Orinoco Flow which should, if theres any justice, be a hit single. Lyrics are often the weakest element in projects like this, but even nursery rhymes delivered in an ethereal manner can convince some of their profundity. However, here Roma Ryans words (in Irish, English and Latin) are integral and are ideally sculpted to allow Enyas voice to float between the gaps and pauses, remembering that this water nymph doesnt sing in any one particular language but enunciates the punctuation, alphabet and vocabulary of a universal musical language. Admittedly, there are some relative lapses - Na Laetha Gael Moife is little more than a slow air (albeit a fine one) and On Your Shore and Evening Falls... are too hymn-like for their own good - but these only pale when compared with the rest of the record. Anyway, pinning down individual pieces is more difficult than trying to catch rain with a fork because Nick Ryan has wrapped them in a production of multi-layered taffeta that reveals a different hue each time you hear it. Where other ambient albums are prepared to languish in the background or act as soundtracks. Watermark rushes in and fills your head like a shoal of tropical fish. Come and hear the mermaids singing. Recensione di Lucio Lazzaruolo (MOVIMENTIprog) (3.5 stars) (Vers. stampabile ) Prima che il sound di Enya divenisse routine e manierismo l’ex cantante dei Clannad aveva pubblicato nel 1988 un cd che, senza certo avere le caratteristiche di sconvolgente novità, si era segnalato per delle notevoli qualità. In un’epoca nella quale si andavano sempre più affermando chitarroni più o meno distorti Enya aveva rinunciato a tutte le risapute ossessività ritmiche per puntare su una melodia semplice e per questo preziosa, lineare, ma non banale. In Watermark aleggiano atmosfere che si mantengono in equilibrio tra folk e classico (si pensi alla barbarica Cursum perficio di sapore Orffiano), tra canzone e piece strumentale. Tutto funziona; dalla copertina al video (Orinoco flow) che fa dell’eleganza il suo manifesto d’intenti, lontano dalle cadute kitsch degli episodi (anche video) successivi. Una proposta musicale che verte gran parte (ma non solo) sulla voce di Enyae difatti anche i pad e cioè i tappeti armonici sono spesso costruiti sovrapponendo le voci della stessa cantante. Non mancano dei semplici episodi strumentali dove a far da padrone è il pianoforte, o calibrati ed efficaci interventi solistici nel corso dei brani cantati. Quel che funziona sono proprio le canzoni con invenzioni melodiche spesso molto lineari e felici. Enya vara una formula che funziona alla grande in questo disco, ma che non ha voluto o saputo rinnovare. Nell’ultimo Amarantine, infatti, molto suona ripetitivo e risaputo, a cominciare dai soliti archi (sintetizzati) pizzicati, ai pad vocali, alla stessa invenzione melodica ormai sempre meno ammaliante e sempre più vicina alla caricatura di se stessa. Si avverte un’aria da festa natalizia (non a caso i suoi dischi escono, per i motivi che si potranno facilmente immaginare, nel periodo che precede il 25 dicembre), che aggiunge ancora più prevedibilità al tutto. Certo in questa scelta molto hanno potuto pesare i condizionamenti della casa discografica. Enya è infatti una delle poche cantanti in grado di fare la differenza nel fatturato dell’industria discografica. Il prezzo da pagare in termini artistici è stato però alto: la rinuncia a qualsiasi forma di evoluzione, la cristallizzazione di un sound che alla lunga irrita e annoia, lontano dai fasti di questo Watermark. Ritornando al disco il tutto viene impreziosito dalle liriche di Roma Ryan, la moglie del produttore Nick Ryan, già collaboratore anch’egli dei Clannad. Nick Ryan, dal suo canto, contribuisce a creare un sound che è vecchio e nuovo allo stesso tempo ( a qualcuno questa definizione potrà far venire in mente il progressive...) e che sprigiona in questa occasione aromi folk vicini, a volte, a certa musica etnica piuttosto che alla new age alla quale molto spesso, e non ingiustamente, sarà accoppiato il sound di Enya. Una musica sempre molto evocativa che ben si è prestata come commento sonoro, sebbene non sia stata pensata espressamente per questa bisogna. Review by Ned Raggett (ALLMUSIC) (5 stars) Thanks to its distinct, downright catchy single Orinoco Flow, which amusingly referenced both her record-company boss Rob Dickins and co-producer Ross Cullum in the lyrics, Enyas second album Watermark established her as the unexpected queen of gentle, Celtic-tinged new age music. To be sure, her success was as much due to marketing a niche audience in later years equally in love with Yanni and Michael Flatleys Irish dancing, but Enyas rarely given a sense of pandering in her work. She does what she does, just as she did before her fame. (Admittedly, avoiding overblown concerts run constantly on PBS hasnt hurt.) Indeed, the subtlety that characterizes her work at her best dominates Watermark, with the lovely title track, her multi-tracked voice gently swooping among the lead piano, and strings like a softly haunting ghost, as fine an example as any. Orinoco Flow itself, for all its implicit dramatics, gently charges instead of piling things on, while the organ-led On Your Shore feels like a hushed church piece. Elsewhere, meanwhile, Enya lets in a darkness not overly present on The Celts, resulting in work even more appropriate for a moody soundtrack than that album. Cursum Perficio, with her steady chanting-via-overdub of the title phrase, gets more sweeping and passionate as the song progresses, matched in slightly calmer results with the equally compelling The Longships. Storms in Africa, meanwhile, uses drums from Chris Hughes to add to the understated, evocative fire of the song, which certainly lives up to its name. Watermark ends with a fascinating piece, Na Laetha Geal MOige, where fellow Irish modern/traditional fusion artist Davy Spillane adds a gripping, heartbreaking uilleann pipe solo to the otherwise calm synth-based performance. Its a perfect combination of timelessness and technology, an appropriate end to this fine album. Recensione di Grasshopper (DeBaser) (5 stars) A vederla nelle copertine dei dischi o in altre rare immagini, con la sua pelle di porcellana e i suoi improbabili abiti strascicanti, sembra una donna proveniente da unepoca lontana, quella dei misteriosi e leggendari Celti. Invece è da una remota contea irlandese che proviene, e qui ha cominciato a farsi le ossa con i Clannad, storico gruppo di musica tradizionale. Troppo talentuosa anche per i validi Clannad, ha trovato il suo filone in un particolarissimo cocktail musicale, che unisce la vitalità della musica etnica, non solo celtica, con le rarefatte atmosfere new age. Un suono pieno di riferimenti colti, in particolare alla musica sacra e ai madrigali del 500 e 600 (Monteverdi), ma abbinato a dolci melodie, in genere abbordabili e quindi popolari. Ciò spiega almeno in parte come questa musicista seria, capace di comporre ispirati motivi di gusto antico e di suonare tutti gli strumenti dei suoi dischi, abbia potuto confrontarsi in termini di vendite con gli urletti di Madonne, Spice Girls e altri fenomeni da classifica. Peccato che non la sentiremo mai dal vivo, dato che ritiene impossibile riprodurre su un palcoscenico lelaborata fusione di suggestioni dei suoi strumenti antichi e moderni che possiamo apprezzare su disco. Watermark, il suo capolavoro, è un classico esempio di disco capostipite: Enya tenterà di rifarlo per ben tre volte, e il bello è che al primo tentativo, Shepherd Moons, il miracolo si ripeterà, evento non raro in campo musicale (mi vengono in mente splendidi esempi di cloni, come In The Wake of Poseidon dei King Crimson). Fin dalla limpidezza delliniziale pezzo pianistico Watermark, degno di certi brevi pezzi classici per pianoforte (sentire il tardo Brahms per credere) si capisce che cè del buono in arrivo: musica vera, non casino! Intermezzi pianistici simili torneranno in questo e nei seguenti dischi, come piacevoli pause riflessive. Perché esiste anche una Enya più ritmica, come quella di Storms In Africa, incursione ben riuscita nel territorio di Peter Gabriel, quello della contaminazione di melodie occidentali con percussioni tribali africane. A Enya non manca proprio nulla: oltre alle doti già viste si ritrova anche una gran bella voce di contralto, molto classica, ideale per la sua musica. On Your Shore riduce la strumentazione ad un discreto sottofondo proprio per mettere in risalto questa splendida voce, che si esalta in unariosa melodia di tipico gusto celtico, come anche in Exile, dove si alterna ad un flauto da pifferaio magico. In Evening Falls Enya è accompagnata da un commovente adagio per organo e archi. Ma lestasi più assoluta si raggiunge in The Long Ships: qui lintreccio tra i divini gorgheggi di Enya, i cori e la base strumentale è praticamente perfetto, e anche la melodia suggerisce viaggi verso lignoto: semplicemente un sogno. Cursum Perficio, testo in latino e implacabile crescendo stile Carmina Burana, ha il potere di evocare il mistero e loscurità delle catacombe. Successone del disco fu Orinoco Flow, un motivo molto semplice, direi una filastrocca, ma con raffinati giochi tra i vocalizzi e le tastiere elettroniche che ne fanno un piccolo capolavoro. Na Laetha Geal MOige, come dice il titolo in gaelico, è un ritorno alla tradizione, in cui le uillean pipes, specie di cornamuse irlandesi, si alternano a quel vero e proprio strumento che è la voce di Enya. Larmonia è totale, nulla è fuori posto: di un disco del genere si può solo dispiacersi che a un certo punto finisca. Meno male che seguiranno altre puntate. Rewiew by TheMisterBungle (sputnikmusic) (4 stars) I was looking through a Best Buy one day, and I suddenly thought of Enya. I remembered hearing her song Only Time and being enchanted by the beautiful melodies and the angelic singing. I decided to purchase the album, as I wanted to try something different, as I was also purchasing Between The Buried And Mes self titled album. I also needed a good album to fall asleep to. I was truly shocked to find out that I actually liked the album. The album is not only great to fall asleep to, but is actually fun to listen to! The album is a stunning journey for the ears from the moment you press play. It starts with A Day Without Rain the title track, which is an instrumental in which the piano is at the forefront of the sound. The song is a excellent opener and gives you a taste of what is to come. The album uses many different insturments, but piano always comes back to remind us it is not going away. The first song to grow on me though was, of course Only Time. Its poppy melodies and fabulous singing made me love the track instantly and listen to obsessively. I started listening to more and more of the album and found more of what I had loved in Only Time. Each and every track is chalk full of sensational compositions and sounds. The haunting Tempus Vernum is my favorite track on the album and is most definitely the darkest. It features sinister chanting and slow rhythms. Pilgrim is another highlight of mine off the album. The instruments in this song do not play a major role and act as a background to Enyas voice as it shines beautifully. There are a number of things that bring down this album. For one, there is a lack of variety throughout the album. The songs all seem to follow somewhat of the same formula. The other thing that brings down this album is that it isnt very long. The album only clocks in at 34:20 and is far shorter than any other of her albums. Overall I think this album is a great buy for someone who can appreciate classical music, beautiful melodies and compositions. I think that this album is worth the gamble and that many people may be surprised to find that they like it. Monografia di Claudio Fabretti (OndaRock) Enya - Un incantesimo celtico Le sue composizioni sono sospese tra i miti dei Celti e la musica sacra, tra Medioevo e new age. Il suo sound, etereo e visionario, trasporta dritto nellEden del pop, in un sogno senza fine. Un lungo viaggio iniziato quasi per caso, con una colonna sonora per la Bbc. Storia di una piccola fata dIrlanda e del suo incantesimo. La musica di Enya è unesperienza sensoriale, un viaggio nel tempo in cui il fascino ancestrale del folk celtico si sposa a un sound originale e moderno, proiettato verso le vette celestiali della new age. Le sue partiture oniriche e rarefatte combinano lausterità della Classica con il melodismo immediato del pop, le suggestioni della musica sacra e medievale con stratificazioni sonore degne dei grandi pionieri dellelettronica. Ma a infondere unanima a questi bozzetti astratti è soprattutto il suo contralto angelico, sapientemente corroborato in studio dal produttore Nick Ryan attraverso un ampio ricorso alla tecnica di multivocals (per una sola canzone, infatti, Enya registra e sovrappone fino a cento voci, e il risultato è un coro polifonico degno dei più solenni canti gregoriani). I testi, invece, sono quasi sempre affidati alla moglie di Nick, la poetessa Roma Ryan. Enya è il diminutivo di Eithne Ni Bhraonain, cognome che in gaelico significa figlia di Brennan. E il gaelico è la prima lingua di questa formidabile compositrice, nata a Gweedore, Donegal, nel cuore dIrlanda, in una famiglia di musicisti. La sua era una missione difficile: esportare la cultura della sua isola, il mistero dei celti, la magia di una cultura popolare fatta di miti arcaici e sacralità. Enya ci è riuscita, a partire da quando, ancora diciottenne, ha iniziato a cantare insieme ai tre fratelli nella band di famiglia, i Clannad, una delle istituzioni del folk irlandese con Chieftains e Pogues. Alla metà degli anni Ottanta, quando la Bbc le chiede di scrivere un brano per un documentario a puntate sui Celti, lei ha già lasciato il gruppo. Alla tv inglese manda una breve composizione. La chiamano e le affidano tutti i 70 minuti della serie. The Celts era in realtà la mia seconda esperienza con una colonna sonora - racconta -. Avevo già scritto le musiche per The frog prince, un film prodotto da David Putnam. Ma quella fu la conferma di quanto la mia immaginazione visiva andasse di pari passo con la composizione musicale. Dei 70 minuti di musica della colonna sonora per la Bbc, 41 (opportunamente rielaborati e riarrangiati) vengono ripresi su Enya, il disco desordio (poi ristampato come The Celts), che scala subito le classifiche irlandesi arrivando anche al numero 1. Lartista irlandese rivela tutto il suo talento poliedrico, suonando tutti gli strumenti e mettendo in mostra la purezza cristallina del suo canto. La title track, epica e immediata al contempo con i suoi tamburi marziali e il suo delicato refrain, è il singolo trainante di un disco composto prevalentemente di brevi piece, incentrate quasi interamente sulle storie e sulle leggende celtiche. Uno dei capisaldi dellalbum è il ricorso a fiabe infantili, seppur stravolte e trasfigurate in una serie di pannelli astratti: Boadicea, ad esempio, si snoda su un incedere lento, quasi liturgico, con il sussurro di Enya avvolto in cupi strati di synth; Fairytale, sublimazione del mito di Midir, re delle Fate, e della sua passione per la principessa Etain, è uno strumentale di grande impatto melodico, in cui i gorgheggi della cantante sono immersi in un magma di tastiere, sibili e bisbigli lontani. E invece dedicata al regista Ridley Scott, Aldebaran (dallarabo Al-dabaran: colui che segue) prende il nome della stella alfa della costellazione Taurus: è un viaggio mistico, costruito attorno agli arpeggi fatati delle chitarre e alla sovrapposizione delle voci (in gaelico), che creano un senso di siderea quiete. Altre volte è il ritmo a prendere il sopravvento, come nella March of the Celts, dove lenfasi sulle percussioni si sposa a un ricco arrangiamento per pianoforte, campane, archi e sintetizzatori. Quando però Enya rallenta ulteriormente il suo carillon, si approda su lande magiche e misteriose, come quelle di The Sun In The Stream (con pianoforte e flauti in evidenza), Deireadh an Tuath (breve interludio, con un canto dal sapore arcaico, in gaelico puro) e Portrait (malinconica aria per pianoforte, archi e synth). A elevare il clima di austera solennità del disco provvedono I Want Tomorrow, con un canto (stavolta in inglese) assecondato dagli archi e da un assolo straniante di chitarra, e il madrigale rinascimentale di To Go Beyond (ripreso anche nellultima traccia), con tenui melodie di piano e, in seguito, di sintetizzatori e cori/echi a far da contrappunto al canto. Limportante collaborazione con la connazionale Sinead OConnor, nellalbum The Lion and the Cobra (in cui legge in irlandese un passo della Bibbia nella canzone Never Get Old), è il preludio alla definitiva consacrazione di Enya, che arriva nel 1988 con il suo grande capolavoro, Watermark. Trascinato dal ritmo selvaggio di Orinoco Flow (incredibile connubio tra melodie celtiche e percussività africane, rimasto a tuttoggi il suo brano più celebre), il disco spopola in tutto il mondo, con oltre sessanta milioni di copie vendute, lanciando definitivamente lEnya-sound fuori dai confini irlandesi. Ma sono tanti i brani che contribuiscono alla magia del disco. Basti pensare alliniziale title track, un breve strumentale pianistico dinfinita tenerezza, o a quella sorta di salmo religioso che è On Your Shore, con un organo solenne in primo piano, o ancora alla litania medievale di Cursum Perficio, che si snoda via via più fremente in un crescendo inquietante di cori gotici e synth. Laspetto più trascendente della musica di Enya si sublima nella cantilena al ralenti di Longships e nelle atmosfere incantate di Storms in Africa, dove i tamburi di Chris Hughes danno nerbo a una sublime melodia. Unatmosfera estatica che si fa particolarmente scura in Evening Falls, grazie a una singolare commistione di sintetizzatori ambient e frasi di organo da chiesa. La conclusiva Na Laetha Geal MOige, invece, con lintervento del folksinger irlandese Davy Spillane alla cornamusa su un canovaccio sintetico, sintetizza la perfetta fusione di antico e moderno nel pentagramma di Enya. Watermark venderà più di 11 milioni di copie nel mondo, regalando alla cantante irlandese la più inattesa stardom del decennio. Nel 1991 esce Shepherd Moons, altra opera elegante e suggestiva, che conferma Enya nei panni della regina del filone celtico-new age. A introdurlo, ancora una volta un breve tema strumentale, la dolce title track. I pezzi forti del disco, però, sono soprattutto il valzer trasognato del singolo Caribbean Blue (che aggiorna gli esperimenti sul ritmo di Orinoco Flow), laustera elegia di Marble Halls (rivisitazione di un traditional irlandese), lepica marcia di Ebudae e la commovente aria per pianoforte di Lothlorien. Ma a brillare sono anche episodi minori, come la piece medievaleggiante di After Ventus, un altro forbito saggio del suo peculiarissimo canto, e la limpida melodia di Book Of Days, che si dipana su un tessuto elettronico dalta classe. La strumentazione è sempre molto ricca e alterna sapientemente la freddezza del synth alla magia di strumenti tipicamente folk, come arpa e violoncello. Lalbum conferma tutta la classe di Enya, anche se rispetto a Watermark, appare forse meno dirompente sul piano melodico. Il successivo Memory of Trees, lanciato dal singolo Anywhere is, viene persino premiato con un Grammy Award nel 1996. Complessivamente, però, si rivela un disco minore nella produzione di Enya, fatte salve alcune rimarchevoli eccezioni (il requiem scandito da tamburi ossessivi di Pax Deorum, leterea China Roses, impreziosita da un arrangiamento neoclassico per clavicembalo e violini). Cullandosi in qualche barocchismo di troppo e abusando un po delle tecniche di produzione, Enya compie qualche passo indietro rispetto al fulminante avvio di carriera. La mia base è sempre la musica celtica - spiega Enya - nella quale ogni tanto si insinuano la classica e il pop. Parto sempre dalla melodia e mi lascio trasportare alla ricerca del modo migliore per esprimerla. Questo ha portato allo sviluppo delle mie sonorità, anche se in realtà non ho delle idee preconfezionate quando sono in studio. Ho solo una tela bianca sulla quale dipingere. Può venire fuori di tutto. Molte delle canzoni di Enya sono in gaelico, la lingua di famiglia. Oggi in Irlanda, a scuola si impara solo linglese - racconta -. Ventanni fa ci fu un abbandono di massa del gaelico, che veniva visto come qualcosa che ci separava dal mondo. Così sono rimaste poche comunità a parlarlo ancora. Ma quando torno a casa mia lo parlo abitualmente. E oggi cè una ritrovata fierezza di essere irlandesi. Il mondo parla della nostra musica, dellarte, della letteratura. E gli irlandesi si sentono considerati. Sono molto felice di questa attenzione, anche se credo che sia in parte frutto di una moda. A Day Without Rain (2000) esce a distanza di cinque anni dal suo precedente lavoro in studio, The Memory Of Trees, cui ha fatto seguito anche la sua prima antologia Paint The Sky With Stars. Ed è un ritorno alle sue melodie trasognate, costruite su atmosfere mistiche e pulsazioni elettroniche con lescamotage del coro costruito con la sovrapposizione multipla della sua voce. Curare tutte le voci e le armonie richiede un considerevole periodo di tempo - racconta Enya -. Tutto quello che si ascolta nellalbum è suonato da me, per questo il processo di produzione si allunga. Abbiamo uno studio a Killiney, a due passi da casa mia a Dublino, dove facciamo ricerca e sviluppo. Rispetto ad altri artisti, spendiamo molto più tempo in studio. Ed è anche questa la ragione per cui Enya non ha mai cantato dal vivo, salvo una fugace apparizione in Vaticano nel 95 durante il Concerto di Natale: Dovrei portarmi sul palco una schiera troppo numerosa di musicisti. Costruire uno spettacolo richiederebbe moltissimo impegno e non ho voglia di sacrificare la mia vita privata. Potrebbe essere più facile montare uno show per una pay-tv americana, tipo Hbo, in cui potrei avere il controllo su tutto e potrebbe essere una sorta di prova per un eventuale tour. Il giorno senza pioggia di Enya è un diario emotivo e sentimentale. Il titolo - spiega - fa riferimento allumore che aleggia in un giorno sereno senza pioggia. In Irlanda piove molto in tutte le stagioni. Abbiamo avuto tanti giorni in cui non ha fatto altro che piovere. Ma un giorno finalmente il sole è uscito fuori. Ed è stato allora che ho scritto la canzone che dà il titolo allalbum; come altro avrei potuto chiamarlo?. Una musica visionaria, che fa di una ripetitività al limite del minimalismo il suo fascino, ma, a volte, anche il suo limite. Le dodici tracce sono frutto di due anni di lavoro e vedono Enya cimentarsi con tutti gli strumenti. Si parte dallouvertrure strumentale della title-track per avventurarsi su impennate ritmiche (Wild Child), eteree ninnananne (il singolo Only Time), melodie tristemente gotiche (Tempus Vernum), fino allinvocazione accorata di Fallen Embers, in cui il disco tocca il suo vertice mistico. Il contralto di Enya spicca, tra pulsazioni elettroniche e romanze pianistiche, con la sua solita classe. Eppure la formula magica di questa piccola fata dIrlanda comincia a denotare qua e là qualche segno di stanchezza. Polistrumentista e ormai abile esperta in tecniche di produzione, Enya ha però ancora un debole per il suo strumento prediletto, il pianoforte: Lo studiavo fin da bambina - racconta - per anni ho avuto come insegnante un vecchio sacerdote del Donegal. E la chiesa è stata la mia prima scuola. Per molto tempo ho cantato nel coro, assorbendo la musica sacra. E oggi mi piace tornare in quella chiesa, specie quando non cè nessuno. E tutto così sereno e tranquillo… è molto terapeutico. La tranquillità, per Enya, è un vero stile di vita: niente mondanità, nessun flirt da tabloid, pochissime le interviste e le apparizioni in tv. Curiosamente, dice di non ascoltare molta musica (mi spaventa scoprire che forse ho sbagliato tutto se è quello il genere di musica che il pubblico vuole) e di preferire la compagnia maschile a quella femminile, perché i discorsi tra donne finiscono quasi sempre con pettegolezzi e diventano incredibilmente noiosi. Ama i gatti, i film in bianco e nero e i viaggi, anche quelli con la fantasia, come dimostrano i titoli esotici di alcune sue canzoni (Orinoco Flow, Storms in Africa, Caribbean Blue, China Roses). E confessa di preferire un bicchiere di champagne a un boccale di irlandesissima Guinness. Cè da scommettere che questa piccola fata dIrlanda avrà ancora da brindare: una media di dieci milioni di copie vendute ad album è un lusso da far impallidire rockstar ben più chiacchierate, come Madonna e Michael Jackson. Gli ultimi capitoli della sua avventura sono stati però deludenti. Una parabola discendente culminata in Amarantine (Reprise, 2005), disco del tutto insulso e scipito, che ripropone in modo stucchevole suoni e atmosfere sfruttate con ben altra intensità nei dischi precedenti. Le sonorità ovattate di Drifting e i colori intensi della title track offrono forse gli unici motivi di interesse musicale. La curiosità, semmai, viene dalla presenza di una lingua completamente inventata, il loxian, frutto della fantasia di Roma Ryan, lautrice dei suoi testi. Unidea nata dopo che la stessa Enya aveva cantato in elfico per la colonna sonora de Il signore degli anelli. Enya non è certo nuova a rievocazioni più o meno fatate di stagioni, ricorrenze, ritualità annuali e festività assortite. La sua, più che la discografia di un’artista pop, sembra in prospettiva un atto confessionale sui metodi più aggraziati per rendere sovrumane emozioni altrimenti private, se non spicciole. E dunque anche And Winter Came… (2008) acquista una parte di logica. Di certo Eithne Ni Bhraonain non era mai stata tanto scontata, nemmeno nel mediocre predecessore. Rispetto a quell’album, qui l’artista abbandona anche il suo ultimo brevetto, il “loxian”, per darsi alle consuete sensazioni che precedono l’arrivo d’inverno e Natale. Ecco dunque “Journey Of The Angels” (una scipita caricatura della Madonna di Ray Of Light), “Last Time By Moonlight” (l’ennesima autoimitazione di “Caribbean Blue”), “One Toy Soldier” (con cui cerca di rivestire il ruolo della cantante pop spogliata dei sovratoni folk) e le salmodie di “Stars And Midnight Blue”, “O Come, O Come, Emmanuel” (uno degli ovvi traditional natalizi), fino ad arrivare alla parodia della Celine Dion di “My Heart Will Go On” di “Dreams Are More Precious”. Indistinte nel mucchio, ma pur sempre vaghe reminiscenze della purezza artistica che ebbe a dimostrare in passato, ci sono l’introduzione strumentale elegiaca della title track e il sing-along di “White Is In The Winter Night” (secondo singolo estratto). Inesistente sul piano della poesia tradizionalista, la collezione vale poco anche sul piano del sottofondo puro. Le pose liriche della cantante cadono a pezzi. “Oíche Chiúin” è la versione gaelica del corale principe del Santo Natale, “Silent Night”, per mano dell’austriaco Franz Gruber (1787-1863), già comparso in svariate pubblicazioni del suo passato. Situandosi idealmente tra i Clannad e Michael Nyman, Enya ha coniato una formula musicale di grande intensità visionaria. Una formula che tuttavia ha subito un progressivo inaridimento e appare ormai in pieno stallo. Per il momento, però, ci possono bastare i grandi dischi che hanno segnato lavvio della sua carriera solista, Watermark su tutti. Contributi di Michele Saran (And Winter Came...) Discografia The Celts (Reprise, 1987) Watermark (Wea/Warner, 1988) Shepherd Moons (Wea/Warner, 1991) The Memory Of Trees (Reprise, 1995) Paint The Sky With Stars (antologia, 1996) A Day Without Rain (Reprise, 2000) Amarantine (Reprise, 2005) And Winter Came… (Warner, 2008) youtube/watch?feature=player_detailpage&v=6SiOcSghn0s
Posted on: Tue, 29 Oct 2013 22:19:02 +0000

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